~ IRA ~.
Fastidioso. Un ronzio confuso di mille voci. Cupo eppure potente, tanto da perforare le mura robuste del palazzo. Denso e malevolo, carico di astio e condanna. Acre. Come la rabbia che le aggrovigliava lo stomaco. Non avevano alcun diritto di levare voci di condanna nei suoi confronti, nei confronti di chi era con diritto Regina del popolo Sitka. Eppure, erano là fuori, di fronte al portale d'ingresso. «Mia Regina, la folla è inferocita!» Con un movimento rapido, come temesse d'essere visto, il Consigliere Hat si scostò dalla finestra che dava sulla piazza. La Regina con le mani artigliò i braccioli della poltrona e si protese in avanti. «Perché non sono stata avvisata?» «Non pensavo che potessero giungere a tanto, sembrava cosa di poco conto e...» borbottò il consigliere torcendosi le mani. «Non ti ho chiesto giustificazioni, consigliere Hat. Rispondi alla mia domanda!» «Riconosco di aver preso una decisione sbagliata. Il mio intento era di evitarvi una seccatura» si difese, mentre interponeva tra la regina e sé stesso l'ingombro di un tavolino. «Una decisione? Cosa o chi ti ha dato il diritto di prenderla?» la regina furibonda si alzò in piedi, a rapide falcate raggiunse il tavolino e con un calcio lo fece ruzzolare a ridosso della parete. «Vi supplico perdonatemi. Non era mia volontà irritarvi» piagnucolò. La regina lo fissò solo per qualche istante: «Sei un inetto!» esclamò, lo spinse di lato e si diresse verso la finestra. Osservò la folla attraverso i battenti. Tanti, erano davvero tanti, riempivano l'intero piazzale. Urlavano, si agitavano. Le guardie riuscivano a contenerli appena, con gli scudi li respingevano per impedire loro di raggiungere il portale d'entrata. «Maledetti! E maledetto te Jacob!» sibilò tra i denti. Maledetto te e quello sgorbio mezzo pesce di tua sorella. La vittoria era nostra, dannazione! Ma no, non ti bastava, volevi tutto e non hai avuto niente! Un pensiero furente. Strinse le mani a pugno, fino a sentire le unghie conficcarsi nei palmi. Dannati Kiruk e dannati anche i Tesay che avevano dato rifugio allo sgorbio! Colpi. Fortissimi. Abbassò lo sguardo appena oltre la soglia della finestra. Avevano oltrepassato il cordone delle guardie e ora rimanevano solo i robusti battenti di legno tra lei e i Sitka imbestialiti. «Siete in pericolo. Vi prego mettetevi in salvo, fuggite finché siete in tempo» disse il consigliere già con la mano pronta a far scendere la leva per aprire il passaggio segreto, l'unica via di fuga rimasta. La regina si girò di scatto, lo fissò con astio e poi urlò: «Guardie!» Due soldati spalancarono la porta. Entrati sbarrarono le ante con un paio di alabarde. «Prendetelo e legatelo!» ordinò, indicando il consigliere. Le guardie rimasero per qualche istante immobili accanto alla porta, si lanciarono uno sguardo perplesso, ma poi senza indugiare oltre obbedirono. «Mia regina, no vi prego...così mettete in gioco la vostra vita!» supplicò il consigliere, frastornato. «Fuggire è un errore! Sarebbe una ammissione di colpa e una dimostrazione di debolezza» sbottò con disprezzo una guardia. Strinse brutalmente la corda attorno alle mani del consigliere. All'improvviso si fermò, gli occhi fissi sulle mani legate come stesse riflettendo e poi si voltò verso la regina. La regina ne incontrò lo sguardo spavaldo, tipico della sua giovane età, sì, audace e nello stesso tempo incerto, come si fosse reso conto troppo tardi di aver parlato quando non doveva. «Il tuo nome?» gli chiese. «Jid figlio di Axiel» balbettò il ragazzo. «Jid figlio di Axiel... sei il mio nuovo primo consigliere. Poniti al mio fianco.» Il frastuono del portale ridotto in frantumi vibrò sulla porta d'accesso alla sala. Un tramestio di stivali e urla rimbombò nei corridoi e lungo le scale. Rimaneva solo una esigua porta e due lance a fare da barriera tra lei e loro. Rimase immobile, le braccia distese lungo i fianchi. Teneva la mano sinistra sopra alla tasca, al cui interno aveva il suo fidato coltello. Era pronta a usarlo contro gli assalitori, ma anche contro sé stessa qualora fosse stato necessario. Li sentì giungere dietro la porta, fermarsi per qualche istante di raggelante silenzio e poi un ripercuotersi di spallate fece gemere i cardini. Notò appena l'agitarsi del giovane soldato al suo fianco, giusto il tempo per il riflesso di un raggio di sole sulla spada sguainata. Un colpo secco, le lance si spezzarono, la porta rimbalzò sulla parete e la sala si riempì di Sitka astiosi. ~ FAME ~
Una lama di luce tagliò l'aria densa, scivolò lungo le pareti rugose e penetrò attraverso le stalattiti. Indolente, si unì a un soffio di aria gelida che proveniva dalla fenditura posta alla sommità della grotta. Muschio e licheni. Un odore di bosco, appena accennato eppure persistente, si diffuse piacevole come volesse annunciare un cambiamento o forse creare solo un'illusione. Come illusione era quel brillare allegro sulla superficie del lago. Heèri alzò il viso umido e inspirò a fondo. Chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare per un solo unico istante, fin tanto che ne percepì ancora il tepore. Con un sospiro riaprì gli occhi, tanto troppo tempo era passato dall'ultima volta. L'inverno sull'altopiano di Gramhir'Rhà le sembrava quasi eterno, buio e tetro, con un cielo sempre coperto da una spessa coltre di nubi gravide di neve. Neve. Quanta neve aveva visto e vissuto. Neve e gelo, freddo, tanto freddo. Provò all'improvviso una nostalgia dolce e malinconica per le assolate campagne Kiruk. Il sole caldo sulla pelle, le grandi distese delle praterie e il profumo del fieno maturo. E poi, le fattorie, i khinor nelle stalle e le anapee a nuotare nei laghetti, il lento cigolare dei carri sulle strade, le città affollate e piene di vita e... e... Scosse la testa. Quanto le mancavano! Mai avrebbe pensato che sarebbe arrivata al punto di doverlo ammettere. E non doveva! Ora la sua vita era lì, accanto al suo compagno, tra la gente che era anche la sua gente, i Tesay. Alzò le braccia, si spinse in avanti e si immerse nel liquido caldo e lattiginoso che proveniva dalle più remote profondità. Nuotò per un breve tratto. Le gambe lunghe e agili, i piedi palmati a spostare con forza l'acqua, lo scintillare argentato sulle piccole squame che salivano fin quasi le ginocchia e il rapido e armonioso muoversi delle braccia. Con un avvitamento si girò a dorso, due bracciate e poi inarcò la schiena e si inabissò. Silenzio. Solo lei e suoi pensieri ad ascoltare il battito lento del cuore. Trattenne a lungo il respiro, quanto la sua eredità di figlia dell'acqua le consentì, poi riemerse e nuotò verso la riva. Allontanò ogni pensiero come fosse solo un inutile peso e uscì dall'acqua. Si asciugò, si rivestì e mentre annodava i lacci dei pantaloni si sorprese nel constatare quanto fossero diventati corti. «Piccola, come cresci veloce» sussurrò e con una mano si accarezzò la pancia rotonda. Infilò le braccia sottili, troppo sottili, nelle maniche della casacca e se la strinse sul petto, come volesse proteggere entrambe da qualcosa di indefinito. Nulla di quanto la circondava era a lei familiare, né il luogo, né il modo in cui doveva adattarsi a vivere. Avevano regole e abitudini estranee e a volte incomprensibili, spesso pure in contrasto con quanto le era stato insegnato nella sua vita precedente, tra i Kiruk. Anche lì in quell'accogliente grotta era rimasta comunque tesa, malgrado il confortevole tepore del Phyesal sa'Atl, il Respiro dell'Acqua. Spogliarsi in un ambiente così ampio, privo di porte, la metteva in imbarazzo e ancora di più ritrovarsi assieme ad altre persone. Donne e uomini senza alcun indumento addosso, era inconcepibile per lei e questo l'aveva costretta a trovare una soluzione, alzarsi all'alba e fare un bagno quando nessuno ancora s'era destato. Con dita agili e veloci riunì i capelli nella consueta treccia. Uscì dalla grotta e con passi nervosi si incamminò lungo il cunicolo verso la caverna delle donne. «Buongiorno!» Una voce la raggiunse nell'esatto istante in cui varcò la soglia. Heèri avvertì ben distinta una nota di rimprovero in quel semplice saluto. «Buongiorno, Dailena» rispose con un tono più freddo di quanto avrebbe voluto. Si accovacciò sul letto, si sciolse i capelli e li districò con un pettine d'osso. Rinchiusa nei suoi pensieri, evitando di proposito di continuare la conversazione, allungò la mano verso un panno e si mise tamponare i capelli con un'attenzione quasi ossessiva. Dailena le posò una mano rugosa sul braccio, Heèri si fermò, sollevò la testa e ne incontrò lo sguardo, antico e saggio. «Presto riuscirai a sentirti a tuo agio qui, nel momento in cui l'anima Tesay raggiungerà il tuo cuore. Io non so come era la tua vita nelle terre basse, ma qui non c'è l'Io ma il Noi. Come puoi vergognarti del tuo seno o di un braccio? Entrambi fanno parte del tuo corpo, come ogni Tesay fa parte di un unico popolo.» «Sì, lo capisco, ma è più forte di me. Come Kiruk sono stata educata a...» «Una Kiruk, tu, quando mai? No, Heèri. Impara a essere ciò che sei, unica e preziosa. Liberati da quanto ti condiziona.» «Forse a te pare facile!» «Nessuno ha mai detto che lo sia, ma fidati di me, è un viaggio che potrà sorprenderti.» Heèri sollevò le spalle e fece un pallido sorriso. Dailena l'abbracciò. «E di viaggi tu ne sai qualcosa, vero?» le sussurrò in un orecchio. Heèri si staccò dall'abbraccio e annuì «Sì, se penso solo a quante cose sono successe dal giorno in cui sono partita da Whurd. Ho rischiato così tante volte di perdermi, fino a quasi rimetterci anche la vita. Se non fosse stato per Dhaèn, ora...» «Non saresti qui a raccontarlo. Avrai perso le tue radici, ma hai guadagnato un uomo forte a difenderti e una figlia che tra qualche tempo stringerai tra le braccia. È un ottimo scambio, giusto?» «Sì, lo è davvero» ammise Heèri e finalmente il sorriso le illuminò anche gli occhi. «Su, su, basta parlare ora, ragazzina! Ho fame. Dammi un aiuto a rimettermi in piedi e raggiungiamo gli altri nella sala dei focolari.» Heèri dette gli ultimi due colpi di pettine ai capelli e li lasciò sciolti sulle spalle, il calore del braciere avrebbe finito di asciugarli. Si alzò e dopo aver aiutato la sua compagna di caverna le offrì un braccio. «A camminare ci riesco da sola, non sono poi così vecchia!» Dailena fece qualche passo e poi la sollecitò: «Allora! Che fai ancora lì, dai muoviti altrimenti ci ritroviamo a mangiare solo le briciole.» Heèri scosse la testa, a volte Dailena era davvero difficile da accontentare, ma aveva imparato che quel suo modo di stuzzicarla era dettato solo da un grande affetto. Si affrettò a raggiungerla e Dailena, con una risatina, l'afferrò per un braccio e insieme si avviarono verso la sala dei focolari. Appena entrata Heèri fu colta dall'ormai consueta sensazione. Una sensazione di meraviglia mista a disagio che l'accompagnava fin dalla prima volta che vi aveva messo piede. Come può esistere una cavità così immensa all'interno di una montagna? Una domanda ricorrente. Una domanda senza risposta unita al suo continuo sentirsi fuori posto. Era un luogo così diverso dalle piccole abitazioni dei contadini Kiruk! Alzò il viso verso la volta e sorrise. «Sono tantissime: assomigliano a tante piccole spine» aveva esclamato la prima volta. «Piccole? È l'altezza della grotta a fartelo credere. Sono tutte più alte di un Tesay e molto più pesanti» le aveva risposto Dhaèn con una risata. Scosse la testa, arrossì al ricordo Abbassò lo sguardo facendolo scivolare lungo le pareti ornate da forme bizzarre simili ad ali sottili, talmente sottili che la luce, attraversandole, donava loro un movimento fluttuante. Luce che proveniva dalle sei colonne poste a intervalli quasi regolari nella parte centrale della caverna. Vere e proprie opere d'arte, pensò, mentre seguiva il loro contorcersi a spirale, sempre più in alto, assieme al serpeggiare di un liquido azzurro al loro interno, il Respiro della Terra. Il calore confortevole che avvertiva passandoci accanto rendeva l'ambiente ancora più magico. Un calore che avvertiva anche sotto i suoi piedi dove scorreva una fitta rete di canali diretti verso ogni braciere. L'unione tra la natura e la sapienza degli antichi Tesay aveva superato in bellezza e fantasia ogni sua immaginazione. Heèri sospirò e infine raggiunse il suo focolare al di là dell'ultima colonna, nella parte più remota della caverna. Con un filo di voce disse: «Dov'è?» «Chi?» chiese Dailena. «Dhaèn. Di solito è qui ad aspettarmi.» «C'è sempre una prima volta. Sarà stato trattenuto da qualche impegno. Se vuoi ti tengo compagnia io durante il pasto quest'oggi.» «Sei sempre la benvenuta, Dailena.» Heèri sorrise e le indicò una stuoia alla sua destra. C'era uno strano silenzio. Non c'era la solita allegra attività attorno ai fuochi, le chiacchere e il rumore di coltelli a battere sui taglieri, o di mestoli a rigirare le pietanze. Silenzio. Heèri fissò con angoscia il cesto delle vivande vuoto. Con prepotenza avvertì una forte sensazione di disagio, come se qualcosa di inafferrabile le inviasse un avvertimento, o meglio una premonizione. Alzò la testa dal paniere vuoto e si guardò attorno, forse Dhaèn era lì vicino. Per un istante le sembrò di vederlo, ma poi s'accorse che era Ajhiel, il fratello. L'altezza e lo stesso modo di muoversi simile a quello d'un felino l'avevano tratta in inganno. «Ajhiel! Vieni, siediti qui con noi» lo invitò. Il ragazzo le raggiunse. «Buongiorno Heèri.» «Buongiorno anche a te nonna, ti ho cercata al nostro focolare e tu sei qui!» Dailena gli rivolse un sorriso. «Dov'è mio fratello?» chiese il ragazzo. Fu Heèri a rispondergli, mentre tornava a cercare il compagno, «Non so dove sia, ci siamo salutati ieri sera, come sempre, e...» Ajhiel la interruppe: «Guarda, è là!» mentre alzava il braccio e indicava Dhaèn al lato opposto della grotta a fianco del capo caverna. Heèri si girò di scatto e nel medesimo istante due colpi, una pausa, tre colpi, un colpo fecero eco sulle pareti della caverna. Ays Thoràs, il Capo della Prima Caverna, aveva in mano un bastone e lo batteva con energia al suolo. Un lungo legno scuro con misteriose rune intagliate a spirale. Alla sommità una pietra di colore blu scintillava alla luce dei bracieri. Heèri avvertì una forte tensione e il cuore prese a batterle rapido. «Cos'è? Che succede?» «Sssh! Il bastone della parola. Ascolta» sibilò Dailena. Thoràs si schiarì la voce e tuonò: «Onore e forza al popolo Tesay.» Immediata la risposta. Le mani di tutti i presenti iniziarono a battere sulle cosce lo stesso ritmo, ripetuto più volte fino a che il capo caverna alzò il bastone. Un vigile silenzio carico di attesa addensò l'aria. Dhaèn sembrava una statua. Le gambe leggermente divaricate, le braccia incrociate sul petto e le spalle rigide, il viso duro e gli occhi gelidi. Occhi che Heèri cercò di incontrare, per un cenno di conforto, una rassicurazione, ma Dhaèn non si voltò. Thoràs passò il bastone a Dhaèn che dichiarò: «La situazione è grave. Il cibo a disposizione è quasi esaurito. Proclamo Was sa'Mhytay» «Was sa' Mhytay... Was sa'Mhytay...» Un sussurro a più voci, di bocca in bocca come un messaggio angoscioso da trasmettere, scivolò tra i focolari fino a raggiungere Heèri. «Was sa' Mhytay? Che significa?» Heèri era sempre più pallida. «Caccia per la vita» mormorò Ajhiel, negli occhi aveva una espressione incredula. Appoggiò una mano sulla spalla della nonna e chiese: «Sono passate più di dieci lune rosse dall'ultima volta, vero?» «Tredici. Avevi appena raggiunto l'età di due lune rosse.» Dailena posò la mano su quella del nipote e un lieve sorriso le si accennò sulla bocca, sorriso che si spense appena disse: «I cacciatori usciranno sulla neve in cerca di prede.» «Carne fresca... solo così riusciremo a sopravvivere» aggiunse Ajhiel. «Una battuta di caccia. Ah! Solo una battuta di caccia» Heèri sospirò, sollevata, ma Ajhiel la raggelò con un «No, non solo, purtroppo.» Si alzò e si girò verso la nonna. Le prese le mani e i loro sguardi si incontrarono. «Insieme brinderemo nel respiro del sole...» disse Ajhiel. Dailena si alzò in piedi «... e cammineremo sul sentiero delle anime.» «Che succede? Esci anche tu con i cacciatori? Ma come...» balbettò Heèri, mentre guardava l'uno e poi l'altra senza comprendere cosa stesse accadendo. «Gli anziani raggiungano la grotta votiva.» Un ordine di Dhaèn e il suono potente della sua voce rimbalzò da parete a parete. Heèri trasalì e si girò con un sussulto. «Il cibo rimasto verrà razionato» continuò Dhaèn. «I bambini e le donne gravide mangeranno una volta al giorno, gli altri ogni due giorni. Agli anziani il Kyrà.» «Il Kyrà?» mormorò Heèri. Qualcosa, nella sua mente, un ricordo lontano che le portò un sapore acre nella bocca. “Il Kyrà, sì...” e il ricordo prese forma: il sole accecante, i campi rinsecchiti, la carestia e il suo maestro e amico Atxeodon che le porgeva una radice di Kyrà per tollerare i crampi dovuti alla fame. «Dailena» chiamò Dhaèn con un tono di voce ancora più profondo, ma allo stesso tempo meno freddo: «affidiamo le nostre anime a voi, guidateci con saggezza.» «Ma non potete... non potete sopravvivere a lungo! Non con il Kyrà!» protestò Heèri «Dhaèn tu...» iniziò, ma Dailena le appoggiò un dito sulla bocca. «Dhaèn segue le regole, la sua autorità è sacra come lo sono le nostre preghiere. Così è stato un tempo, così sarà ora.» «Ma perché? Gli anziani come potranno resistere senza cibo così a lungo?» strillò Heèri. «Resisteranno.» «Vorrei avere la tua stessa fiducia. Potresti morire e io ...» «Se anche accadesse, il popolo Tesay sopravvivrà grazie al mio e al loro sacrificio.» Dailena l'abbracciò e le rivolse un ultimo sorriso, poi si girò, si unì al gruppo di anziani e scomparve dentro un cunicolo. Heèri la seguì con lo sguardo smarrito e il cuore colmo di tristezza. Come potevano...
Letizia Finato
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