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Autore: Noemi Izzo
Shanter l'ultimo vampiro
Dark Fantasy
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Shanter l'ultimo vampiro

Le gambe si muovevano veloci nella radura, mentre i piedi pestavano la terra umida e bagnata. La ragazza si voltò terrorizzata: un'ombra scura la stava inseguendo senza motivo. Strinse i denti e proseguì la sua corsa: solo poche ore prima era serena per il dono che sua madre le aveva fatto in anticipo per i suoi diciotto anni e ora rischiava la vita senza sapere perché. Il fiato era sempre più corto e i suoi passi sempre più incerti: non si sarebbe salvata dalla misteriosa figura che voleva farle del male. Quando il suo piede inciampò in una radice la ragazza cadde a terra: mentre le lacrime le scendevano sulle gote urlò il nome di sua madre, poi abbassò la testa rassegnata. Mentre l'ombra sembrava intenta a saltarle addosso, la collana rossa che portava al collo si illuminò vibrando: una strana luce apparve dinnanzi a lei, aprendosi sempre di più, il suo corpo veniva come risucchiato da quella strana fonte di energia. L'ombra su di lei si dileguò lasciandola sola mentre cercava di opporsi a quell'ignota energia.
«Avril!», urlò una voce poco distante da lei.
La giovane si voltò. «Madre!», urlò poco prima di perdere la presa con la radice che la sosteneva e mentre udiva la voce di sua madre chiamarla il suo corpo venne inghiottito da quel portale. Avril ebbe meno di un attimo per comprendere che alle sue spalle si era aperto un portale e che lo stava attraversando: vide gli alberi che conosceva sparire e si ritrovò circondata da una luce bianca mentre i sensi l'abbandonarono.

Ghirigori

Avril riaprì gli occhi. Nessuna traccia di sua madre, nulla che le potesse rammentare il mondo in cui viveva. Spaesata, si guardò intorno: strane case, troppo alte per i suoi gusti, erano di colore grigio e identiche tra loro. L'aria era pesante e stantia mentre sotto i suoi piedi una strada senza ciottoli era di una strana consistenza, liscia e ben definita dal colore scuro. Ma dov'era finita? Dov'era la sua quieta cittadina dove era nata e cresciuta? Come avrebbe fatto a tornare a casa? Le lacrime uscirono prepotenti dagli occhi: dov'era sua madre? Sentì l'ansia attanagliarle lo stomaco: sua madre le aveva narrato qualche volta di leggende dove si parlava di altri mondi ma mai avrebbe creduto fosse vero e che potesse capitare proprio a lei.
Ma ora che era accaduto non si sentiva pronta e aveva paura.

Il dolore al braccio destro divenne insistente: un rivolo di sangue le usciva dalla piccola ferita che aveva sul gomito. La ragazza sospirò e si alzò, fissò la collana rossa che sua madre le aveva donato e la sistemò tra i vestiti sgualciti. Quindi era davvero come narravano le leggende: diversi mondi, diverse abitudini e nulla che le fosse familiare. Ma cosa doveva aspettarsi?
Un acuto suono si espanse da strani apparecchi, di cui fino a quel momento non conosceva neppure l'esistenza, presenti in ogni angolo di quella piazza facendola sobbalzare dalla paura: una fila interminabile di persone si radunarono dinnanzi a una piccola caserma e, mostrando un loro strano bracciale, venivano poi lasciate passare. Li osservò senza capire cosa stesse accadendo.
Un uomo alto con un'uniforme militare si avvicinò alla giovane.
«Cosa ci fai fuori dalla fila? Mostrami il tuo bracciale.»
Avril contrasse le labbra: e ora cos'avrebbe dovuto rispondere?
«L'ho perduto», improvvisò lei.
«Ma davvero? Indossi strani abiti e hai uno strano accento: non sarai mica una forestiera?»
«No...», balbettò lei. Quell'uomo le faceva paura.
«Allora mostrami il bracciale identificativo!», esclamò lui con tono minaccioso.
La ragazza non rispose e fece un passo indietro come a voler fuggire: l'uomo la strattonò gettandola a terra e le rivolse contro un'arma che le ricordava una pistola.
Chiuse gli occhi: che la sua fine fosse già giunta?
Avril trattenne il fiato, rassegnata.
«Giù le mani da mia sorella!»
Una voce calda intervenne: l'uomo ritrasse la pistola e si diresse dal giovane.
«Il tuo codice identificativo?», urlò scocciato.
«1-6-2-4. Sono Darrel Johnson. Controlli pure sul database.»
Il militare digitò il codice sul suo strano orologio: un ologramma con la foto del giovane gli apparve davanti.
«Codice identificativo valido», rispose una voce robotica dall'orologio.
Il soldato alzò lo sguardo e osservò il giovane, poi parlò: «Siete il figlio di Jack e Izumi Johnson, perdonatemi se non vi avevo riconosciuto.»
«Confermo. Lei è sotto la mia protezione e ora se volete scusarci...», esordì il ragazzo aiutando la giovane ad alzarsi.
L'uomo burbero annuì e si allontanò.
«Stai bene?», chiese il giovane.
«Sì, grazie», rispose lei scrollando via la polvere dall'abito.
«Seguimi: dobbiamo allontanarci prima che torni indietro.» Senza darle il tempo di rispondere le afferrò la mano trascinandola con sé.
Ora in uno spiazzale desolato senza alberi e vegetazione i due riprendevano fiato. Avril alzò la testa e lo guardò diffidente: poteva davvero fidarsi di lui?
«Come ti chiami?», chiese lui.
«Avril...», disse cercando di ricomporsi.
«Io sono Darrel: sei davvero una forestiera?»
«Sì. Posso chiederti perché mi hai aiutato?»
«Non potevo lasciare che quell'uomo ti facesse del male.»
Avril giocherellò con i suoi capelli. «Chi mi dice che tu sia diverso da quell'uomo?»
Lui rise, mostrando i suoi denti perfetti e di colore bianco. «Temo dovrai fidarti del tuo istinto. Tu hai una famiglia dalla quale tornare?»
Lei rimase un istante in silenzio: quel giovane che era stato così gentile con lei non le sembrava affatto malvagio, seguì il suo istinto decidendo di fidarsi. «Temo siano tutti morti», disse improvvisando, consapevole di non potergli confessare la verità.
«Capisco: sei una delle tante che non ha più nulla ma se non hai un posto dove stare è pericoloso sopravvivere.»
«Che intendi? Troverò un lavoro e una casa dove abitare.»
Lui sospirò. «Per motivi di sicurezza, dopo la grande guerra chi non ha una famiglia viene consegnato allo Stato per essere studiato in laboratorio, dovresti saperlo, nessuno ti lascerà vivere tranquillamente.»
Gli occhi di Avril si spalancarono: in che posto orribile era finita?
Lui parlò ancora: «Io conosco un solo modo per aiutarti nell'immediato: possiedo un bracciale identificativo in più; potrei donartelo, così pian piano potrai creare la vita che preferisci. Se denunciassi la perdita del bracciale saresti sottoposta al test del DNA e scoprirebbero che non sei mia sorella e io non potrei più aiutarti e sai bene che non potresti che divenire una cavia umana.»
Avril annuì spaventata all'idea di essere usata per strani esperimenti. «E perché faresti questo per me?»
«Perché sei in difficoltà e voglio salvarti. Non appena ti ho visto lì a terra mi hai ricordato mia sorella, ormai morta nella guerra. Questo bracciale era suo e l'ho tenuto in suo ricordo ma poiché il suo corpo non è mai stato ritrovato risulta scomparsa e non ho dovuto restituirlo: ora puoi usarlo tu. È molto utile, perché ti fa da carta d'identità, ma anche come cellulare connesso a Internet.» Il ragazzo estrasse dalla tasca destra della sua giacca un bracciale rosa.
«Se accettassi cosa accadrebbe?»
«Faresti ufficialmente parte della mia famiglia e legalmente pretenderesti il posto di mia sorella.»
«Ma pensi davvero che potrebbero credermi?»
«Risulta scomparsa tanta di quella gente nessuno baderebbe a te, che oltretutto le somigli in modo impressionante.»
Avril smise di torcersi i capelli. Accettare l'aiuto di un estraneo era davvero una cosa saggia da fare? Ma rifiutare sarebbe stato anche peggio, i militari l'avrebbero certamente catturata. «Sei certo di volermi aiutare fino a questo punto pur non conoscendomi?»
«Certo: tra sopravvissuti dobbiamo fare tutto il possibile e so per certo che anche i miei genitori saranno d'accordo con me.»
Avril chinò il capo in segno di ringraziamento. «Allora non posso che accettare, ringraziandoti e promettendoti che mi impegnerò a trovare quanto prima un lavoro per mantenermi.»
«Non ce n'è bisogno, la mia famiglia ha molti soldi e non ci sarà problema e poi a dei ragazzini come noi non è permesso trovare lavoro. Configuro il dispositivo per te, attendi un momento», detto ciò iniziò a toccare l'orologio che rispose con strani suoni e luci a lei sconosciute. Darrel le fece poggiare il dito sullo schermo per memorizzare l'impronta e le fece guardare una luce per memorizzare il fondo oculare, poi le passò lo strano oggetto.
«I dati identificativi della configurazione sono avvenuti con successo, tieni, ora è tuo.»
Lei lo afferrò e lo sistemò al polso. «Ti ringrazio», disse sorridendo.
«Non toglierlo mai: i militari ti arresterebbero e saresti tenuta in quarantena prima di riconsegnarti alla mia famiglia.»
«Lo rammenterò.»
«Signorina, le do il benvenuto nella famiglia Johnson», disse ridendo Darrel.
Lei annuì e i due si incamminarono.

Ghirigori

Avril finì di sistemarsi quella che loro chiamavano uniforme scolastica fatta da una gonna molto corta di colore bordeaux e da una maglia bianca con i bordi rossi che le faceva da completo: quel giorno sarebbe andata in una scuola di quello che pensava essere il futuro. Si sentiva tesa, nonostante Darrel le avesse insegnato moltissime cose sapeva di peccare in molte altre. Studiare all'interno di un'altra epoca non le sembrava una faccenda che faceva per lei.
Erano passati una quindicina di giorni da quando aveva attraversato il portale e si era trasferita in quella casa. Ancora stentava a credere di quanto fosse diversa la Terra nei diversi mondi: le case erano diventate autentiche fortezze comandate da quelli che loro chiamavano robot e gli uomini erano solo numeri che affollavano il pianeta. La terza guerra mondiale aveva stravolto gli equilibri di quel mondo. Quando sua madre l'aveva preparata alla vita non le aveva certo dato le istruzioni di come vivere nel futuro. Avril si sentì fortunata ad aver trovato una famiglia così benevola alla quale si era da subito affezionata.
Qualcuno bussò alla porta invitandola a sbrigarsi: sospirò e scese le scale che la portavano al piano inferiore.
Quando entrò nella grande sala da pranzo la sua nuova famiglia era lì sorridente a darle come sempre il buongiorno. La dolce madre di Darrel si chiamava Izumi ed era di origini giapponesi: i suoi splendidi capelli lunghi le illuminavano come sempre il volto. Il capofamiglia si chiamava Jack ed era un uomo di bell'aspetto ma con un carattere molto introverso: figlio di migranti americani che avevano fatto fortuna in quell'impero, lui era nato e cresciuto lì dove si era perfettamente integrato. Poi c'era Darrel, lui era davvero bello e cordiale: i suoi occhi blu oltremare, che aveva ereditato dal padre, e i suoi folti capelli neri lo rendevano un tipo misterioso mentre la sua gentilezza ed educazione erano affascinanti.
Sorridente, la ragazza diede il buongiorno e si sedette a tavola addentando un toast che trovò prima invitante ma poi senza sapore.
«Oggi sarà il tuo primo giorno nella nuova scuola, sei emozionata?», chiese Izumi.
«Sì, un po'.»
«Sta' tranquilla, sarà una bella esperienza. Ho già avvisato il preside che avrà un occhio di riguardo per te. Andando nella stessa scuola di Darrel e con il nostro cognome non avrai problemi, vedrai.»
Avril annuì sorridendo. Quella famiglia era davvero potente se bastava una telefonata per raccomandarla. Si sentiva ugualmente tesa: chissà in quell'epoca com'erano le scuole e se differivano molto da quelle a cui era abituata.
L'orologio ticchettò: era ora di uscire di casa. Avril deglutì velocemente e i due giovani s'incamminarono per la strada.

La scuola non distava molto dalla casa dei Johnson, motivo per il quale Darrel era solito attraversare a piedi quel tratto. Avril si guardò intorno: le grandi foreste che nel suo mondo ricoprivano l'ambiente erano sparite, lasciando il posto a cupi edifici grigi che sembravano assorbire il caldo di quella giornata.
«Come ti trovi da noi?», chiese il ragazzo davanti a lei.
«Bene. Tua madre è adorabile!»
«Sono contento. Sai... stavo pensando che, in queste settimane passate insieme, non mi hai mai parlato del tuo passato. Sai che per te ci sono, vero?»
Lei sussultò: non voleva lui sapesse la verità, mantenne il controllo e rispose. «Certo. È solo che non mi sento ancora pronta.»
«Sta' tranquilla, è plausibile. La guerra ha scosso tutti noi, questo è ciò che resta della cattiveria dell'uomo, un mondo devastato.»
«Sai... temo di non esserne in grado», disse la giovane cambiando discorso.
«Di fare?»
«Di soddisfare le aspettative che pesano sul tuo cognome, non sono mai stata una studiosa e ho paura di farvi fare brutta figura.»
«Ma certo che ne sarai capace. Se avrai difficoltà conta sul mio aiuto.»
«Ti ringrazio.»
«È un piacere poterti aiutare.»
«È questa?», chiese Avril fermandosi dinnanzi a un imponente edificio bianco.
«Sì, forza entriamo.»
Avril e Darrel entrarono nel complesso scolastico: davanti a loro un grande piazzale si apriva maestoso.
Una giovane donna, probabilmente la coordinatrice scolastica, andò incontro alla ragazza sorridendole.
«Benvenuta! Io sono Beatrice Costa, la tua coordinatrice: vieni pure con me, cara.»
Darrel rimase indietro e facendole l'occhiolino la lasciò nelle mani della donna.

Noemi Izzo

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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