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Autore: Claudio Rossi
La via del ferro
Avventura Storico
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La via del ferro

Lungo la Via Cassia.

Fu nell'estate dell'anno del IV consolato di Cesare che insieme al legionario Quadrato fuggii nella terra dei Norici, oltre le Alpi.
‘Quadrato' era proprio il suo vero nome, non era un soprannome, che tra l'altro gli poteva calzare a pennello perché era davvero di aspetto squadrato: tracagnotto con il viso quadrangolare, le spalle diritte che sembravano formare un rettangolo con la sagoma della persona. Si presentava scuro di pelle, come un mediterraneo delle province africane, e invece era romano dell'Urbe.
Eravamo in viaggio da due giorni. Mentre il cavallo seguiva da solo il tracciato ghiaiato della Via Cassia io avevo dato libero corso ai miei pensieri e rimuginavo i gravi avvenimenti degli ultimi giorni.
Ero dolorante in tutto il corpo per le percosse ricevute.
Un uomo mi aveva malmenato con un bastone da pastore, un'arma fatta per produrre molto dolore piuttosto che per uccidere. Il corpo mi doleva da tutte le parti, un orecchio era diventato enorme e temporaneamente inutile perché pieno di sangue rappreso che mi impediva di udire da quel lato.
Era successo due giorni prima. Una zuffa in mezzo alla strada, proprio di fronte al portone della villa dove abitavo, nella Via del Pittore.
Io l'avevo ucciso.
Ora dovevo allontanarmi il più possibile dall'Urbe, perché forse qualcuno sarebbe venuto a cercarmi. Qualcuno in divisa, con intenzioni per nulla amichevoli.
L'unico testimone della morte di quell'uomo era stato il suo servo che si era messo di traverso sulla strada con un bastone per impedirmi la fuga mentre il suo padrone me le suonava di buona lena. Quando aveva visto che il padrone era finito a terra si era dato a una codarda e velocissima fuga scomparendo in fondo alla via in pochi istanti.
Non avevo nemmeno tentato di inseguirlo, ero troppo frastornato e dolorante dalle botte prese. Sicuramente quel servo aveva dato l'allarme ed era in grado di riconoscermi.

Quadrato aveva capito che ero immerso in neri pensieri e se ne stava zitto una decina di passi dietro di me. A lui bastava essersene andato dalla caserma perché non ne poteva più degli insulsi turni di guardia quotidiani e delle ronde in città a raccattare legionari ubriachi. Non che sapesse dove stavamo andando, semplicemente si fidava di me.
Ma nemmeno io sapevo di preciso dove stavamo andando.
Il tribuno Elpidio, il mio superiore, quando mi ero presentato male in arnese e sanguinante, aveva immaginato che fossi nei guai e mi aveva autorizzato ad andarmene da Roma; mi aveva chiesto di fare qualcosa per lui anticipandomi del denaro.
Della destinazione non si era parlato, mi avrebbero spiegato tutto a Bononia. E poi quella sera avevo il capo che mi ronzava per le botte ricevute, e da un orecchio non udivo assolutamente nulla.
Dovevo rimanere lontano dall'Urbe per un po'. Forse i Vigili si sarebbero presentati nella casa della Via del Pittore per arrestarmi, e non trovandomi sarebbero andati a cercarmi in Caserma.
Avevo lasciato al mio fraterno amico, il liberto Hicesius, il greco col quale dividevo l'abitazione, il compito di tenermi informato su come si muovevano le indagini sulla morte di quell'uomo. Mi avrebbe mandato una lettera alla caserma del Genio di Bononia, dove eravamo diretti.
Quando quella lettera fosse arrivata avrei deciso cosa fare.
Se fossi stato ricercato avrei potuto darmi subito alla macchia, dimenticandomi della missione e magari tenendomi il denaro che il tribuno mi aveva affidato. Una fuga vergognosa e vile, ma che mi avrebbe permesso di salvare la vita.
Cosa potesse avvenire durante l'indagine non mi era per nulla chiaro. I Vigili non avrebbero mai trovato il morto perché se tutto era andato liscio il cadavere era finito nel Tevere. Avevano provveduto a quel servizio certi miei amici della Suburra con i quali avevo saldi legami dai giorni trascorsi insieme nel Carcere Mamertino.
Forse avrebbero addossato qualche colpa al servo dell'uomo, quello che era fuggito; avrebbe potuto essere sospettato di parecchie cose: anzitutto di non avere difeso il suo padrone, com'era suo dovere, e di avere disertato senza fare nessun tentativo di soccorrerlo.
E poi i Vigili avrebbero voluto sicuramente vedere il ferito, o il morto, e invece il servo che si era data alla fuga non era nemmeno in grado di dire dove fosse finito il padrone.
Per quanto rivoltassi nella mia mente la questione, alla fine non avevo altra possibilità che lasciare passare un po' di tempo e stare a vedere cosa succedesse.
Solo a Bononia con l'arrivo della lettera del liberto Hicesius avrei potuto avere notizie sicure sul procedere dell'indagini con cui prendere una decisione definitiva.

Il quinto giorno dalla partenza da Roma superammo Faesulae, e attraverso le colline toscane giungemmo alla base dei monti dell'Appennino.
Ci fermammo a una mansio a mangiare e a dare un po' di riposo ai cavalli, a poco più di cento passi dal miliario che indicava l'imbocco della Via Flaminia Minore.
Quadrato, che aveva ormai esaurito la novità dell'improvvisa partenza, si fece sotto: «Quintilio, vedo che oggi va meglio! E anche stanotte ti ho sentito russare di gusto.»
«Sì, va meglio. Mi fa male il costato, credo di avere una costola rotta. Ma sto migliorando lentamente. Sono un po' preoccupato per questo orecchio.»
L'orecchio in effetti era sempre enorme, e da quel lato non udivo nulla.
«Sarà questione ancora di qualche giorno, ma vedrai che ti riprenderai completamente.»
Mentre si dava da fare attorno a un tegame con della carne, approfittando del fatto che in missione eravamo spesati di tutto, mi chiese: «E per quell'altra questione... hai qualche idea di dove andremo?»
«No, Quadrato, non ho nessuna idea. Il tribuno mi ha detto che è un posto un po' lontano, ma non ho nessuna idea di che luogo si tratti, e lui non voleva parlarmene in fretta e furia... Hai visto che siamo partiti un po' in fretta...»
«Ah, quello non c'è dubbio, sembrava che avessimo dietro i Cadurci! Non ci sarà mica da andare fino in Britannia, no?»
«Fino là spero di no. Se le cose si mettono a posto torneremo a Roma fra qualche settimana.»
«Speriamo! In Caserma ci sono un paio di legionari che sono stati con Cesare in Britannia una decina d'anni fa. Raccontano spesso che quel posto è proprio lontano, più lontano di quello che ti immagini... e tutti quelli che ci sono stati parlano con ammirazione di Cesare, ma se chiedi loro di tornare in Britannia non ne trovi nemmeno uno che ci tornerebbe.»
Interruppi le sue considerazioni: «Penso che arriveremo a Bononia domani sera, e poi sapremo dove ci vogliono mandare. Ma dal tono del discorso che mi ha fatto il tribuno sospetto che sia un posto fuori dai confini della repubblica.»
«Quello è sicuro Quintilio, cosa volevi, che ci mandassero a cercare informazioni nelle terre della repubblica? Abbiamo caserme dappertutto, mica era necessario mandare due male in arnese come noi. Io ho già capito che faremo del lavoro da spie, perché altrimenti avrebbero mandato un drappello con degli ufficiali, non ti pare?»
«Può darsi. Dovremo comprare delle informazioni.»
«Ecco, vedi, non mi sbagliavo!»
«Mi ha dato un migliaio di denari in un sacchetto di cuoio.»
«Una bella somma! Sono più di quattro anni di paga di un legionario!»
Finalmente Quadrato finì di lucidare il tegame col pane, e verso l'ora sesta ci avviammo ad affrontare le prime salite dei monti.
La Via Flaminia Minore la conoscevo assai bene per averci lavorato col reparto del Genio del prefetto Festio. Il campo si trovava a metà strada tra il passo più alto e Bononia, su un falsopiano appena all'inizio delle colline dove erano state acquartierate una cinquantina di pesanti tende da contubernium in pelle bovina.
Anche Quadrato conosceva l'accampamento, una volta vi avevamo fatto base per organizzare una spedizione sulle Alpi.
Alla prima salita ci affiancammo e spiegai a Quadrato: «Guarda che non ci fermeremo all'accampamento.»
«Ah no? Speravo di rivedere un po' di gente. Mi ricordo che avevate un bravo fornaio, sfornava quel pane con dentro i chicchi d'uva secca... pensa, sento l'odore solo a nominarlo!»
«No, Quadrato, non possiamo. È troppo il rischio che mi facciano domande nello stato in cui sono.»
Sapeva che c'erano stati dei guai gravi dietro la mia partenza frettolosa ma meno se ne parlava e meglio sarebbe stato.

Claudio Rossi

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