Uno specchio e quattro monete.
C'era una volta uno specchio a volta. Quando? Dove? Oggi, domani, sempre e ovunque. Una storia accade solo quando qualcuno apre il libro e la legge. Altrimenti nessuno saprà mai se è viva o morta, bella o brutta, appassionante o noiosa. Un po' come il gatto di Schröedinger. Il famoso paradosso di cui tutti parlano e nessuno capisce, ma ti fa venire una voglia matta di aprire la scatola per vedere che fine ha fatto la povera bestiola. La storia inizia con uno specchio a volta, cioè ad arco, come le porte di certe case signorili, poco più alto del ragazzo che gli stava di fronte. Gli specchi sono affascinanti, misteriosi e un po' inquietanti. Tutti lo sanno, nessuno ci fa caso. Quello che vedi, quando ti guardi allo specchio non sei tu, è il tuo contrario. La sua destra è la tua sinistra. Se hai un neo su una guancia, lui ce l'ha sull'altra. Se hai un occhio verde e l'altro azzurro – a volte succede – lui ne ha uno azzurro e l'altro verde. Lo specchio davanti al ragazzo era ancor più sconcertante. Rifletteva la parte posteriore della figura invece di quella anteriore! La nuca invece della faccia, le spalle invece del torace, la schiena invece della pancia e via dicendo. Sembrava che ci fossero due persone perfettamente uguali in fila, una dietro l'altra. Quella dentro lo specchio era immersa in una nebbia e guardava chissà dove, chissà cosa. Allora, Zac capì che era un sogno. Succede di rendersi conto che si sta sognando. Ed è una bella sensazione perché da spettatori si diventa protagonisti e si può decidere il corso degli eventi. Perlomeno, si può tentare. Più o meno come nella vita reale. Zac fece un passo indietro e la sua immagine ne fece uno in avanti. Tornò dov'era prima e anche l'altro Zac tornò al suo posto. Il ragazzo cominciò a chiedersi cosa sarebbe successo se avesse fatto un passo in avanti? Avrebbe sbattuto il naso contro lo specchio? Sarebbe entrato? L'altro Zac sarebbe uscito? Mentre pensava queste cose, udì provenire dall'interno un sussurro indistinto che piano piano si fece più forte, fino a diventare una voce chiara e solenne che gli disse di avanzare.
Zac rimase più indispettito che sorpreso. Uno specchio magico che parla era proprio banale e infantile. Per la miseria, aveva tredici anni, non era mica un bimbo dell'asilo! La voce ripeté l'invito. Zac perse la pazienza e rispose con un seccato: «Stai un po' zitto!» Seguì un breve silenzio nel quale Zac temette di essere stato troppo impulsivo. In fondo, non sapeva con chi o con che cosa aveva a che fare. Ma poi udì un sospiro profondo e la voce continuò: «Forse hai ragione, sono troppo insistente. Ma devi capire: non è facile la vita di uno specchio magico, al giorno d'oggi! Troppa concorrenza! Film in 3D, video giochi sofisticati, effetti speciali, realtà virtuale, realtà aumentata ... uno come me non suscita nessun interesse. Sono un relitto del passato. Ma credimi, nessuno può darti quello che io ti offro. Ascoltami e non te ne pentirai.» Su una cosa lo specchio aveva ragione, Zac si stava annoiando. Si grattò la testa e chiese: «Cosa ci guadagno?» «Solo entrando lo saprai» Il ragazzo fece una smorfia e alzò le spalle in segno di delusione. Lo specchio capì che Zac non si sarebbe lasciato convincere facilmente. Allora, tentò un'altra strada: «Potrei darti quattro zecchini d'oro» Zac non reagì bene: «Zecchini d'oro!? Che roba è?!» «Sono monete preziose ma il loro valore attraversa il tempo e lo spazio» Zac era stufo di quelle risposte fumose e voleva mettere fine a quella tiritera. «Quanto sei palloso! Dammi queste monete e facciamola finita» «Metti la mano in tasca» Zac obbedì ed estrasse quattro scintillanti monete. Sorrise soddisfatto e annuì. Ora poteva entrare. Avanzò lentamente e sentì una leggera brezza sfiorargli il viso. Fissò lo specchiò, trattenne i respiro, avanzò, i due Zac divennero uno, proprio sul confine dello specchio. Chiuse gli occhi per istinto e quando li riaprì, si ritrovò in mezzo ad un bosco fitto di alberi e arbusti. Si guardò intorno, vide un sentiero e lo seguì. Fece solo pochi passi e sentì delle voci. Lasciò il tracciato e si nascose.
Rannicchiato tra i cespugli, vide una bambina vestita di rosso che conversava con un lupo. Zac reagì con un gesto di stizza. Uno stupido specchio magico lo aveva portato in una stupida favola per poppanti! Erano ben altre le sue aspettative. Dopo un momento di indecisione, forse per dispetto, forse per rendere più interessante quella strana avventura, gli venne un'idea terribile: cambiare la storia della favola, fare quello che il lupo non era stato capace di fare, togliere di mezzo Cappuccetto Rosso! Zac non era malvagio. Certo, gli capitava di arrabbiarsi o litigare, ma non era un prepotente, figuriamoci un assassino. Quell'idea un po' truce era nata dalla consapevolezza che, in fondo, si trattava solo di un sogno. Anzi, era il sogno di una favola, il massimo della finzione! Più che altro, Zac era curioso di vedere cosa sarebbe successo. Alla bambina sarebbe spuntato un bernoccolo gigante con gli uccellini intorno, come nei cartoni animati? Lui si sarebbe svegliato? Cappuccetto Rosso sarebbe sparita come una bolla di sapone? Mentre pensava queste cose, il lupo si allontanò e la bambina si mise a raccogliere fiori. Era il momento buono per agire. Si guardò intorno, vide una grossa pietra e la raccolse. Si avvicinò di soppiatto e proprio mentre stava per lanciarla, sentì un grido alle sue spalle: «NOOO!» Zac si girò di scatto e vide un bambino, di nove o dieci anni, che lo guardava esterrefatto. Dopo un attimo di esitazione, il ragazzino si voltò e fuggì tra gli alberi. Aveva capelli lunghi e neri che danzavano sulla nuca, mentre correva agile sul terreno irregolare, scansando rami e cespugli. Dopo aver percorso una ventina di metri, si fermò e si voltò per guardare ancora Zac. Aveva uno sguardo fiero. Restò incerto sul da farsi per un attimo, poi riprese la corsa e sparì tra i rovi del bosco. Zac decise di seguirlo. Non aveva cattive intenzioni, solo capire chi fosse e cosa ci facesse nel suo sogno. Tentò un inseguimento ma mossi pochi passi, il bosco svanì intorno a lui, tutto piombò nel buio e nel silenzio. Dopo un tempo senza tempo, fu svegliato dai rumori provenienti dal primo piano della sua casa e dalla luce mattutina che filtrava dalla finestra della sua stanza. Zac sbadigliò, si stirò e si alzò pigramente, senza alcun ricordo del sogno. Mentre si infilava i pantaloni sentì uno strano tintinnio e vide rotolare sul pavimento le quattro monete d'oro. In un lampo ricordò lo specchio, la voce e tutto il resto. Forse stava sognando di nuovo, ma le monete erano lì, davanti ai suoi piedi. Si abbassò, le raccolse, ne mise una tra i denti come aveva visto fare nei film e le diede un morso: «Ahi!» Non avrebbe saputo dire se erano d'oro, ma senza dubbio erano reali. In qualche modo, le monete avevano valicato il confine tra sogno e realtà. Forse c'erano tante spiegazioni ma a Zac non gliene veniva in mente neanche una. Per il momento, decise solo di non raccontare questa storia assurda a nessuno. Non ci teneva a passare per matto. Rimise in tasca le quattro monete, finì di vestirsi e scese a far colazione. Alla prima occhiata si accorse la mamma era di cattivo umore. Maneggiava rumorosamente tazzine e posate. Era tesa, preoccupata, forse arrabbiata. Zac ignorava il motivo di questa agitazione ma sapeva che ben presto ci sarebbe andato di mezzo lui. Infatti dopo qualche secondo, appena la mamma lo vide, disse con tono severo: «Non devi più andare nel bosco!» «Come, scusa?» «Hai capito bene!» Zac non aveva nessuna intenzione di andare nel bosco. In realtà, si trattava di una grande pineta che divideva due paesi vicini e si estendeva tra la strada e i primi pendii dei monti. Guardò la madre e la sua faccia diceva, sei impazzita? Lei capì e disse: «Non sono matta, guarda qui!» Dicendo queste parole, gettò sul tavolo il giornale locale con una foto in prima pagina e un titolo vistoso: Bambino scomparso nel bosco. Zac gettò un'occhiata al foglio e riconobbe il ragazzino del sogno. Riuscì a fermare solo in parte l'imprecazione: «Porca ... !» La mamma lo fulminò con gli occhi ma stavolta, era più incuriosita dalla reazione del figlio che infastidita dalla mezza parolaccia. «Lo conosci?» «Mai visto» «Sei sicuro? Hai fatto un faccia quando hai visto l'articolo» «Niente, mi ha solo ricordato la favola di Cappuccetto Rosso» La madre lo guardò stizzita. «Ti va di scherzare? Io no! Questa è una cosa seria. Stammi bene a sentire. Non devi allontanarti o andare in luoghi isolati. Chiaro!?» Zac non protestò, nonostante fossero proibizioni ingiustificate. Era ancora sconvolto dalla scoperta. Disse a sua mamma tutto quello che lei voleva sentirsi dire e si preparò per andare a scuola. Salì in camera, raccattò i suoi libri, sparsi ovunque e controllò, per l'ennesima volta, le monete. Nel tragitto verso scuola, Zac ricordò le parole dello specchio: se mi dai una possibilità, non te ne pentirai. Era stato di parola! Stava vivendo un vero mistero.
J.P. Bras
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