Lunedi 04 Febbraio, ore 19:00.
Achille Moschetti spense l'auto. Appena sceso, sentì l'odore acre di carburante incombusto e non si trattava della pri ma volta. Non era un tipo che si impensieriva per nulla, mala cosa cominciava a preoccuparlo: la mattina successiva l'avrebbe portata in officina e, quella sera, poteva parcheggiarla per strada. La zona della periferia di Pavia in cui viveva si era estesa con una serie di villette a schiera. La sua era dietro la piccola aiuola che stava superando. Era bello tornare a casa, dopo il lavoro, dalla moglie e dal suo pancione al settimo mese. Ignoravano se fosse un bambino o una bambina: preferivano rimanesse una sorpresa e, comunque, a breve, l'avrebbero saputo. Il bacio di bentornato era un piacere a cui non avrebbe mai rinunciato. Achille impiegava pochi minuti per cambiarsi, poi correva a tavola per condividere gli avvenimenti della giornata. «Sai, nel pomeriggio, è venuto un venditore» raccontò la moglie. «Di cosa, Gina?» «Libri.» «Libri?» domandò meravigliato Achille. «Ancora vanno in giro? Con tutte le offerte su Internet... E di che genere?» «Consigli sulla tranquillità domestica, come allevare i figli. Cose di psicologia famigliare. Gli ho detto che lo avrei fatto chiamare da te.» «Per mandarlo via? Hai fatto bene.» «Magari, è meglio che gli telefoni, altrimenti domani me lo ritrovo di nuovo qua. Cosa ti costa?» Gina gli passò un biglietto da visita con scritto solo il nome, Mirko Malvisi, e un numero di cellulare. Achille lo prese e lo appoggiò sul tavolo. «Okay, dopo lo farò. Adesso, ceniamo.» Finito di mangiare, l'uomo rigirò, per un paio di minuti, il biglietto tra le mani e decise di chiamarlo. Il telefono squillò più a lungo di quanto si aspettasse ma, alla fine, il venditore rispose. «Buonasera, la contatto per la sua visita a casa mia di oggi pomeriggio. Sono Moschetti.» «Grazie di aver richiamato, volevo dirle...» «No, guardi» lo interruppe Achille, «non voglio farle perdere tempo, la cosa non ci interessa.» Desiderava chiudere alla svelta la faccenda con quel tipo, la cui voce aveva qualcosa di metallico, finto e fastidioso. Però, l'altro andò avanti: «Invece, dovrebbe interessarti il futuro della tua famiglia, di Gina e della bambina, perché sarà femmina, la pancia è rotonda... sempre che nasca, ovviamente.» «Ma che cazzo stai dicendo» sbottò Achille, alzandosi. Uscì in giardino, non voleva farsi sentire da Gina, mentre gli urlava di andare a quel paese. «Stai calmo. Oggi non sono venuto per lei, ma per te: quindi, adesso, voglio la tua attenzione. Non è chiudendo la chiamata che riuscirai a liberarti di me. Siete miei, da quando sono entrato in casa vostra.» «E come ci si sbarazza di una testa di cazzo?» «Vuoi davvero saperlo? Guarda che, dopo, non potrai più tornare indietro.» «Tutto, pur di farti levare dalle palle.» Il tono di Achille continuava a essere più alto del normale. L'altro, invece, manteneva una calma serafica, nonostante quello che stava per dirgli: «Devi ammazzare una persona, una donna. Dovrai farlo per me.» «E basta? Una sola? Non è difficile.» «Non scherzare, non sto giocando.» «Ma chi cazzo sei? Chi ti dice che lo farò? Adesso, ti sgancio e telefono alla polizia. Anzi, ci vado di persona. Che mi dici, ora, grand'uomo?» «Non sono impreparato. Ho delle... come dire... contromisure: tu ammazzi chi dico io oppure uccido tua moglie, con tutto quello che ha dentro. Lo farei anche in caso di denuncia. Ti ho convinto? Ancora no? Dormici sopra, ti telefono domattina alle dieci in punto. Buonanotte.» Attaccò. Achille provò a richiamarlo, ma fu inutile. Rientrò in casa. «Tutto bene?» domandò Gina. «Certo, ce ne siamo liberati. Però, che tipo strano. Ti ricordi com'è fisicamente?» «Ho avuto l'impressione che portasse una brutta parrucca, forse è calvo. È particolare, non ha mai tolto i guanti; parlava sottovoce, facevo fatica a capire cosa dicesse. L'ho anche fatto ridere, ipotizzando che non volesse lasciare impronte digitali.» Si era camuffato per entrare in casa sua: in pratica, era un fantasma. «Amore, vediamo un film, prima di andare a dormire?» propose Gina. «Certo, tesoro» affermò lui, con l'animo in agitazione. Non fu una notte tranquilla per Achille: riuscì ad addormentarsi solo alle cinque, esausto per colpa dei tanti pensieri con cui aveva cercato di valutare la situazione. Alle sei e trenta, suonò la sveglia. MARTEDÌ 05 FEBBRAIO ORE 07:30 In auto per recarsi al lavoro, Achille continuava a pensare alla telefonata della sera prima. Passò davanti alla questura e fu tentato di andare a raccontare tutto. Ma cosa avrebbe potuto dire? Era stata solo una chiamata, e non sapeva neanche chi ci fosse dall'altra parte. Quindi, tirò dritto. Non doveva sconvolgere la sua quotidianità: avrebbe aspettato le dieci, per liberarsi dello scocciatore. Lui non era un assassino, non avrebbe ucciso nessuno. Di sicuro, si trattava di uno scherzo di cattivo gusto. Che vada a rompere le palle a qualcun altro quella testa di cazzo. Quando fu seduto alla sua scrivania, rammentò di dover portare la macchina in officina. Prese il cellulare per chiamare lo strano tipo, senza aspettare le dieci. Però, ci ripensò: non voleva dargli importanza, lo avrebbe trattato per quello che era, un mitomane rompicoglioni. Alla fine, il momento tanto atteso giunse, e il telefono suonò. Achille aspettò, prima di rispondere, per non dimostrare interesse. «Pronto?» «Non ricordavi il nostro appuntamento?» «Ah, sei tu.» «Davvero lo avevi dimenticato? Conto su di te, vedi di non deludermi.» «Scusa, ma ho da lavorare. Potresti troncare questo scherzo? Non è divertente.» «Quindi, credi che stia giocando...» «Sì. E adesso ti saluto.» Achille attaccò e spense il cellulare. Bisogna fare così con questi mitomani: un taglio netto, per impedirgli di continuare a logorarti, pensò. Dopo pochi minuti, squillò il telefono dell'ufficio. Rispose nominando la sua azienda. «Ciao, caro.» «Ciao, Gina.» «Ho provato a chiamarti al cellulare, ma non riesco a prendere la linea. Sei impegnato?» «Scusa, l'ho spento: volevo contattare dei clienti evitando di smettere per rispondere al telefonino.» «Hai fatto bene. In realtà, volevo dirti una sciocchezza. Hai presente il rappresentante dei libri?» «Certo. Perché me lo chiedi?» Un colpo al cuore di Achille. Panico. Ha chiamato anche lei? «Puoi dirgli tu che la cosa non ci interessa?» «Ora gli telefono, così si convince una volta per tutte. Che scocciatura.» «No, diglielo adesso. Te lo passo.» Il pazzo era in casa loro, con la moglie nelle sue mani. Stava diventando un incubo. «Signor Moschetti, buongiorno. Scusi il disturbo...» «Bastardo maledetto, torci un capello a mia moglie e ti ammazzo.» «Mi spiace non trovarla mai a casa. Capisco che, col suo lavoro, deve star fuori tutto il giorno e lasciare la signora da sola. Vogliamo fissarlo questo appuntamento? Le spiegherò tutto.» Intanto che parlava, l'uomo sorrideva a Gina. «Quando e dove?» si arrese Achille. «Adesso non ho la mia agenda, appena arrivo in macchina la chiamo sul cellulare. Mi raccomando, risponda: non mi faccia tornare a disturbare sua moglie.» «Va bene, l'ho già riacceso. Ora, ripassamela.»
Ivano Migliorucci
|