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Autore: Lara Di Carlo
Un sorriso color del cielo
Narrativa
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Un sorriso color del cielo
- Ti sto immaginando che fai l'amore con il tuo ex... Mi eccita questo, forse perché sono rimasto all'immagine di te vergine. -
- Scusami, ma che discorso assurdo... come fa a eccitarti una situazione simile? -
- Sì, sì, va beh, un'eccitazione strana, torbida, siamo tutti torbidi. Basta ipocrisie e buonismi. Allora le coppie scambiste? Io ho anche fatto il terzo, sesso a tre. -
- Il terzo davvero? -
Tutto iniziò da un semplice scambio di battute. Andromeda non lo voleva ammettere neanche a se stessa, ma di fantasie erotiche ne aveva tante... E solo Sandro riusciva a infastidirla in quel modo. Stimolava la sua immaginazione. Quella notte fece un sogno... Erano nella sua camera. Sul suo letto. Nudi. Lei e Sandro con un uomo e una donna sconosciuti. La sconosciuta iniziò a baciare con foga Sandro. Le labbra. Poi ogni parte del suo corpo. Ora Andromeda poteva vedere il volto di Sandro, il suo sguardo torvo, attraversato a tratti da scintille, espressione di un piacere perverso. Provava rabbia Andromeda. Disprezzo. Una lama nel petto che non era possibile estrarre. Poi lo sconosciuto iniziò a baciare con foga lei, proprio come la sconosciuta con Sandro. Le dita dell'uomo giocavano con i capezzoli di Andromeda. E lei, Sandro, in quel momento non lo vedeva più. Era assorbita da un brivido di piacere. Finché lo sconosciuto tentò di entrare dentro di lei. Guardò Sandro. Stava per unirsi alla sconosciuta. Gridò Andromeda. Gridò, gridò, gridò con tutta la voce che aveva. Ora le due figure misteriose scompaiono. Sono solo lei e Sandro su una spiaggia deserta. Lì si baciano con passione, fremono scambiandosi carezze. E infine si fondono. Anima e corpo.
Il giorno successivo Andromeda era inquieta. Avrebbe voluto parlare con qualcuno. Confidarsi. Sentirsi capita. Ma aveva paura. Lei era quella strana. Non era capita. Gli altri non viaggiavano sulla sua stessa lunghezza d'onda. Doveva fuggire. Prese la sua auto e viaggiò senza una meta. Andromeda non amava guidare, ma ora voleva fuggire lontano. Chilometri di autostrada. Tante auto e tanta ansia, inquietudine. Disagio. Fuori traffico e lei dentro, in una trappola su quattro ruote. Non lo sapeva Andromeda dove stava andando. Guardava tutte quelle auto in viaggio come lei. Ma forse loro lo sapevano dove stavano andando. Sentì all'improvviso il bisogno di fermarsi. Non poteva farlo, ma non riusciva a opporre resistenza a questa sua esigenza. Inchiodò. Ad un tratto le auto scomparvero. Rimase soltanto la sua auto, che riprese a muoversi. Non era Andromeda a guidarla. Avanzava sola verso il nulla. All'improvviso la strada diviene ripida. L'auto percorre quella discesa a una velocità elevatissima. Quella discesa che sembra non avere fine. E Andromeda non può fare nulla. Soltanto ascoltare il suo cuore che batte all'impazzata. Ad un tratto una sensazione di calore pervade il suo essere. Davanti ai suoi occhi l'asfalto si scioglie lentamente. Diviene acqua e la sua macchina un veliero. Andromeda al timone. Ma non lo sa condurre il veliero. Il mare si agita e il veliero si ribalta. Poi così a testa in giù si solleva dall'acqua e viaggia in cielo.
Ora Andromeda si sente leggera e felice. Non è sola. Qualcuno la sta abbracciando, sul timone le sue mani si incontrano con quelle di un uomo. Non è Sandro. Si specchia negli occhi di lui. Occhi azzurro cielo con screziature di verde. Attraverso quello sguardo poteva viaggiare lontano e sentirsi protetta. Protetta da un sogno.
Dopo un po' iniziarono a piovere libri. In quel momento il veliero era sempre sospeso in cielo. Ma non più capovolto. Ogni libro arrestava la sua discesa per qualche istante in prossimità dell'imbarcazione. Il tempo di aprirsi ed esibire tutte le sue pagine. Scorrevano in lei i contenuti di quelle pagine. Una volta entrati dentro di lei poteva trasmetterli al suo compagno. E ciò avvenne semplicemente. In maniera del tutto naturale. Con uno sguardo il flusso dei pensieri che aveva elaborato viaggiò verso l'uomo misterioso, e divenne anche parte di lui. Poi i libri, dopo aver comunicato con loro, continuavano la discesa fino al mare. Quando toccarono l'acqua, il mare scomparve. Divenne terra. E la terra si riempì di passanti, che vagavano senza una meta. Ma incuriositi da quei libri, disseminati sul terreno, li raccolsero e iniziarono a leggerli. Ognuno di loro dopo aver terminato la sua lettura si rivolgeva ai due timonieri. Molto diverse le reazioni, ma tutte positive. C'era chi li guardava e diceva semplicemente - grazie - . Chi faceva un inchino. Alcuni sorridevano. Altri il sorriso lo avevano nei loro occhi luminosi e vitali.
Ora non c'è più il veliero, ma tutta quella gente sorridente ancora c'è. E Andromeda è in macchina. L'uomo misterioso non è con lei, ma quella gente sì. Viaggia Andromeda serena e protetta. Viaggia e questa volta con una meta.
Quella mattina Andromeda si svegliò riposata. Era da tanto che non le capitava. Sua madre era già in piedi. La stava aspettando per la colazione. Le aveva anche preparato un piattino di zenzero candito e scorzette d'arancia rivestite di cioccolato. Era così felice di potersi gustare quel ben di dio con sua madre. Pensava che forse non sempre riusciva a manifestarle la gioia, il senso di benessere che provava in quei momenti. Ora voleva solo assaporarli. Assorbire in lei quel senso di benessere per custodirlo dentro di sé, coccolarlo, non farlo uscire. Trasformarlo in entusiasmo, positività per affrontare la vita di tutti i giorni. Guardava spesso sua madre Andromeda quando stavano a tavola. Sembrava un quadro; lei elegante e dietro il giardino d'inverno. Tutte quelle piante, tra le quali un posto di rilievo spettava senza dubbio alla raffinatezza delle orchidee. Piante di cui si prendeva cura amorevolmente ogni giorno. Pensava a quanto era bella sua madre. Forte e dolce. Avrebbe voluto dirle tante cose in quei momenti. Poi però spesso sfuggivano questi suoi pensieri. Provava a fissarli, esprimerli. Ma nulla. Svaniti. Sua madre parlava. E lei imbambolata non la ascoltava. Inseguiva soltanto i suoi pensieri vaganti. Ma Andromeda non lo sapeva perché, quando pensava aveva i brividi. Dentro era un turbinio di emozioni. Solo che quelle emozioni non voleva tenersele per sé. Se non espresse le sue emozioni si tramutavano in pensieri tristi. A volte Andromeda parlava tanto con sua madre e anche con suo padre. Parlava, parlava, ma spesso era come se non si esprimesse veramente. Come se la parte più importante, più autentica di lei l'avesse imprigionata, resa schiava delle sue stesse paure. Ma l'avrebbe fatto ora Andromeda, avrebbe liberato tutta se stessa, dando voce alla sua anima. Avrebbe cercato un'intesa a livello profondo con le persone che amava. Un percorso complesso, ma che se si riesce a intraprendere dona la forza e anche la capacità di affrontare sé stessi. Rifletteva, rifletteva Andromeda il più delle volte senza arrivare a conclusione. Comunque almeno questo ora lo sapeva: che voleva questo tipo di rapporto con le persone a lei più care. Quanto al mondo esterno stava nascendo in lei un bisogno sempre più forte di stabilità. L'avrebbe cercata nelle sue uscite quella stabilità, nella quale però doveva insinuarsi una vena d'insolito. Novità condita con un pizzico di stravaganza. Ora Andromeda voleva qualcosa di tangibile, concreto, duraturo. Costruttivo. Sarebbe andata oltre. Oltre il suo mondo di folli. Avrebbe fatto il suo ingresso nel mondo dei savi. Ma per introdurvi una scintilla di follia.
Non c'era niente da fare. Andromeda usciva. Faceva colloqui per un lavoro stabile. La sera qualche volta andava in un pub con amici. Ma all'improvviso le si materializzava davanti una nuvola di libri. E lei qualsiasi cosa stesse facendo in quel momento iniziava a seguirli. La nuvola di libri l'avvolgeva. Spesso la sollevava da terra facendola volteggiare in cielo. E nel cielo all'improvviso comparivano occhi. Azzurro cielo
in un paio d'occhi. Se lei iniziava a fissare quegli occhi finalmente lo vedeva. Vedeva un uomo affascinante. Capelli scuri, portamento elegante e occhi color del cielo.
Poi non era più in cielo. Quell'uomo era lì, seduto vicino a lei alla presentazione di un libro. Storie di viaggi in località esotiche.
Ad un tratto la libreria, lo scrittore, i relatori, il pubblico non c'erano più. Non c'era più nulla. Soltanto lei e lui in mezzo a una piazza. Per un po' si fissarono sorridenti.
Ma poi iniziò a piovere. Una pioggerellina leggera, all'inizio quasi gradevole. C'erano nuvoloni neri sopra di loro però. E poi il vento. Raffiche di vento. Il cielo sempre più scuro. Lampi. Tuoni. Dopo un po' pioggia fortissima. Andromeda non vedeva più nulla intorno a lei. L'uomo misterioso non c'era. Iniziò a correre sempre più veloce. Correva verso una direzione precisa Andromeda. Non vedeva nulla. Ma lo sapeva che doveva continuare a correre in quella direzione. Così quell'uomo l'avrebbe ritrovato.
Correndo entrò in un salotto, al centro del quale c'era un divano bianco. Davanti al divano su un tappeto rosso un tavolino da tè. Alle pareti color ocra erano appesi due quadri. Uno raffigurante una scala sospesa in un cielo azzurro, l'altro il mare. E sotto questo quadro contro il muro era posto uno scrittoio in mogano con diversi cassetti.
D'un tratto un cassetto si aprì e comparve l'uomo misterioso. Ora seduto di fronte allo scrittoio, lui di spalle e lei dietro. Ma non c'era solo lei. Vicino a lui tante donne in abiti eleganti lo accarezzavano. E lei dietro lontana, osservava tutto con i vestiti bagnati dalla pioggia. Appena lui percepì la sua presenza, si voltò e la guardò negli occhi. Andromeda allora avanzò verso di lui, che le diede un foglio. In quel momento scomparvero le altre donne. Andromeda lesse quel foglio con il cuore che le batteva all'impazzata. Quelle non erano semplici parole.
Era la voce della sua anima a parlarle. Parole toccanti, espressione del suo desiderio di essere capito. Lei forse lo avrebbe capito. Ora lui voleva solo confidarsi con lei, aprirle il suo mondo interiore.
Era scritto: - Dedica il tuo tempo all'ascolto. Nulla è impossibile per chi sa donare il suo cuore - .
Dopo un po' l'uomo misterioso toccò con un dito le pareti del salotto. E su queste ora erano visibili in nero quelle stesse parole all'interno di cerchi dorati. E il soffitto non c'era più. Al suo posto un cielo stellato. Andromeda rimase immobile, senza parole, ad ammirare lo spettacolo. Con lo stupore che dipingeva il suo volto. Non per molto però.
All'improvviso si ritrovò sola in mezzo alla strada sotto al diluvio. Guardò più attentamente. Non era sola. C'era un uomo vicino a lei. Le stava donando il suo impermeabile. Si sentiva protetta ma al tempo stesso inquieta. Era una sensazione strana. Difficilmente spiegabile. Lo sguardo di quell'uomo la destabilizzava. Occhi così particolari. Uno nero e uno verde. Una volta indossato l'impermeabile Andromeda riacquistò la serenità. Si sentiva in pace con se stessa in quel momento. E lui ora aveva occhi azzurro cielo.
Occhi che presto non c'erano più.
Era sola Andromeda. Solo una nuvola a tenerle compagnia. Una nuvola bianca grande. Gigante. Dove una penna d'oca adagiò queste parole:
- Ti scriverò di nuovo. Presto - .
Andromeda stava impazzendo. Quell'uomo voleva farla impazzire. E lei non lo sapeva che cosa dovesse fare. Non lo sapeva più. Voleva solo andare lontano. Di nuovo fuggire lontano. Fuggire da cosa? Da chi? Non lo sapeva Andromeda. Non lo sapeva e fuggiva. Viaggiava Andromeda, viaggiava. Soltanto per cercare la verità. Per sapere dove era la sua vita reale. E la sua vita reale era lì su un palcoscenico, dove sua madre stava dando la voce a lei. Era Andromeda, la sua vita che travolgeva il pubblico attraverso la potenza delle parole di sua madre. E c'era musica intorno. Musica
intensa. Espressione dell'anima. C'era anche Andromeda su quel palcoscenico e c'era l'uomo dagli occhi color del cielo. Andromeda e l'uomo misterioso parlavano all'unisono, dicevano:
- Oltre, oltre. Siamo tutti in viaggio oltre la nostra anima - .
Ad un tratto una donna tra il pubblico prese per mano l'uomo dagli occhi azzurro cielo e lo trascinò con sé. Allora l'anima di Andromeda uscì dal suo corpo, e si insinuò nel corpo di quella donna, per trafiggerlo come una lama. Lui si lanciò con lei in una danza sfrenata. Notte d'intorno. A osservarli solo una pallida luna. Li spiò quel volto lunare mentre entrarono in un'auto, e lui iniziò a guidare con sguardo assente, vitreo. Passarono ore così; lui come un automa, lei imprigionata nel corpo di un'altra donna. Era inquieta Andromeda, ma sentiva che quello era il suo posto. L'uomo presto le avrebbe sorriso.
All'improvviso lui iniziò a cantare, con voce calda e suadente. Lei chiuse gli occhi per assaporare quella voce, assorbirla dentro di sé. Quando li riaprì era di nuovo nella sua casa. Con il suo corpo. Per un attimo le apparve l'immagine di quell'altra donna, alla quale disse:
- Grazie, perché questo viaggio lo abbiamo compiuto insieme - .
Dopo un po' Andromeda iniziò a percepire la presenza di lui. Non lo vedeva, ma camminava verso una direzione precisa. Sapeva che lo avrebbe ritrovato.
Ad un tratto si ritrovò sospesa in un cielo azzurro. E lì non c'era lui. Ma il suo ritratto. La osservavano da una tela quegli occhi azzurro cielo. Lei aveva un forte desiderio di afferrare l'essenza di lui imprigionata nel quadro. Con dolcezza iniziò ad accarezzare il suo volto. Ma non sentiva nulla. Le sue mani non avevano più sensibilità. E lei non le vedeva nemmeno. Erano trasparenti. Le sembrava tutto inutile. La accompagnava soltanto un senso di vuoto e ansia. Finché alla sua inquietudine iniziò a dar voce uno strano ticchettio. Ora Andromeda vedeva di nuovo le sue mani. Ma non il quadro. Con le mani poteva toccare la lancetta gigante di un orologio. La toccò a lungo quella lancetta che ad un certo punto se la portò con sé nel suo moto rotatorio all'interno dell'orologio. E quello non era un orologio normale. Aveva tantissime lancette. Centinaia, forse migliaia. Non si riusciva a contarle. Lancette nere correvano frenetiche su uno sfondo bianco. Andromeda veniva sbattuta qua e là dalle lancette come un oggetto. Non era più un essere dotato di anima infatti. Aveva un corpo che non percepiva più nulla. Finché una lancetta un po' più grande delle altre la trafisse e penetrò dentro di lei. Fu allora che le altre lancette scomparvero.
Rimase solo Andromeda su uno sfondo bianco. Rinata. Vitale come una fiamma che nulla può spegnere. Con foga baciò uno sconosciuto. E le si materializzò un'immagine. Lei davanti ai suoi genitori. Parlava.
Ad alta voce diceva: - Voglio dilatare il tempo, per assaporare ogni istante di follia - .
Fu allora che lo sconosciuto scomparve e le sorrisero di nuovo occhi color del cielo.

Lara Di Carlo

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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