La zona collinare era chiusa al traffico. Un pannello luminoso segnalava la frana e la direzione alternativa da seguire. Mostrai il cartellino all'agente del posto di blocco. «Prego, ispettore Diletti», disse sorridente. Ricambiai il saluto portando la mano destra alla fronte e ripartii. Era buio pesto e stava piovendo a dirotto. Avrei potuto essere nel mio letto a dormire o a guardarmi una serie televisiva, ma la pandemia costringeva in quarantena molte persone, compreso Andrea Pancaldi, il mio viceispettore. Giunsi al cancello del cimitero, imprecando, mi accorsi di essere senza ombrello. Uscii correndo fuori dall'auto trovai riparo sotto al porticato. Un uomo mi stava venendo incontro con un ombrello. «Marino, perché tu qui?» lo guardai perplessa. «Perché quella faccia?» domandò, con un sopracciglio alzato. «Pensavo si trattasse solo di una frana, non mi hanno parlato di vittime.» «Piuttosto tu, cosa ci fai qui? La polizia di Stato è così ricca da mandare un ispettore per una frana?» «Dove vivi, su Marte? Da te il Covid non esiste?» «Cavolo, siete dimezzati... anche voi.» «Anche peggio...», affermai seccata. «Quindi, dimmi: perché sei qui?» «La frana si è portata dietro alcune bare, due di queste si sono aperte, e qualcuno dovrà pur portare i resti di chi riposava in pace alla medicina legale. Come vedi, anche su Marte è arrivato il Covid», sarcastico. Ci dirigemmo, entrambi sotto lo stesso ombrello, verso la zona delimitata dal nastro segnaletico. «Via da lì!» urlò un vigile del fuoco. «Ah, è lei, ispettore, per fortuna è qui. Intanto spostiamoci, con questa pioggia potrebbe ancora franare.» Ci spostammo sotto l'ingresso di una delle “gallerie dei loculi”. «La frana si è schiantata sopra a un'abitazione, al momento impossibile da raggiungere.» «Intende che dobbiamo stare con le mani in mano, mentre magari c'è qualche persona da salvare?» «Non possiamo fare altro. L'elicottero, al buio e in queste condizioni meteorologiche, non si alza, e fintantoché non smette di piovere il terreno è friabile e scivoloso. Non riusciremmo a raggiungere nemmeno le bare», gridò correndo via. Guardai Marino Piano sconsolata e presi il telefono. «Capo, mi dispiace per l'ora, qui c'è un gran casino, ma nulla, almeno all'apparenza, che riguardi la omicidi.» «Allora tu cosa ci fai lì?» chiese acido. «Me lo chiedo anch'io, ma mi è toccata la reperibilità di Vari. Ricordi, il Covid, il personale sempre risicato, il...» «Ho capito, ho capito... direi che, se non c'è nulla per noi, torna pure a dormire. Mi farai rapporto domani mattina. Buonanotte.» «Dottore, venga!» sbraitò qualcuno. Ormai ero sveglia, e niente e nessuno mi avrebbe fatto addormentare. Decisi di seguire Marino. Marino Piano fu il primo amore della mia vita. Eravamo due adolescenti quando iniziammo a frequentarci. Una storia che durò per tutti gli anni del liceo per poi spezzarsi quando, crescendo, ci rendemmo conto, o meglio mi resi conto che dovevo scegliere fra gli studi e la carriera o la vita da brava casalinga infelice. Scelsi la prima opzione. Il caso volle, dopo più di dieci anni, che ci ritrovammo sullo stesso caso di omicidio; la solita lite iniziata a male parole per sfociare in una coltellata ben data. Ai tempi ero un'agente con funzioni operative e di pronto intervento, Marino un assistente dell'istituto di medicina legale. Quando mi riconobbe, gli si stampò in faccia il dolore che gli inflissi anni prima, ma ormai il tempo aveva provveduto a rimarginare le ferite. Non fu difficile instaurare un nuovo rapporto di amicizia e stima. «Ehi, ispettore, ti sei incantata?», mi prese per un braccio Marino. Le lampade alogene accese sulla zona franata misero in evidenza un corpo vicino a una delle due bare. «Sono Dario Bonelli, il custode del cimitero», si presentò l'uomo avvicinandosi. «Sono l'ispettore Maria Diletti.» «Ho stampato la cronologia delle tumulazioni avvenute nell'anno, ma nessuna così fresca da giustificare quel corpo integro che si intravede là sotto.» «La ringrazio», gridai. La pioggia forte sovrastava ogni altro rumore. Mi guardai attorno alla ricerca di Marino che era sparito dalla vista. «Dov'è il dottor Piano?» chiesi a un agente. «L'ho visto entrare nell'ufficio cimiteriale.» «E dove si trova?» «Segua questo sentiero, sempre dritto. Vede là in fondo quella costruzione? Sono gli uffici.» «Grazie!» «Ispettore, prenda.» Mi porse un telo parapioggia ancora ripiegato. «Che Dio la benedica!» Con passo deciso mi diressi verso gli uffici, ma a metà strada vidi Marino uscire. «Cosa ci fai così bardato?» «Mi hanno garantito un corridoio in sicurezza per raggiungere il cadavere.» «Dammi una tuta che scendo con te.» «Non se ne parla proprio», rispose secco, proseguendo dritto verso i vigili del fuoco che lo attendevano con l'imbragatura da discesa. Mi avvicinai il più possibile per forzare il confine delimitato, ma mi fu impedito. Mi accontentai di un angolo da cui godevo di una visuale quasi perfetta di Marino già al lavoro. La pioggia cessò e la fioca luce del giorno iniziò a intravedersi fra le nuvole che diradavano. «Ispettore,» urlò Marino Piano «temo sia diventato un tuo caso.» Mi infilai la tuta in polipropilene e mi feci calare vicino a Marino. «È il cadavere di una bambina. Guarda il collo, sembra sia stata attaccata da un cane.» «Santo cielo! Come ci è arrivata qui una bambina?» «Questo sarà compito tuo. Da parte mia, appena il questore ci darà il via, la porterò in istituto.» «Ispettore, è forse impazzita?» gridò una voce. «Parlavi del diavolo...», ironizzai con Marino. «Questore Spatafora, è sicuro, può scendere anche lei.» «Salga e velocemente!» urlò. Obbedii. Spatafora nervoso ci avrebbe reso le cose difficili. «Il nostro ispettore sprezzante del pericolo. Cosa mi dice?» «Il cadavere è di una bambina di circa dieci anni, con una chiara ferita da morso di cane, che ne ha provocato, apparentemente, la morte. Il dottor Piano sarà più preciso dopo l'autopsia.» «Cosa aspettate!» urlò di nuovo. «Portate via il cadavere!» Mi mise in mano il foglio firmato con il nullaosta per la rimozione del corpo e se ne andò. Rimasi pensierosa, con il foglio in mano. Spatafora, con la sua arroganza e superiorità, riusciva sempre a rovinarmi l'umore, ma i miei pensieri andavano ben oltre quel cadavere, che nulla aveva a che vedere con la scena della frana. Dove ci avrebbe condotti? Il suono del telefono mi scosse dai pensieri. Era il mio vice. «Amore, come stai?» «Tampone negativo, rientro in servizio.» «Arrivi giusto per una bella gatta da pelare. Ci vediamo in ufficio. Bentornato.» Il viceispettore Andrea Pancaldi era l'uomo della mia vita da circa vent'anni. Non avevamo mai parlato di convivenza o matrimonio, ambedue non ne eravamo portati, ma l'amore, l'amicizia e la stima che provavamo l'uno per l'altra ci tenevano uniti in un rapporto bellissimo. «Perché, anziché andare in ufficio, non passi ad accertarti che il tampone sia negativo? Ti aspetto» mi stuzzicò. Avvisai il commissario Celeste che sarei passata da casa a cambiarmi e mi diressi da Andrea.
Graziella Simeone Adwan
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