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Autore: Angela La Corte
Sunshine - Domani è un mistero
Romanzo Saffico
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Sunshine - Domani è un mistero

~ Pilar ~
«Amore, sei pronto? Non posso fare tardi oggi.» Miguel non è an-cora uscito dalla sua camera.
«Sono le otto, siamo in orario mamma.» Fissa il piccolo orologio colorato che tiene al polso, sentendosi importante. È già pronto e si è persino allacciato le scarpe da solo.
«Hai sei anni e sai già leggere l'orologio, stai diventando grande troppo in fretta.»
«Sei anni e otto mesi, quasi sette. Sono già grande!» afferma con orgoglio, mentre si mette lo zainetto sulle spalle e afferra la mia borsa insieme al borsone di Blanca. «Porto io questi, tu prendi Blanca e il passeggino, va bene?»
Organizza tutto. Da quando Alessandra non c'è più, è diventato responsabile. Non fa più capricci e se mi vede in difficoltà o stan-ca, si affretta a dirmi che ci pensa lui.
Mi aspetta fermo sul pianerottolo che si affaccia sul cortile, dove fa capolino Ester. Senza il suo aiuto, non sarei riuscita a gestire Blanca da sola. «E tu dove vai con quello zainetto sulle spalle?»
«Al campo estivo», risponde con un sorriso soddisfatto. Ha insisti-to tanto per convincermi a iscriverlo. Da quando sono iniziate le vacanze, è rimasto con Ester insieme a Blanca, e questo non lo rendeva affatto felice. Diciamo che non nutre molta simpatia per l'unica amica disposta a tenerli.
Ester lo fissa per un attimo, e so che comprende i suoi bisogni. In-fatti, non replica, si sposta verso sinistra e inizia a parlare con qualcuno. Li raggiungo, lei mi toglie Blanca dalle braccia presen-tandomi il nuovo inquilino dell'interno C. «Pilar, lui è Marcello.»
Il ragazzo fa un passo avanti e mi porge la mano. «Piacere, sono italiano e spero di trovare presto un lavoro qui.» Si passa una ma-no tra i ricci castani, lasciando trasparire un filo di timidezza.
«Sei italiano!» Miguel lo fissa con gli occhi sognanti, affascinato. Alessandra lo era, ed è per questo che parliamo questa lingua in casa. È uno dei pochi modi che ho per far sentire meno a mio fi-glio la sua mancanza.
«Sì, e tu come ti chiami?» Si avvicina a lui, che prontamente gli porge la mano per presentarsi. «Penso che diventeremo amici io e te.» Mio figlio annuisce con entusiasmo: sembra una brava perso-na.
«Pilar, per favore, dai un passaggio a Marcello, è pulito.»
Lui si annusa la camicia. «Certo, ho fatto la doccia.»
Rido di cuore. «Non si riferiva a quello, andiamo, è meglio.» Non credo sia il caso di spiegargli il consueto gergo di Ester.
La giornata comincia decisamente con una nota di allegria. Mi-guel è felice di avere un nuovo amico, e questo mi rassicura. Ester non affitterebbe mai un appartamento senza averne verificato at-tentamente ogni aspetto, per assicurarsi che si tratti di una persona affidabile e, soprattutto, in grado di pagare l'affitto. Infatti, i due appartamenti accanto al mio sono rimasti vuoti per molto tempo. Gli ultimi inquilini se ne sono andati poco prima della scomparsa di Alessandra, e da allora Ester mi ha dato l'impressione di non voler più affittarli.
Marcello dice di essere di Perugia, ha trentadue anni ed è venuto in Spagna per ricostruirsi una vita. Mi racconta brevemente delle difficoltà che ha affrontato con la sua famiglia dopo il coming-out, un'esperienza che lo ha spinto a cercare un nuovo inizio al-trove. La Spagna, con i suoi avanzati diritti per la comunità LGBTQ+, è diventata la meta preferita di chi si sente rifiutato nel proprio Paese.
Dopo aver lasciato Marcello vicino al mercato, mi dirigo di corsa verso il campo estivo, dove Miguel non vede l'ora di arrivare, e poi andrò al lavoro.
Fernando mi sembra teso, continua a sistemarsi la camicia di seta variopinta, sui pantaloni bianchi che gli fasciano le gambe. È il modello che preferisce, che gli evidenzia i glutei e lui si muove come la regina indiscussa dell'arte, compiaciuta per l'ultimo grande affare che ha fatto grazie a me.
Come ogni mattina viene ad abbracciarmi e lascia libero nell'aria, vicino al mio orecchio, il solito ed elegante bacio da star, poi mi porge il caffè. Ecco questo è decisamente strano. «Mi hai fatto il caffè?» gli chiedo entrando nel mio ufficio.
«Sei una gallery assistant straordinaria, e come tuo manager ap-prezzo molto il tuo lavoro.» Prende posto sul divano nero di fronte alla mia scrivania, accavalla le gambe e batte la mano sul posto accanto a lui, invitandomi a raggiungerlo.
«Cosa devi dirmi?» Taglio corto, lo conosco sin troppo bene.
«Ascolta.» Mi porge il tablet che ha tra le mani, ma lo trattiene un attimo. «Non saltare subito a conclusioni affrettate, ho una moti-vazione e ti sarà di grande aiuto, più dell'aumento che ti avevo promesso.»
Gli sfilo il tablet di mano, è il mio aumento la posta in gioco? Ma-ledetto, mi sono fatta in quattro negli ultimi tre mesi e adesso si sta tirando indietro.
«Hai fatto rientrare Igor e Aida la scorsa settimana, nonostante sai bene che li ritengo due incapaci, e ora hai intenzione di assumere un altro stagista?» Il sangue mi ribolle, una vampata di rabbia si impadronisce di me, sono incazzata come non mi accadeva da tempo.
Lo percepisce dalle mie movenze, «Calmati e ascoltami.» Prova a mettere a tacere la furia che ha appena scatenato, ma è tardi ho già perso le staffe.
«Non ascolto un cazzo! Mi hai promesso quell'aumento e mi sono fatta il mazzo per farti avere Black. L'ho convinto a canalizzare tutta la sua rabbia sulla tela. Ho curato il marketing, arricchito la sua storia di dettagli commoventi e attirato i media su di lui. È grazie a me se è l'artista più desiderato. Ho bisogno di quell'aumento, e non solo per me. Ho due bambini e devo assume-re una baby-sitter per Blanca, non posso lasciarla a Ester tutte le mattine.» Riverso su di lui tutta la rabbia e la frustrazione che la sua nuova, insensata idea mi ha suscitato.
«Primo, ho richiamato Igor e Aida perché grazie al tuo prezioso impegno, e non parlo solo di ciò che hai fatto con Black, avremo molte più mostre da organizzare.»
«Sono due incapaci!» ribatto con fermezza la mia opinione.
«Punti di vista. Comunque, ascolta la mia proposta: cosa mi dire-sti se invece di soldi in più ti dessi del tempo libero?» Sto facendo un enorme sforzo per non afferrarlo per il collo. «Pilar, voglio as-sumere un nuovo stagista per te, un assistente a cui puoi delegare tutto ciò che ti costringe a rimanere qui fino a tardi. Anzi, potresti anche decidere di restare a casa alcuni giorni, avrai lui disponibile per qualsiasi cosa tu voglia comunicargli al telefono. Non tutti i giorni sono pieni di impegni. Ti sto offrendo del tempo libero da trascorrere con i tuoi figli.» Sono scioccata, non riesco a crederci. «Mi costerebbe meno aumentare il tuo stipendio, ma hai ragione: sei stata fantastica, tesoro. Negli ultimi tre mesi hai dato il massi-mo, non posso ripagare il tuo impegno con del denaro, tu meriti di più.» Lo abbraccio, un gesto che non avevo mai osato compiere in questi quattro anni di lavoro insieme. «Che interpretazione magi-strale, ti è piaciuto come l'ho recitato? Dovevo indossare la par-rucca bionda e il vestito bianco con gli strass, sentivo di averlo addosso mentre ti parlavo.»
Non riesco a trattenermi dal ridere e lo allontano da me. «Troppo contatto fisico ti monta la testa.»
«Adesso lo bevi il caffè?» Mi porge la tazza con un sorriso soddi-sfatto.
Mi ha decisamente stupito, e visto che questa mattina sembra di buon umore, mi permetto di fare una richiesta. «Ma scelgo io il mio assistente, sia chiaro.»
«Con la mia supervisione e consenso finale.»
«Cabrón! Hai già qualcuno in mente, vero?» L'apostrofo scivola via senza pensarci.
«Quanta dolcezza, tesoro. Ti prego, lasciane un po' anche per do-po, la giornata è lunga.» Non lo tange nemmeno, non è la prima volta che gli parlo così, posso farlo, lui me lo concede. Fernando è uno dei pochi amici che mi è stato vicino dopo la morte di Ales-sandra. Mi ha assistito durante il parto, tenendomi la mano mentre indossava una parrucca bionda. Ama indossarle, è una drag queen meravigliosa. Entra in scena durante alcune mostre, le più presti-giose animate da Elche. Ha preso il nome dal luogo dove la statua della Reina Mora è stata ritrovata. Ne abbiamo una copia qui, po-sta sul fondo della sala, e sembra ammirare le opere esposte.
Ci mettiamo al lavoro. Pubblico in rete l'annuncio per lo stagista e stampo subito i moduli che i candidati potranno compilare prima del colloquio. Fernando è convinto che presto inizieranno a fare la fila qui fuori.
Equality Art è una delle gallerie più prestigiose di Barcellona, e credo che lui abbia pienamente ragione. Chiunque desideri intra-prendere una carriera artistica significativa non può che trovare ispirazione qui. Le opere che esponiamo provengono principal-mente da artisti emergenti, e il nostro obiettivo è motivarli e aiu-tarli a esprimersi con coraggio e autenticità. Siamo in grado di percepire nel profondo della loro anima e di guidarli in questo viaggio creativo. Fernando, in particolare, è un maestro in quest'arte: ha un talento innato per scoprire le potenzialità artisti-che, vede oltre il semplice colore e le forme. Io, d'altro canto, so-no un'esperta di marketing con una profonda passione per l'arte.
La mattinata sta decisamente volando oggi. Riesco a destreggiar-mi e organizzarmi con molta facilità, e devo fare in fretta. Fer-nando è su di giri, attende la visita di una sua carissima amica e ci tiene che lo affianchi nel riceverla. Lo sento parlare in sala, credo sia già arrivata, e la elogia con mille complimenti. Non mi rimane molto da fare, posso continuare dopo. Lo raggiungo, si indispone quando non seguo i suoi ordini.
Mi preparo a uscire. Fernando si trova al centro della sala, impe-gnato in una conversazione con due donne: una ha capelli scuri e tratti tipicamente spagnoli, mentre l'altra, bionda e alta, pur par-lando spagnolo come la sua compagna, viene subito tradita dal suo accento italiano.
Faccio un passo verso di loro e, a un tratto, vedo lei. Mi blocco: ho le allucinazioni. Chiudo gli occhi e faccio un lungo respiro, ma, appena li riapro, lei è ancora lì, ferma davanti al Black Hole. Lo guarda e, anche se vedo solo il profilo del suo volto, mi sembra che si stia struggendo di dolore. Fissa quell'enorme macchia nera impressa sulla tela bianca e mi dà la sensazione di voler essere ri-succhiata da essa, dalle tenebre del suo buio, per perdersi in quel silenzio profondo. Anch'io ho provato quella sensazione quando l'ho visto. Ancora oggi, quando passo accanto a quel dipinto, devo sforzarmi di non guardarlo, se lo faccio, ho paura di perdermi lì dentro.
«Gabri, vieni, ti presento Fernando.» La donna coi capelli scuri di-sturba la sua meditazione. Lei si gira e le risponde accennando un mezzo sorriso. «Arrivo.» Anche lei è italiana.
I suoi occhi mi raggelano il sangue: sono tristi, spenti, ma il loro colore azzurro è così luminoso. I suoi capelli non sono del tutto biondi, ma hanno lo stesso taglio e fanno da cornice a un volto che la rende sin troppo somigliante ad Alessandra.
Mi manca l'aria. Non è lei. Mi sforzo di fare respiri profondi e me lo ripeto infinite volte: non è lei!
Non importa se Fernando dopo mi farà una delle sue ramanzine, non riesco a muovere un passo in avanti. Con fatica, riesco a rag-giungere la mia postazione in ufficio e mi perdo nel fondo nero dello schermo spento del computer. Ho visto mia moglie. Il suo viso esprimeva tutta la sofferenza per l'ingiustizia che ha subito. I suoi occhi, i suoi splendidi occhi azzurri, erano persi nel vuoto. Oddio!
Mi copro la bocca con la mano, cercando di fermare il nodo che si è formato in gola e che minaccia di far scorrere le lacrime.
«Hola.» La porta accostata si apre lentamente. Faccio uno scatto sulla sedia. «Lo siento, no quise asustarte.» È lei a parlarmi in spagnolo.
«Non mi hai spaventata, sto lavorando. Cosa vuoi?» Il mio tono è sgarbato. Non volevo farlo, ma è uscito così d'istinto.
«Scusami, mi ha detto Fernando di venire da te. Sono interessata allo stage.» Tentenna, la mia domanda l'ha intimorita.
«Non ho tempo. Compila il modulo, ti richiameremo nei prossimi giorni.» Spingo i fogli sul bordo della scrivania. La mano mi tre-ma, ma fingo di non farci caso e la ritiro subito.
«Hai una penna?» I suoi occhi adesso mi sfidano. Ha capito che mi sento a disagio. Gliela porgo e si siede di fronte a me.
«Che fai ancora qui? Sto lavorando. Vai a compilarlo altrove e la-scialo a Fernando.» L'ammonisco con tono severo e infastidito.
Credo di averla fatta diventare improvvisamente minuscola. Si al-za in perfetto silenzio e con movimenti calibrati esce lasciando la porta aperta.
Tremo, non riesco a controllare le mie emozioni. Il mio corpo ne è in balia e non so quale sia predominante sulle altre. Sento rabbia, tristezza, stupore e i miei occhi mi implorano di farli cedere.
Non appena vedo andar via quelle donne e Fernando si dirige ver-so il mio ufficio, la mia rabbia esplode: «Tu sei un pazzo! Come diavolo ti è venuto in mente di proporre lo stage a quella? ¿La has visto? ¡Santo Dios!» Urlo anche se è già di fronte a me, seduto con i gomiti appoggiati sulla scrivania.
«Pilar, calmati. Oggi sei davvero fuori controllo.»
«Fuori controllo? Madre de Dios! Hai visto il suo viso, i suoi oc-chi. Come hai potuto mandarla da me per il colloquio?» Cedo al pianto, sentendolo esplodere come il mio cuore in questo istante.
Si alza, mi viene vicino e mi abbraccia. «Scusami, somiglia a tua moglie, ma Gabriella è la persona giusta.»
«No!» Urlo e lo allontano con forza. «Come pretendi che io possa lavorare con lei?»
«Non prendiamo decisioni affrettate, valutiamo con calma questa possibilità.»
«Mi licenzio se le dai il lavoro!» Lo minaccio puntandogli il dito contro e me ne vado. Non riesco a rimanere lì, non posso lavorare con lei, mi sentirei morire giorno dopo giorno.
Lui non mi ferma nemmeno, sa di aver sbagliato.

Angela La Corte

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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