Il Viaggio di uno Straniero
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Era buio, una tenebra capace ogni volta di inquietarla nel profondo dell'animo. Un'assenza di luce alla quale non riusciva ad abituarsi. Il suo subconscio la rigettava come qualcosa di innaturale. Viveva in una perenne sensazione di pericolo, ogni volta che si trovava ad affrontare la notte. Subito dopo il crepuscolo, le fioche luci delle candele o del piccolo focolare acceso nella sua modesta abitazione, non riuscivano in alcun modo a soddisfare il suo bisogno di normalità. Una condizione in cui la luce era molto più vivida e presente in ogni momento della sua vita. Ora però aveva altro di cui preoccuparsi. Gli unici suoni che arrivavano alle sue orecchie erano l'affanno del suo respiro, mentre fuggiva nella notte e il ritmo accelerato del suo cuore che ad ogni nuovo battito le dava la sensazione di esplodere, non solo per lo sforzo, ma per il puro terrore che stava provando in quel momento. Intorno a lei un'ampia radura che si allargava in un territorio in parte selvaggio; e costellato di arbusti e rocce affioranti. In quella situazione, mettere un piede in fallo procurandosi qualche ferita nella caduta sarebbe stato molto facile. Lei però non poteva permetterselo poiché stava correndo all'impazzata per salvarsi la vita. C'era qualcosa dietro di lei. Qualcosa che aveva fiutato la sua presenza e che stava rapidamente guadagnando terreno. Poteva sentire il tonfo del suo incedere sul terreno erboso. Il suolo attutiva il rumore, ma lei riusciva a percepirlo al di sopra del suo affanno. Quel suono sordo e sempre più vicino, aumentava il suo panico in un modo che non ricordava di aver mai provato. Sopra di lei un cielo stellato, di incredibile bellezza, faceva da cornice al suo dramma, insieme alla natura incontaminata della piana. Grazie ai due piccoli satelliti che solcavano il cielo a distanza ravvicinata, una tenue luce lunare le permise di valutare, in un fugace momento di lucidità, la sua posizione approssimativa. Si trovava vicino al bosco di Aren. Meno di cento metri davanti a lei iniziava a infittirsi la vegetazione. Ancora uno sforzo e forse sarebbe riuscita a nascondersi in quella macchia. Una volta raggiunta, avrebbe potuto arrampicarsi su qualche albero, o trovare magari un nascondiglio migliore. Con quel pensiero in testa rinnovò il suo sforzo. I muscoli delle gambe bruciavano, ma lei non poteva sentire il dolore. L'adrenalina scatenata dal suo istinto di sopravvivenza le conferiva una resistenza che non sapeva di possedere. Non le era mai stato necessario dare fondo a tutte le sue energie per salvarsi la vita. Era un evento che non aveva ancora vissuto e che non credeva di dover mai affrontare. Ora però la realtà la colpiva con forza, una creatura mai vista era sulle sue tracce e l'avrebbe raggiunta in breve tempo se non avesse continuato a fuggire nel buio. La calma piatta e la noia delle sue giornate l'avevano impigrita e avevano indotto un senso di falsa sicurezza, nel quale si era crogiolata per anni. Non c'erano stati segnali di allarme, almeno non tali da preoccuparla. Nulla che potesse suggerire una minaccia. Poi quel giorno, dopo il crepuscolo, mentre si dirigeva verso la piccola altura vicina al villaggio, come era solita fare, una strana sensazione l'aveva colta. Sulle prime aveva cercato con curiosità di capire per quale motivo avvertisse quella sensazione di cambiamento. Come se ci fosse qualche nuovo elemento nell'ambiente che la circondava. Poi si mise a scrutare dall'alto verso un punto che le sembrava diverso dal solito. Poco più a valle vide una larga macchia scura, come se un grosso animale stesse proiettando un'ombra nella fioca luce delle lune che incedevano pigramente nel firmamento. Sembrava muoversi con circospezione. Stava cercando qualcosa, o qualcuno. Pochi secondi dopo lei si accorse che il vecchio Hylo era sul sentiero poco distante. Non sembrava molto sobrio. Nella migliore tradizione dei mandriani, mestiere che, a quanto ne sapeva lei, svolgeva da tutta la vita, ogni tanto si concedeva una bottiglia di Dobra, un liquore locale che lei aveva sempre odiato per l'odore pungente sprigionato ogni volta che qualcuno ne stappava un fiasco in sua presenza. Procedeva con andatura incerta e la sua sagoma con il copricapo tipico dei mandriani di Soltajth, era inconfondibile per chi viveva già da qualche tempo in quelle terre desolate. La situazione si era fatta davvero strana. Un essere di quelle dimensioni, dalla sagoma bizzarra, sconosciuta, si stava avvicinando in maniera furtiva, approfittando delle tenebre e non sembrava avere buone intenzioni. Sei zampe, almeno quello era il conto che lei aveva fatto dalla posizione in cui si trovava. Una forma del corpo che sembrava più compatibile con la sagoma di un coleottero che con quella di un normale quadrupede. Col passare dei secondi la sua inquietudine e il suo senso di allarme crebbero in maniera vertiginosa. Era paralizzata, non poteva avvertire il viandante perché avrebbe rivelato la sua posizione e, a giudicare da quanto sembrava pericoloso quell'animale, non doveva proprio essere una buona idea. Decise che non aveva altra scelta se non osservare. L'attimo successivo il predatore fece la sua mossa, ma non avvenne nulla di quanto ci si sarebbe aspettati. Si limitò a far vibrare un gruppo di corte antenne che aveva sulla parte anteriore del corpo. Lei le aveva notate a malapena, ma quella vibrazione la raggiunse, producendo un dolore lancinante alle estremità. Le gambe le si piegarono facendola cadere in ginocchio. Il vero bersaglio dell'attacco ebbe però conseguenze peggiori. Cadde a terra come colpito da una crisi epilettica. Nel giro di un batter di ciglia, il mostro era su di lui e una protuberanza, dalla forma indefinibile alla distanza in cui lo stava osservando, apparve, uscendo da quella che doveva essere la testa della creatura, andando a perforare il cranio del malcapitato. La scena, anche con quel poco che i suoi occhi avevano potuto avvertire nella penombra, era raggelante. Uno spettacolo disgustoso e orribile. Appena riuscì a mettersi in piedi, vide che le piccole antenne si muovevano in varie direzioni, come se l'essere stesse scandagliando i dintorni, forse in cerca di un'altra vittima. L'orrore e l'allarme la colsero con la forza di quel momento drammatico e tutto quello che la sua mente riuscì a concepire fu una fuga a perdifiato per le campagne intorno al piccolo villaggio in cui viveva ormai da tempo. Sapeva che quell'essere l'aveva percepita. In qualche modo dentro di lei era scattato un meccanismo di autodifesa che contemplava solo la fuga. Era quella la ragione, l'unico maledetto motivo che la spingeva a dare fondo a tutte le sue energie per sopravvivere, in un frangente che mai si sarebbe aspettata. Era entrata nel fitto degli alberi da una manciata di secondi e già sentiva il rumore di una grossa creatura che si stava facendo strada con rapidità nel cuore del boschetto. Sentiva i rumori innaturali delle sue giunture, la ritmica apertura e chiusura di fauci che poteva solo immaginare alle sue spalle e un ronzio; un suono penetrante che le piccole antenne non smettevano di produrre. Si aspettava da un momento all'altro quella sorta di sensazione che l'aveva quasi paralizzata poco prima. Un pensiero che le faceva orrore dato che sarebbe stata una delle ultime percezioni che avrebbe avuto prima della fine. - No! Non poteva finire cosi, non in quel modo assurdo. Aveva ancora dei compiti da svolgere, la sua vita aveva un senso e lei doveva sopravvivere a tutti i costi. - Con quel pensiero fisso in testa, per un momento la sua mente tornò al passato. Veniva spesso in quel luogo perché sapeva molto bene quanto fosse bella la vista che si poteva godere dal confine a nord del bosco. Le sarebbe bastato fare ancora un centinaio di metri. Ora però quel pensiero era solo un frammento in un vortice di terrore che aveva quasi del tutto conquistato la sua mente. Con le ultime forze disponibili raggiunse un giovane faggio. Si trovava al confine settentrionale del boschetto, subito dopo c'era un salto di quasi trenta metri nel vuoto. Per un momento temette di cedere all'impulso di suicidarsi pur di non cadere nelle grinfie del mostro che l'aveva quasi raggiunta, ma con un acuto potente, il suo istinto di sopravvivenza le urlò di aggrapparsi al tronco del giovane albero. Afferrò la corteccia di un ramo, riuscendo a sfruttare lo slancio della corsa per tirarsi su più velocemente possibile. Abbastanza per non offrire più alcun bersaglio a quella ferale creatura che, lanciata anch'essa al folle inseguimento, si ritrovò totalmente spiazzata, non riuscendo a frenare in tempo. Quella massa chitinosa dalle zampe simili a quelle di un insetto, sfrecciò sotto di lei rovinando nel baratro che gli si aprì davanti all'improvviso. Col cuore ancora impazzito e con i polmoni che bruciavano, cercando di incamerare più aria possibile, si sporse abbastanza per rendersi conto di quanto accaduto al suo mostruoso inseguitore. Era sconvolta, ma vedere quell'essere che rotolava giù per il dirupo riuscì a darle una sensazione di vittoria, abbastanza forte da cancellare almeno in parte il terrore che aveva provato fino a quel momento. Ora riusciva ad osservare meglio le forme completamente sconosciute di quella creatura. Un addome tozzo e massiccio era collegato ad una sezione molto più snella che doveva essere il ricettacolo degli organi sensoriali. Le zampe collegate alla parte inferiore avevano subito parecchi danni nella caduta e una sorta di icore sgorgava da quella che probabilmente era una frattura nell'armatura chitinosa, occorsa durante caduta. Dopo qualche secondo di osservazione, trovò il coraggio di scendere dal ramo che l'aveva salvata, andando a posizionarsi sull'orlo del precipizio, quasi fosse ormai attirata da quella visione cosi aliena. La sua curiosità era sempre stata spiccata e il lavoro che svolgeva era particolarmente adatto a questo lato del suo carattere. Dopo un attimo di riflessione, alzò lo sguardo. Sapeva cosa si sarebbe parato davanti ai suoi occhi. La Torre di Gundoral, Veniva spesso ad osservarla dal limitare del bosco e la sua posizione sopraelevata, unita alle forme cosi massicce, l'avevano da sempre affascinata. Dimora dell'Ulan Rostig Murkath, governatore della Marca di Argath nel nome del Sacro Impero. Aveva imparato quel nome e quei titoli già prima di stabilirsi nel villaggio. Ricordava bene il giorno in cui era arrivata. E ricordava altrettanto bene quale era il suo dovere in quel momento. Appoggiandosi al giovane albero, frugò nella sacca che portava al fianco, estraendone un oggetto piuttosto strano e in totale disarmonia con quel luogo selvaggio. Era semitrasparente, di forma rettangolare. Poco più grande della mano con cui lo teneva. La superficie perfettamente liscia non si poteva ottenere con le tecniche artigianali del posto e per un momento, quando la luce di una delle lune colpì lo strumento, lei riuscì a veder il riflesso della sua immagine sul cristallo. Ciò che vide era un volto, molto comune. I tratti maschili e le rughe conferivano a quell'immagine l'aspetto di un uomo di mezza età. Una corta barba scura con qualche spruzzata di grigio incorniciava il viso. L'unico elemento familiare erano gli occhi. Aveva voluto che il colore dell'iride rimanesse invariato, mantenendo un accattivante azzurro-grigio. Poi, sfiorando lo strumento con l'altra mano si accesero alcuni segnali e delle icone cominciarono a pulsare. A quel punto era pronta a pronunciare le prime parole di quell'assurda serata: - Identificazione: Hotel, Gamma, Whiskey, triplo otto. Agente Echo tredici richiede un contatto con l'Alto Comando per un codice Black Zulu. - La sua voce, camuffata sempre dallo stesso strumento usato per modificare la sua immagine, aveva un tono basso e deciso mentre la sua richiesta veniva processata dal sistema e inviata tramite un satellite ripetitore posizionato in orbita geostazionaria, verso una destinazione situata ad una distanza siderale, nello spazio profondo. Si decise a spegnere il dispositivo olografico che le permetteva di assumere una forma differente dalla sua. Avevano deciso subito di fornirgli quel dispositivo, un semplice bracciale a prima vista, proprio perché avrebbe avuto a che fare con una cultura molto arretrata. Sarebbe stato molto più agevole presentarsi come uomo. Lei era Remus, l'apotecario del villaggio.
Magnus Torque
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