Il telefono sulla scrivania di Lara squillò in quell'istante. Rispose. «Parlo con l'avvocato Basile?» «Sì, sono io» «Buongiorno, il mio nome è Adriana Romero, forse avrà già sentito parlare di me». La donna sembrava parecchio agitata. «In effetti, il suo nome non mi è nuovo, mi dice qualcosa... aspetti... sì, lei è la moglie di Dario Orefici» replicò Lara ricordandosi di aver visto alcuni articoli di giornale. «Esatto. Ho bisogno di lei, mi deve aiutare! La Polizia mi appena arrestata. Mi accusano di aver ammazzato mio marito...» «Signora mi dispiace, ma cerchi di stare calma... Se ho ben capito, mi sta chiedendo di occuparmi del caso e di diventare il suo avvocato?» «Sì. Mi hanno portata qui in carcere e mi hanno chiesto di nominare un avvocato, io non conosco nessuno, sono disperata, non so cosa fare» disse Adriana Romero con la voce rotta dal pianto. «La raggiungo subito, stia tranquilla, così mi spiega meglio e vediamo cosa posso fare per aiutarla. Se posso permettermi, come mai si è rivolta a me? Chi le ha fatto il mio nome?» «Non conosco nessuno, non sapevo chi chiamare, e uno degli agenti, una donna, mi ha suggerito di cercare lei. Per cortesia, la prego mi aiuti.» «Signora, sarò da lei il prima possibile, esco adesso dall'ufficio». Lara riattaccò. Era un tantino sorpresa. Il caso dell'omicidio di Dario Orefici aveva fatto un tale clamore che forse meritava un difensore più navigato, qualcuno di più esperto e lei non era sicuramente una penalista rinomata in città. L'idea del possibile incarico ovviamente la inorgogliva e si trattava di una dura prova, una sfida con se stessa e non solo. Chiuse velocemente a chiave lo studio, al piano terra di una delle palazzine in via Ferrini, si avviò alla macchina per raggiungere il penitenziario. Lara si ripromise di cercare l'agente che aveva suggerito il suo nominativo: doveva ringraziarla. Senz'altro la nomina come difensore della Romero le avrebbe portato molta notorietà. In passato aveva patrocinato cause come avvocato d'ufficio e aveva assistito clienti che non erano per nulla benestanti. Spesso era stata pagata anche a rate. In pratica si era occupata di processi di modesta entità ma che le avevano fruttato entrate sufficienti a coprire le spese e a vivere decorosamente. Non le importava del denaro, tutti i clienti erano uguali e avevano diritto a un difensore. Sapeva di poter essere definita una con poca esperienza per un caso come quello ma doveva pur esserci una prima volta... La gente era rimasta scioccata dalla vicenda Orefici, in giro se ne parlava continuamente: il fatto aveva destato parecchio clamore in una città di modeste dimensioni come Pavia, che conta poco più di 70.000 abitanti, nonostante sia capoluogo di provincia. L'avvocato Basile non conosceva i dettagli del caso, ne aveva sentito parlare nel bar vicino allo studio, dove spesso beveva il caffè. Dario Orefici, imprenditore titolare della Star Design, era stato trovato assassinato nel salotto di casa dalla moglie, che era rientrata dopo una serata trascorsa con degli amici. L'ingegnere era persona molto conosciuta e stimata nel mondo degli affari pavesi. Inoltre, da alcuni anni si stava affermando anche all'estero, dove aveva allargato il suo giro d'affari, ricavandosi una fetta di mercato sempre maggiore grazie alla realizzazione di prodotti di eccellente design. Oltre all'azienda ben avviata e con un fatturato in crescita, lasciava in eredità un ragguardevole patrimonio mobiliare e immobiliare. Questo aspetto contribuiva maggiormente ad alimentare i pettegolezzi della gente ma soprattutto le pressioni sugli inquirenti per una celere risoluzione della vicenda. Lara aveva letto qualcosa qua e là sui quotidiani ma non si era interessata più di tanto al caso; non era appassionata di cronaca nera, nonostante il mestiere che faceva, contrariamente alla gran parte dei cittadini pavesi che invece aveva seguito ogni giorno gli sviluppi delle indagini che occupavano le prime pagine dei quotidiani locali, come ormai molto spesso avviene nel periodo estivo quando le notizie non abbondano. Una troupe televisiva del TG regionale della RAI aveva stazionato in città, filmando i luoghi del delitto, poi, come generalmente avviene, col passare dei giorni, il fatto era stato relegato in secondo piano, le voci si erano diradate e i reporter avevano riempito le prime pagine dei giornali con altre news. Tranne quella mattina, quando un titolo a caratteri cubitali, era comparso sulle locandine del principale quotidiano locale, esposte in bella vista nelle strade della città.
Delitto Orefici – la svolta: arrestata la moglie.
Raggiunto il penitenziario di Torre del Gallo, Lara parcheggiò la sua Lancia Ypsilon e prese la valigetta di pelle nera. Si diresse a passo spedito verso l'ingresso, fornì le sue generalità all'agente di turno che le indicò la direzione. Nel corridoio che portava alla sala colloqui fu raggiunta da un addetto: il magistrato incaricato dell'indagine si trovava nell'edificio e desiderava parlarle. «Buongiorno avvocato». Il dottor Giuseppe Monaco, un uomo di mezza età non molto alto, capelli e baffi scuri, era stato avvisato del suo arrivo; le andò incontro e la fece accomodare in una delle stanze. «Buongiorno a lei, sono qui per incontrare la mia cliente, la signora Romero», lo informò Lara in tono sbrigativo, ostentando una sicurezza che in realtà non aveva. «Mi hanno riferito che sarà lei a seguire il caso», le fece eco lui, «una bella responsabilità, non crede? Non ho ancora avuto il piacere di conoscerla, del resto sono a Pavia solo da pochi mesi ma spero che la nostra sarà una buona collaborazione». Sorrise facendole cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui. «Me lo auguro. Come da prassi farò richiesta di accesso e copia dei documenti delle indagini in modo da farmi un'idea precisa dei fatti e delle prove che vi hanno portato ad arrestare la signora.» «Giusto, ma non c'è molto da dire, comincio io a riassumere la cosa. Mi ha trovato qui casualmente, stavo per rientrare in procura. Se ha bisogno mi troverà lì, mi chiami pure se lo ritiene necessario».
Al termine della conversazione con Monaco, che le aveva comunicato che la signora Romero era accusata di omicidio volontario aggravato, Lara fu accompagnata da un agente penitenziario all'incontro con la cliente. «Buongiorno signora Orefici, sono Lara Basile, il suo avvocato» disse porgendole la mano appena mise piede nella stanza. «Oh, grazie al cielo è arrivata!» esclamò la donna, il cui viso stanco parve distendersi un poco. Con voce flebile proseguì: «Vorrei che essere chiamata Adriana e basta, se per lei va bene. Preferisco anche darci del tu, è più facile per me. Siamo entrambe giovani e forse è meglio così». Il suo italiano presentava la tipica pronuncia della esse spagnola, appena arrotata e prolungata, che rivelava la sua origine venezuelana. «Perfetto, allora diamoci del tu. Senti Adriana voglio da subito essere molto chiara con te, in modo che possa decidere in tutta tranquillità. Vorrei precisarti che ho solo trentacinque anni e ahimè non ho molta esperienza di casi importanti e complessi come il tuo. Fino a ora ho patrocinato clienti per furto, rapina, violenza domestica ma ho seguito un solo caso di omicidio, che, per altro, mi fu affidato d'ufficio. La tua vicenda sembra complessa, sei proprio convinta di volermi come tuo difensore? Forse tu e tuo marito avrete conosciuto legali più importanti di me». «Gli avvocati di Dario io non me li posso permettere. Non ho molti soldi e loro mi hanno scaricata, diciamo così. Qui nel penitenziario mi hanno proposto un avvocato d'ufficio, poi quella poliziotta ha fatto il tuo nome.» «Ho capito. Sei sicura di volermi affidare la tua difesa?» «Sì.» «A proposito, come si chiama la donna che ti ha parlato di me?» «Non lo so, non gliel'ho chiesto, mi dispiace.» «Era solo per una mia curiosità, non importa. Accetto l'incarico però dobbiamo chiarire immediatamente una cosa: fra noi non devono esserci segreti. Tu mi devi dire tutta la verità, anche le cose che ti sembrano insignificanti. Ho bisogno di sapere ogni particolare, non devi avere paura di dirmelo, è fondamentale. Se non sarai sincera non potrò aiutarti come vorrei.» «Va bene, te lo prometto, chiedimi quello che vuoi». Una lacrima scese sulla guancia destra di Adriana. La paura le si leggeva negli occhi scavati e nel pallore del volto. Lara la osservò in silenzio. Di fronte a lei sedeva una giovane donna di venticinque anni, decisamente bella, capelli lunghi e occhi scuri molto grandi, carnagione olivastra, fisicamente ben proporzionata, indiscutibilmente piacente. Indossava un golfino azzurro aderente con scollo a V che disegnava i seni ben fatti e gli esili fianchi. Non era sicuramente il tipo di ragazza che passava inosservata. Lara immaginò l'effetto che poteva fare al sesso maschile. «Adriana, hai ucciso tu tuo marito?» sbottò a bruciapelo. «Assolutamente no, io amavo Dario.» «D'accordo. Allora sai se qualcuno aveva litigato con lui o voleva fargli del male?» «Era una brava persona, benvoluta da tutti... a parte... Luisa, la sua ex» sentenziò la Romero. «Ah, interessante. Quindi tu sei la seconda moglie e mi sembra di capire che i rapporti con Luisa non erano buoni, sbaglio?» puntualizzò Lara. «No, perché lei non mi poteva vedere e non voleva neppure che Luca venisse a casa nostra.» «Scusami, ma io non so ancora nulla di te, devo ancora leggere il fascicolo che ti riguarda. Chi è Luca?» «È il figlio di mio marito. Ha quindici anni, è simpaticissimo, noi andiamo d'accordo e questo alla madre dà fastidio. Quando ho conosciuto Dario, due anni e mezzo fa, era già separato dalla moglie. Non sono stata io la causa della loro rottura. La nostra è stata una storia d'amore molto veloce, siamo andati a vivere insieme dopo qualche settimana dal primo incontro e ci siamo sposati sette mesi fa. Tra noi era vero amore, io non gli avrei fatto mai del male. Mai!». Adriana iniziò a piangere. «Coraggio, farò di tutto per aiutarti». L'avvocato le offrì un fazzoletto. «La Polizia dice che l'ho ucciso per i suoi soldi, che l'ho fatto per ereditare la villa, l'azienda... insomma il suo patrimonio. Non è vero.» «Esaminerò le prove che hanno contro di te, cercherò di ricostruire i fatti e poi vedrò come organizzare la difesa. Ora però devo andare, tornerò presto. Cerca di mantenere la calma e cerca di riposare». Assorta nei suoi pensieri Lara uscì dal carcere intenzionata a mettersi subito al lavoro: doveva conoscere tutti i dettagli sull'accaduto e soprattutto capire su quali presupposti si era basata l'incriminazione della sua cliente. Un folto gruppo di persone fece capannello intorno a lei accerchiandola. «Avvocato, buongiorno, ha accettato la difesa della signora Orefici?» chiese un uomo che si era avvicinato porgendo un cellulare con l'intento di registrare la sua risposta. Di sicuro doveva essere un giornalista. Lara era frastornata da tutte quelle persone; qualcuno scattava foto, altri le facevano nuove domande: «Secondo lei la signora è colpevole?», «Come ha intenzione di procedere adesso?», «Pensa di chiedere una perizia psichiatrica per la sua cliente?». Non era abituata a tanta notorietà e a un tale trambusto, non sapeva cosa fare, si limitò a dire con un filo di voce: «Devo esaminare i documenti sulla vicenda, ancora non ho informazioni da darvi.» «Lo immagino, non ha molta esperienza di casi come questo!» urlò qualcuno. La donna abbassò la testa e cercò di farsi strada verso la sua auto, salì e avviò il motore. In quel momento il cellulare squillò: era Filippo. «Ciao, come va?» «Male, sono davvero sotto pressione, ho tra le mani la difesa di una donna accusata dell'omicidio del marito e ho appena affrontato un branco di reporter assatanati. Si tratta di un caso grosso, il primo davvero importante per me, sono agitata.» «Wow, ti faccio i miei complimenti» replicò con entusiasmo Filippo Colombo. «Grazie, sarà impegnativo, lo so, però sono anche molto felice di avere questa occasione.» «Non ho dubbi, penso che sarai ampiamente all'altezza della situazione, te lo meriti, cara.» «Lo spero. Verrai qui nel fine settimana?», gli chiese. «No, ti chiamavo proprio per questo. Cesare e Maurizio mi hanno proposto di andare a Vienna. Stanno comprando i biglietti per vedere la partita di calcio della Nazionale e, con l'occasione, penserebbero di fermarsi un paio di giorni per visitare la città. Ti dispiacerebbe se andassi con loro? Si partirebbe giovedì sera con rientro domenica.» «Vai pure, tanto credo che passerò il mio tempo leggendo i documenti sul caso.» «Ah, d'accordo allora, verrò da te il prossimo weekend. Un bacio». Lara e Filippo si erano conosciuti a Bologna, dove seguivano entrambi un master di approfondimento su alcune tematiche legali. Durante quell'intera settimana che li aveva tenuti occupati, erano diventati amici, si erano scambiati i rispettivi numeri di telefono e poi avevano iniziato frequentarsi. Erano passati cinque anni e nessuno dei due aveva voluto lasciare la propria città per vivere insieme. In fondo Genova non è poi così distante da Pavia, si erano detti. L'avvocato Colombo esercitava per un grande studio legale genovese di cui era uno dei quattro associati e si occupava di cause civili. La storia con Lara gli stava a pennello: era sentimentalmente impegnato ma, quando non si vedeva con lei, conduceva un'esistenza pressoché da single passando il tempo libero con gli amici. Dal canto suo anche la giovane donna si era abituata a vivere da sola e ne approfittava per dedicare più tempo al lavoro, cui teneva tantissimo. Quel pomeriggio Lara iniziò a raccogliere più informazioni possibili sul caso di omicidio, anche attraverso gli articoli sul web e le notizie che di volta in volta erano state diffuse dai media. Voleva capire cosa si dicesse in giro e come la pensava la gente comune sulla vicenda dell'ingegner Orefici. Si era resa conto che, secondo l'opinione pubblica, la condanna di Adriana era scontata, praticamente una sentenza già scritta. In un certo senso tutto appariva molto prevedibile: la giovane attraente venezuelana aveva sedotto il cinquantenne Dario Orefici, si era fatta sposare e poi aveva organizzato il delitto per mettere le mani sui suoi soldi. Chiaro e lineare, c'erano le prove. Già, ma quali?
Claudia Celé
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