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Autore: Sabino Napolitano
Il passato non dimentica
Giallo Noir
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Il passato non dimentica

Una storia sbagliata per il commissario Sterlicchio.

È una di quelle fredde sere invernali che a Torino si accompagnano a una coltre di nebbia bassa e lattiginosa, che si potrebbe tagliare a fette e sembra fatta apposta per proteggere ogni cosa da sguardi indiscreti.
La piazza è avvolta in un innaturale gigantesco batuffolo biancastro che lascia appena intravedere gli eleganti palazzi e gli ampi portici, sotto i quali ancora pare aleggiare lo spettro della tragedia dell'incendio che pochi giorni or sono ha colpito il Cinema Statuto, provocando la morte per asfissia di oltre sessanta persone.
Tutto sembra essersi fermato in un silenzio ovattato.
La gente che non è a casa si attarda nei cinema per l'ultimo spettacolo o nelle cremerie per un gelato o un bicerin.
Una chiave gira nella toppa della serratura, la porta d'ingresso si apre piano e un uomo entra con passo incerto. Sembra malfermo sulle gambe, ha uno sguardo strano, assente e una vena gli pulsa sulla tempia destra.
La donna sta lavando i pochi piatti appena usati per la cena. I suoi occhi tristi, fissi nel vuoto, sembrano lontani nello spazio e nel tempo; l'occhio destro è cerchiato da un alone bluastro.
Sente i passi alle sue spalle, ma più ancora le zaffate di alcol che li precedono e un velo di paura le cala sugli occhi.
«Ha bevuto ancora!» mormora con un filo di voce, mentre un sottile terrore incomincia a insinuarsi nell'anima.
Non è la prima volta che succede. Altre sere le hanno portato quella sofferenza. Lei sta cercando di resistere, sperando che, prima o poi, passi quel brutto periodo.
«Gabriele non era così!»
Se lo ripete ogni volta, per farsi coraggio. Forse è davvero solo un brutto periodo destinato a passare.
L'uomo ormai è dietro di lei, le cinge le spalle con le braccia e preme il suo corpo contro il suo, le afferra i seni e tenta di baciarla sul collo.
I suoi movimenti sono bruschi, arruffati, sembrano trasmettere una rabbia interiore, una voglia di sopraffazione...
«No! Sei ubriaco! Ti prego, lasciami, non voglio!» protesta la donna.
Le trema la voce, ma lui non se ne dà per inteso e continua a metterle le mani addosso da tutte le parti.
Lei si dibatte per cercare di sfuggire alla presa. Lui la spinge sul tavolo della cucina, le strappa i vestiti e gli slip. Con mano malferma si apre la patta dei pantaloni, con movimenti convulsi e incontrollati incomincia a soddisfare la sua voglia.
La donna si dibatte per sfuggirgli, come un pesce appena preso nella rete, ma sente venirle meno le forze.
Lui le tira un paio di violenti schiaffoni, le sbatte la testa sul tavolo e cerca di portare a compimento la sua azione.
Lei ha la testa schiacciata sul tavolo e un filo di sangue che le cola dal naso. Lacrime le sgorgano dagli occhi.
Agita con frenesia le braccia, la mano afferra d'istinto il grosso coltello usato per affettare il pane, butta il braccio all'indietro, nel tentativo scomposto e disperato di colpire l'uomo alle sue spalle.
Lui sente la lama affilata che lo sfregia sul fianco, si allontana ansimante e, sorpreso, si guarda la leggera escoriazione prodotta dalla lama del coltello.
La donna ne approfitta per girarsi e cercare di sottrarsi, ma lui, furioso, le tira un pugno in pieno viso.
«Brutta troia!»
Lei barcolla sotto il colpo, viene sbalzata all'indietro, perde l'equilibrio e, cadendo, sbatte il capo con violenza contro lo spigolo del tavolo.
Ora è a terra immobile, in una posizione scomposta e una chiazza di sangue si allarga sotto la sua testa. Rimane con gli occhi aperti rivolti verso l'alto e l'espressione ancora terrorizzata.
L'uomo si rimette a posto alla meglio, sembra frastornato.
In tutta fretta, esce di casa, senza voltarsi.
Una porta si chiude alle sue spalle.
***
Molti anni dopo, in un'abitazione del centro di Torino, un numero di telefono viene digitato sulla tastiera di un cellulare.
In un luogo imprecisato, un altro cellulare inizia a emettere i suoi squilli.
Qualche secondo di attesa...
Qualcuno risponde. La voce ha un suono metallico, impersonale.
«Pronto, la Worldwide Research?»
La voce chiede con freddezza: «Il suo codice?».
«Il mio codice è 754684. Avete novità per me?»
Ancora la voce metallica: «L'abbiamo individuato. È in Brasile. Ora stiamo stringendo il cerchio».
«Che vuol dire che state stringendo il cerchio?»
Poche parole secche: «Quello che ho detto. Niente di più, niente di meno. Ha sempre saputo che le condizioni operative le decidiamo noi».
«Avevo specificato che si trattava di una questione importante e... »
La voce metallica interrompe la frase; è secca e sferzante e non ammette repliche.
«Va bene, va bene, ho capito! Appena avete novità, fatemelo sapere. E comunque, sapete che avete carta bianca»
La comunicazione viene chiusa.
***
«Da qui non si vede il mare!»
Era la prima cosa che aveva borbottato il commissario Sterlicchio, guardando fuori dalla finestra del suo ufficio, quando aveva preso servizio al commissariato di Torino centro.
Era un pensiero stupido, certo!
Che a Torino non si potesse vedere il mare lo sapeva anche lui, considerata la posizione geografica del capoluogo piemontese, ma forse la causa di quella sciocca considerazione era quella specie di senso di vuoto che sentiva nello stomaco. Era una sensazione nuova che non riusciva ancora a definire con nettezza.
Ormai era lì da qualche settimana, ma stava ancora ‘prendendo l'aria del pollaio', come usava dire con una colorita espressione dialettale presa a prestito dal suo spiritoso collega del commissariato di Andria.
Comunque, aveva già avuto modo di rendersi conto che quella che sarebbe stata il suo luogo di lavoro per chissà quanti anni era proprio una bella zona della città, vicina com'era all'area verde dei Giardini Reali, delimitata a nord e a est dai bastioni delle antiche mura cittadine, a sud e a ovest dal Palazzo Reale e dagli edifici annessi.
Sterlicchio aveva già trovato il tempo di andarci qualche volta e aveva potuto apprezzarne lo straordinario valore monumentale e ambientale, dal Giardino Ducale, con la sua moderna fontana a zampilli, al Bastione Verde, all'ampio settore dei Giardini di Levante, con il suo sistema di viali che creano prospettive scenografiche, fino alla Fontana dei Tritoni e della Nereide. Tutt'attorno giganteggiavano platani, tigli e ippocastani e anche un raro esemplare di faggio pendulo.
Quel verde gli trasmetteva un grande senso di pace e gli offriva la possibilità di continuare a cercare una nuova serenità interiore. Aveva bisogno di ritrovare nuove motivazioni per fare quel suo lavoro che gli aveva lasciato l'amaro in bocca e la tempesta nell'animo, dopo il tragico epilogo della vicenda di Marilù Carullo, la ragazza scomparsa e trovata assassinata a Bari, la sua città, dove qualche anno prima era riuscito a ritornare dopo gli anni di servizio alla questura di Viterbo.
In quella triste storia, si era fatto troppo coinvolgere a livello personale, forse per il fatto che la ragazza era la figlia di un suo vecchio amico di scuola o magari perché non digeriva di aver fallito proprio nella sua città o... chissà per quale altro motivo. Sulla questione non era ancora del tutto riuscito a fare chiarezza con sé stesso e la cosa lo disturbava non poco.
Certo è che le sue notti erano ancora spesso tormentate dall'incubo di aver intuito una tragica verità e di non aver avuto il coraggio di scoprirla fino in fondo, nel dubbio che quella verità non potesse più servire a nessuno.
Era per quello che, pur a malincuore, aveva deciso di chiedere il trasferimento. Doveva allontanarsi da Bari e da quella triste vicenda.
Poi era arrivata la possibilità di quel posto a Torino e l'aveva colta al volo.
Peraltro, anche un po' per farsi coraggio aveva pensato tra il serio e il faceto che, in fin dei conti, non tutto il male veniva per nuocere; se non altro, avrebbe avuto la possibilità di seguire più da vicino la Juventus.
Per la verità, Sterlicchio non si considerava un grande tifoso di calcio. Di certo, era innanzitutto un tifoso della Bari, pur se, fin da bambino, aveva avuto simpatie anche per i bianconeri torinesi, quando in quella squadra c'erano Bettega, Capello e soprattutto Franco Causio, che era pugliese, seppur leccese di origine e, come si sa, tra leccesi e baresi non è mai corso buon sangue.
Sterlicchio si era sistemato in un appartamentino ammobiliato in zona, così che in meno di un quarto d'ora riusciva a raggiungere a piedi il suo ufficio.
Aveva già potuto farsi un'idea di massima di come era stato organizzato il commissariato dal collega che l'aveva preceduto e incominciava anche a tenere a mente i nomi di parecchi dei suoi collaboratori.
L'ispettore Alberto Amilcare Audisio, nativo della provincia di Cuneo, era il classico rampollo della buona società piemontese. Serio e professionale, capelli castano chiari e occhi azzurri, era magari un po' timido ma preciso nello svolgimento dei suoi compiti.
La cosa che gli riusciva meno naturale era il rispetto degli orari di servizio, tanto che alcuni colleghi, a mezza voce, facevano riferimento a lui con l'appellativo, scherzoso ma non troppo, ‘AAA-Ispettore cercasi', giocando con l'ambiguità delle tre A, iniziali del suo nome e cognome.
Sterlicchio aveva capito comunque che, nell'operatività del servizio, di lui ci si poteva fidare, ‘anche se era di Cuneo', come aveva sentito mormorare in giro tra i colleghi.
All'inizio, si era anche chiesto il motivo di questa specie di etichettatura negativa che si attribuiva all'essere di Cuneo. Indagando sulla questione, aveva scoperto che la cosa derivava da alcune dicerie, messe in giro chissà quando e da chi, sulla presunta dabbenaggine dei cuneesi. Ad esempio, si diceva che la mattina del giorno della Festa Patronale facessero esplodere i fuochi di artificio per essere ben sicuri che poi la sera avrebbero funzionato e... altre amenità del genere. Insomma, pareva proprio che i cuneesi avessero un modo tutto loro di intendere il mondo.
Audisio aveva anche quell'altisonante secondo nome, Amilcare, di cui spiegava la provenienza con il fatto che suo padre era un grande ammiratore della storia e della civiltà dell'antica Roma.
Da parte sua, Sterlicchio, fin dai primi giorni, aveva sospettato che Audisio fosse innamorato perso della viceispettrice Maccari e che lei l'avesse già capito da tempo.
Loriana Maccari era originaria della provincia di Siena, bruna con gli occhi verdi e un fisico davvero notevole. Si capiva subito che era una ragazza molto intraprendente e intuitiva e figuriamoci se non aveva colto gli sguardi languidi che l'ispettore Audisio posava su di lei, tentando in modo maldestro di nasconderli senza riuscirci. Di certo aveva pensato di farlo ancora cucinare un po' nel suo brodo, tanto prima o poi...
«Eh, i giovani!» sospirò il commissario allontanandosi dalla finestra e sedendosi alla sua scrivania.
Per la verità, per lui, che aveva varcato la soglia della cinquantina, gli anni della giovinezza erano già passati da un bel po' e la cosa che più lo infastidiva era che aveva la vaga sensazione di essersi perso qualcosa, come se i giorni del tempo della sua vita gli fossero scivolati via tra le dita come invisibili granelli di sabbia.
Non gli capitava spesso di fare considerazioni del genere, ma, ad essere sincero, doveva riconoscere che negli ultimi tempi gli era capitato più del solito.
Tanto ormai era inutile rimuginarci sopra...
‘La vita è adesso' cantava Claudio Baglioni. Era un brano del 1985, ma insomma... neanche lui era più un ragazzino!
«E poi quella canzone la conoscono anche i giovani d'oggi» borbottò tra sé per consolarsi.
In quelle prime settimane gli era capitato anche di fare altre conoscenze interessanti nel suo nuovo ambiente di lavoro. Una era la psicoterapeuta che collaborava come consulente con la Polizia di Stato.

Sabino Napolitano

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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