Perdonami mamma.
Dal giorno dell'incidente, in cui aveva perso sua madre, Viola aveva l'impressione di affondare lentamente nelle sabbie mobili. La vita le appariva come una continua linea piatta e passava le giornate a casa in pigiama. A volte sentiva sudori freddi in tutto il corpo e le gambe che tremavano. Dovrei fare qualcosa, diceva a se stessa nei momenti migliori, ma non riusciva a fare assolutamente nulla e vagava per casa ciabattando da una stanza all'altra. Il suono insistente del campanello la costrinse ad alzarsi per andare ad aprire la porta. Aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto. «Viola, non puoi fare così, devi reagire» borbottò Giada trascinando in casa una ventata d'energia. Lei guardò l'amica con gratitudine: era l'unica persona in grado di confortarla. Avvolta nei suoi jeans attillati e nella sua maglietta scollata che lasciava intravedere molto, esibiva con disinvoltura una prorompente vitalità che riusciva a comunicare a chi le stava accanto. Viola sapeva che quella ragazza le voleva un bene dell'anima e le si affidava con fiducia. «Per prima cosa, mia cara, devi lasciare questa enorme casa. Vendila, affittala, fai come vuoi, ma allontanati da qui. Tua madre non c'è più, devi fartene una ragione.» Viola abbassò lo sguardo e fece un ampio respiro, stringendosi nella vestaglia pesante che indossava, poi disse: «Quando ho saputo che l'auto sulla quale viaggiava si era scontrata con un furgone, io ero a ballare, a divertirmi. Mi sono sentita uno schifo...» «Non fare così. Adesso vestiti; così conciata sembri una befana...» la incitò l'amica con fare sbrigativo, poi le sventolò dei fogli davanti agli occhi: «Ho portato i moduli da compilare per l'università. Datti una mossa. La vita è tua, ne hai una sola e devi tornare a viverla.» Le puntava un dito contro in maniera disarmante, non sarebbe riuscita a dirle di no, ma almeno doveva provarci. «Hai ragione Giada, però dovrò prima trovare un lavoro, altrimenti come farò a mantenermi agli studi a Napoli?» «A questo ci penso io, ho una cugina che vive lì e potrebbe aiutarti a trovare un impiego» sospirò, poi continuò con tono imperativo: «Raccattiamo un po' di cose, vieni a stare qualche giorno da me.» «Ma così su due piedi...» balbettò Viola, al che l'amica con le mani puntellate sui fianchi le intimò: «Ah, e stasera serata pizzeria.» «Sicura che non faccio da terzo incomodo?» sussurrò Viola, guardandola da sotto in su. «Ma neanche per sogno, per Ivano sei come una sorella.» Mentre parlava, Giada aveva già preso una valigia dal suo armadio e la stava riempiendo di indumenti a casaccio. Dovette interromperla e le sfuggì un sorriso. «Ferma, aspetta, faccio io, almeno ci metto quello che mi serve» La serata con Giada e Ivano si svolse in maniera molto piacevole. Il ragazzo mentre addentava un grosso pezzo di pizza le versò un bicchiere di birra dicendo: «Allora, mi ha detto Giada che ti iscriverai a Legge.» «Già, peccato che lei, invece, abbia deciso di non continuare gli studi» commentò Viola. «Ma scusa, con un negozio di calzature avviato come il mio, chi me lo fa fare di perdere tempo con i libri?» disse l'amica, rigirando la bibita fresca tra le dita laccate di rosso. «Giusto, amò, sai dire sempre la cosa giusta» intervenne Ivano, stringendo a sé la fidanzata. «Adesso però dovrò affittare un appartamento a Napoli» considerò Viola, fissando le sbavature di pomodoro sul suo tovagliolo. «Non ti preoccupare, ci pensa Giada risolvi tutto, qui presente» disse la sua amica, con un mezzo inchino, facendola ridere. Quella sera mentre cercava di prendere sonno con le braccia sotto al cuscino, Viola ripensava a sua madre e a tutte le cose che non era riuscita a dirle. Perdonami, mamma, sono sempre stata avara con le parole e adesso non posso più dimostrarti quanto ti volevo e ti voglio ancora bene. Senza di te mi sembra di non avere più una metà e nel futuro vedo solo buio. Scusa mamma sono stata una stupida, arrogante e capricciosa, ho avuto sempre paura del tuo abbandono. E adesso...quel maledetto incidente ti ha portata via e sono davvero sola. Una lacrima le scese a bagnare il cuscino immacolato. Poi si riscosse doveva smetterla di piangere. L'amica del cuore
L'appartamento di Giada era in un condominio chiassoso e pieno di vita; c'era anche un parco giochi attorno alla palazzina dove risuonavano le voci squillanti dei bambini. La stanza che l'amica le aveva destinato era luminosa e affacciava proprio sul parco dove poteva vedere uno scivolo e l'altalena. Il giorno seguente, mentre Giada era al negozio, si fermò all'ombra di una panchina. I raggi del sole le arrivavano carezzevoli, un'anziana claudicante avanzò sorreggendosi con un bastone, le sedette accanto e cominciò a chiacchierare. «Sa quanti anni sono che vengo qui, ci ho cresciuto i miei figli e adesso quando tornano da scuola ci vengo con i nipoti. Noi non ce ne accorgiamo, ma gli anni passano, anzi galoppano» le disse con un vago sorriso. «Ha ragione» considerò Viola, «e pensare che non so ancora cosa farò nel mio futuro.» «Non abbia fretta di scoprirlo, non serve, mi creda.» Poi, come era arrivata, la donna andò via e lei si sentì avvolta da un tepore improvviso, per quell'atmosfera cordiale che la circondava. Quella sera, poltrivano tutti e tre, stravaccati sul divano, e non sapevano come passare la serata. Lei tamburellava sul bracciolo sforzandosi di non sentirsi un'intrusa, Giada stava accoccolata con la testa sulla spalla di Ivano, quando il ragazzo propose: «Invece di uscire perché non ci facciamo due spaghetti?» Senza neanche aspettare la risposta dell'amica, Viola si fiondò in cucina e cominciò ad aprire sportelli, poi chiese a voce alta. «Giada, dove hai le pentole?» La padrona di casa che era sopraggiunta disse: «Primo sportello a destra, accanto al frigo» indicandolo col dito. A un tratto Viola ebbe la sensazione che a parlare fosse stata un'altra persona, la voce le arrivò ovattata, le sue gambe avevano cominciarono a tremare e le mani... «Le mie mani, aiuto Giada! Non riesco più ad aprirle...» Le dita si erano irrigidite e non riusciva più muoverle, sembravano di metallo. «Ivano, vieni qui, subito!» gridò Giada, chiamando il fidanzato che erano rimasto nella stanza accanto. «Che succede?» chiese allarmato. «Guarda le sue mani...» Il ragazzo afferrò le dita di Viola ripiegate e cominciò a spingerle verso fuori. Lei tremava come una foglia e Giada la chiamava, mentre cercava di farle bere un poco d'acqua da un bicchiere. Con il loro aiuto finalmente riuscì a distendere le dita. «Ci hai fatto prendere un bello spavento» sentenziò Giada, poi guardò Ivano e aggiunse sospirando: «Facciamo un salto al pronto soccorso. Così staremo più tranquilli» «Attacco di panico» sentenziò il medico di guardia e le prescrisse sedativi e ansiolitici da prendere. Tornarono a casa con i farmaci e i panini comprati al negozio all'angolo, nessuno aveva più voglia di spaghetti. Dopo mezz'ora Viola si rasserenò, con i suoi amici era come avere una famiglia che si prendeva cura di lei. Non sempre, però, era così semplice vivere in comune. Ivano a volte si fermava a dormire nell'appartamento di Giada. Pur non volendo, dalla stanza accanto sentiva i loro gemiti e cercava di mascherare l'imbarazzo e la curiosità infilando la testa sotto al cuscino. Dopo due settimane, il suo malessere sembrava essere risolto, la cura a cui si era sottoposta aveva dato ottimi risultati: si sentiva bene, anzi non vedeva l'ora di andare a Napoli e cominciare i corsi all'università, mancava poco ormai e sarebbe andata incontro al suo futuro di ragazza indipendente. Aveva affidato la vendita della sua casa a un'agenzia immobiliare, col ricavato si sarebbe assicurata un piccolo gruzzolo a cui attingere per mantenersi agli studi. Intanto l'amica le aveva fatto un piccolo prestito. Due giorni dopo vide arrivare a casa Giada con una bottiglia di spumante. «Viola, vieni a brindare, mia cugina ti ha trovato lavoro come segretaria in uno studio medico a pochi chilometri da Napoli. Il volto di Viola si allargò in sorriso mentre l'amica riempiva due calici. E io», disse indicandosi «ti ho affittato un monolocale in centro, questo è l'indirizzo» disse porgendole un foglietto. Viola l'abbracciò saltellando di gioia. «Sei un genio. Grazie, non vedo l'ora di partire.» Quando si staccò l'amica la fissò seria. «E mi raccomando trovati un fidanzato, appena puoi» le disse ammiccando. Mentre terminava di prepararsi per la partenza, Viola cominciò ad osservarsi nello specchio. Aveva un viso dolce, lineamenti delicati, le gambe sode e ben fatte, il seno armonioso e morbido, bellissimi capelli biondi: non le mancava nulla. “Dove sei amore della mia vita?” pensò. Lei non cercava un uomo qualunque, ma uno che avrebbe riconosciuto al primo sguardo, lo sognava da quando era ragazzina. La sera dell'incidente di sua madre era stata a ballare con Danilo, era carino, affettuoso e forse stava nascendo qualcosa tra loro. Ma non aveva voluto più sentirlo le ricordava quel triste giorno che per lei era una ferita aperta. Arrivo a Napoli
Arrivò a Napoli con una vecchia valigia rosso scuro e si diresse all'indirizzo che Giada aveva telefonicamente contattato per l'affitto del monolocale. In portineria, una donna corpulenta l'accolse con affabilità e la precedette su per un'ampia scalinata. «Signori' vieni appresso a me» le disse con un ampio sorriso. Dopo alcune rampe, la portinaia tirò fuori un fazzoletto e si fermò, ansimando, per detergersi il sudore. «Siamo arrivate?» chiese Viola speranzosa, ma la donna scosse la testa e inarcato un sopracciglio borbottò: «E che c'è, già ti sei stancata? Ma non l'hai visto com'è alto il palazzo» e indicò verso l'alto dove la tromba delle scale si perdeva a vista d'occhio. Poi continuò a salire ancora per numerose rampe, fino a che arrivate davanti a una porticina laccata di bianco si fermò. Appoggiando le braccia robuste contro la porta la spinse, con uno sbuffo, e con un ampio gesto della mano annunciò: «Ecco, siamo arrivate!» Lei avanzò di qualche passo, spaventata, si sentiva le gambe molli guardandosi intorno. Si trovavano su una terrazza. C'erano i fili per stendere la biancheria con lenzuola che sventolavano agitate dal vento e le antenne della televisione. La valigia le cadde di mano. «Di qua» disse la donna e le indicò un ingresso che introduceva in quella che sembrava una piccola mansarda. Riafferrò la valigia e raggiuse la donna che lesta aprì la porta con due giri di chiave. Si ritrovò in un piccolo monolocale. Uno scalino introduceva nella cucina, con un piccolo tavolo, due sedie, un fornelletto a gas e un mobiletto. Al lato si apriva l'uscio di una camera da letto minuscola con una finestra che affacciava sulla città e un bagno. Consegnate le chiavi nelle sue mani, la portinaia sospirò. «Ogni primo del mese mi troverai in portineria per pagare l'affitto. E per qualsiasi altra necessità puoi rivolgerti a me. Io mi chiamo Nunziatina.» «Viola» aveva sussurrato stringendo la mano che la donna le porgeva. Prima che si riprendesse dallo stupore, la portinaia era sparita giù per le scale. Ritornò di nuovo sul terrazzo dal quale era entrata pochi istanti prima e notò altre due porte simili alla sua, di cui una dipinta di verde proprio di fronte. Le sembrò di essere entrata in un sogno o una favola, ma era tardi per ripensamenti. Si disse però che avrebbe cercato al più presto un altro alloggio, perché quello dove era capitata le sembrava invivibile. Solo che Giada aveva già pagato per lei due mensilità anticipate, ci avrebbe pensato con calma. Tornata dentro, cerco di ambientarsi e sistemare le sue cose. Considerato che al mattino sarebbe stata impegnata con i corsi all'università e di pomeriggio avrebbe lavorato allo studio medico, il tempo di vivere in quel buco sarebbe stato relativo, per cui si sforzò di renderlo il più accogliente possibile. Si mise all'opera e pulì dappertutto, distese sul letto il suo copriletto con le frange, appese alle pareti due poster di grattacieli su uno sfondo stellato, accese una candela profumata alla lavanda e già tutto le sembrò familiare. Quando però cercò di chiudere il mobiletto della cucina si accorse che lo sportello penzolava da un lato e aveva bisogno di una vite che mancava. Irritata lo spinse con forza lasciandolo oscillare e andò a lavarsi il viso, l'indomani avrebbe fatto spesa anche da un ferramenta. Poi tirò fuori dalla borsa il trancio di pizza e la coca cola che aveva comprato poco prima e seduta al tavolo di formica, dove aveva steso la sua tovaglia coi fiori di campo, mangiò; ripensando a quella strana situazione non sapeva se ridere o piangere. La sera seguente, tornando dal lavoro notò sulla terrazza un uomo con un cappotto scuro e berretto che stava fumando coi gomiti appoggiati al cornicione del muretto che delimitava la terrazza. Appena aveva sentito i suoi passi, si era voltato e aveva potuto notare di sfuggita che era giovane, poi lui l'aveva guardata, aveva spento la sigaretta e in tutta fretta era entrato, attraverso la porticina verde, nel monolocale di fronte al suo, nel quale probabilmente abitava. Quella notte Viola dormì male, non si sentiva sicura con quella persona lì accanto, aveva paura e se fosse stato un delinquente? Si era comportato in modo strano ed era scappato via come se nascondesse qualcosa. Il mattino dopo trovando Nunziatina, giù al palazzo, le chiese notizie del suo vicino. «Ah, quello è Luca. Lavora al porto come pescatore, esce all'alba e sta fuori quasi tutto il giorno. Che fastidio ti può dare. È un bravo giovane, non ti devi preoccupare.» Lei allora rispose. «Bene, non mi preoccupo, però se vuoi farmi stare tranquilla mi dici per favore cosa c'è nell'altra porta sopra la terrazza, che ho visto chiusa?» Al che Nunziatina rispose ridendo sotto i baffi: «Ma niente, quello è un ripostiglio. Viola ma tu così paurosa sei?» Lei alzò le spalle e se andò, ma quelle parole le rimbombavano nella testa come una sentenza; la portinaia aveva ragione lei temeva ogni cosa a lei sconosciuta.
Liliana Tuozzo
|