Tornò alla Galerie nel tardo pomeriggio. Marguerite gli porse un biglietto di Karin in una busta incollata: L'aprì e lesse: ≪Ti aspetto da me alle otto e trenta≫. C'era tempo; approfittò per visitare ancora le sale e guardare altri dipinti appesi sulle pareti. L'atmosfera di quella Galerie continuava ad affascinarlo. Restava un luogo unico e affascinante, non un semplice piccolo museo, ma la metafora dell'arte stessa, una vera fabbrica dell'arte. Passò ancora davanti a tele già viste, cercando qualcosa che gli era sfuggito. Davanti a una sala che non aveva ancora visitato, lesse, su una targa posta sul muro in cui era praticata l'apertura di accesso: LA REALTA' IN FUGA. Incuriosito varcò la soglia. La prima impressione, guardando le pareti, fu che nulla sarebbe stato più semplice: abbandonate le celebrazioni delle figure, della storia, delle esplorazioni degli astrattisti, si trovò, in un piccolo atrio che faceva da prologo a un ambiente molto più ampio, davanti a un dipinto di Edward Burne-Jones, un pittore che non conosceva. Di fianco, nella piccola targa posta in linea con la base del quadro, il titolo: IL DESTINO È COMPIUTO. Era stato attratto non tanto dalla rappresentazione di un Perseo che sta per uccidere un mostro marino, quanto dalla figura di una ragazza nuda e di schiena, perfetta nella gentilezza delle forme e nella sensualità del movimento delle gambe. Sembrava fosse in procinto di muovere dei passi, abbandonando l'eroe che, armato di spada, era ormai pronto per recidere i tentacoli mostruosi, eppure simili alle foglie di un'agave, di un animale antico che solo la fantasia di un preraffaellita poteva aver immaginato a contatto con l'armonia nuda della ragazza. La ragazza si volgeva a guardare la scena con espressione priva di tensione, ma solo di curiosa attesa; e, d'altra parte, anche il Perseo sembrava minimamente preoccupato di uccidere, come se stesse svolgendo un compito di formale impegno contro braccia che lo avrebbero potuto stritolare in un attimo, solo che lo avessero deciso. Un contrasto voluto e realizzato tra pittura e proposta di una nuova filosofia della vita. La mancanza di pathos lasciava intendere un ambiente in cui dominava non l'umano, ma la magia: un armamentario in cui tutto lo spazio del dipinto era denso di figure e privo di spazi liberi. Philip non fu piacevolmente attratto dal volto della ragazza, troppo disinteressato alla vita e asetticamente privo di dramma; ammirò solo la forma delle gambe e del sedere di lei. Nella sala non potè non notare le forme della Toletta di Ester di Chasseriau, evidentemente un pittore erotico-figurativo. Restò a guardare il volto della donna dipinta, probabilmente ispirato alla primavera del Botticelli, senza averne lo stile e l'armonia. Guardò l'orologio, si stava facendo tardi. Tornò indietro e passò davanti a Marguerite che, nell'atteggiamento, sembrava voler sottolineare la differenza con Samira: fu cortese nel salutarlo, restando anonima nei modi e nel sorriso. Philip uscì, non gli restava molto tempo, doveva passare per gli Champs e prendere un omaggio floreale da portare a Karin. Si fermò da un fiorista non lontano dall' Étoile e acquistò un mazzo di rose rosse. Proseguì a piedi, su un mezzo pubblico: i fiori correvano il rischio di rovinarsi. Attraversò il Parc, digitò i numeri sulla pulsantiera a fianco del portone e salì al primo piano. Karin era sulla porta, indossava una giacca blu con una camicetta bianca, un abbigliamento che a Philip era sempre piaciuto molto. La tavola rotonda era apparecchiata con una tovaglia di lino che motivi floreali, delicati nel colore e nella fattura, rendevano elegante e natalizia. "Stasera ti farò mangiare, finalmente" gli disse, mentre sistemava le rose in un vaso. "E il tuo Tobas?" Chiese Philip. "Mi ha mandato un biglietto di auguri natalizi." "Tutto qui?" "Cos'altro?" "Niente; è innamorato di te?" "Ma neanche per idea! Forse lo è stato anni fa, adesso è solo un buon amico, anche se mi sposerebbe ancora. Sono io che non lo vorrei. Saresti geloso?" "Tutti lo siamo sempre, della persona che si ama." "E tu mi ami?" "Quanto tu ami me." "Ti ho preparato un boeuf alla bourguignonne, cioè cotto nel vino di Borgogna, con cipolline e champignons. Non lo faccio mai per nessuno. E il vino, sai che io non bevo ... ho acquistato una delle tue passioni, il Passetoutgrain. Per finire, una torta al cioccolato." Mangiarono parlando, ma con la sensazione che il momento delle parole vere dovesse ancora arrivare. "Hai fatto tutto questo per me?" "Così non ti lamenterai che ti faccio digiunare!" Si spostarono sul piccolo divano e Karin appoggiò la testa sulla spalla di Philip. Rimase così per qualche minuto, poi, sollevandosi, Karin gli chiese: "Perché mi hai fatto quella domanda su Tobas?" "Ogni tanto anch'io posso essere vittima di gelosia, che è un sentimento che può nascere dal sapere ma anche dal non sapere." "Dal non sapere amando, può nascere la gelosia più devastante. Perché l'immaginazione può portare a immaginare scenari che il cuore e la mente rifiutano ... Qualche volta si può giocare, si può provocare, soprattutto con chi si ama di più." "E senza amore?" Insistette Philip. "Senza amore non si ha bisogno della gelosia, i sentimenti finiscono per vivacchiare all'ombra dell'acquiescenza, di un già conquistato che non richiede più impegno, ma non si ha neanche la voglia di esplorare oltre ogni limite le possibilità dell'appartenersi." "Vuoi dire ... al di là di ogni rassicurante penombra, che sarebbe un segno di ambiguità o preludio ed epigono di incontri senza emozioni?" "Sì; al di là di quell'oscurità invisibile dove il non detto trova l'humus per coltivare le illusioni più piatte e le sue ritrattazioni. Sei qui, adesso, e forse anche tu, come me, senti che non è più come le altre volte, quando, pur vivendo liberamente trasporto e passione, non ci siamo resi conto sino in fondo che un residuo di maschera sopravviveva in noi anche a nostra insaputa, ingannando in tal modo volontà e lucidità che vorremmo ci vivessero sempre dentro." Philip taceva, ma capiva che Karin si stava spingendo verso uno di quegli orizzonti che spesso ci si rifiuta di guardare, per paura dell'inconoscibile. Stava cercando di corrompere sicurezze banalmente affidabili, pronta ad addentrarsi nella conoscenza del bene e del male, tra allegrezza e morbosi abbandoni. Aveva solo bisogno della complicità di Philip. "Sei venuto da me, e oggi, stanotte, puoi gettare via quella maschera che inconsapevolmente, e in fondo senza peccato, ti porti dentro. E anch'io voglio essere con te allo stesso modo, con la volontà di liberarmi a mia volta, di essere nuda nell'anima davanti a te. Stasera, puoi creare il miracolo di un'opera la cui idea vive dentro di te da sempre ma che, per noia o paura, ti sei sempre vergognato di mostrare." Philip continuava ad ascoltare, indovinando alcuni aspetti di Karin che aveva solo intuito, ma che l'abitudine agli affanni e alle passività quotidiane avevano nascosto. "Ti sto parlando Philip, e vorrei pronunciare non il tuo nome, ma dire più semplicemente: amore mio. E nel momento in cui le mie parole hanno avuto la possibilità di essere pronunciate, per un attimo ho avuto paura del loro diventare dichiaratamente eloquenti, ma anche appena comprensibili al tuo ascolto e alla tua voglia di complicità. Sembrano tante, eppure sono poche: ruotano su se stesse, aggirandosi in questo mio appartamento da dove scoprire la notte. Eppure, anche nella loro pochezza, fanno accadere tante cose che riguardano il comprendersi e i cambiamenti possibili, quelli che aspettano noi come anche tutti coloro che desiderano amarsi." Tacque per qualche minuto, mentre Philip, pur desiderando interloquire, si lasciava andare ad ascoltare e ad abbandonarsi a quella che sembrava una confessione. E Karin, invogliata dall' attenzione che leggeva sul volto di lui, continuò: "Cerco la verità, lo avrai compreso; una verità troppo semplice per essere visibile agli occhi di chiunque. Una verità che sembra poter riguardare la conoscenza dell'universo mondo, ma che, minimalisticamente, può essere riferita anche solo al mio mostrami a te. Allora, ti sembro una donna che possa frequentare il letto di un uomo per capriccio? E mi riallaccio alle parole con cui tutto questo discorso è nato: fossi andata a letto con Tobas a Venezia o a Firenze, sarebbe stato, appunto, un capriccio. E tu saresti stato geloso per un inconcludente e povero episodio, masochisticamente ludico. Se tu lo pensassi, vorrebbe dire che non sono stata capace di farmi conoscere veramente, e avresti ben ragione a considerare in me una donna che insegue sogni infantili. Io, ingenuamente, ho omesso, in altre occasioni, di mostrarti la mia essenza più profonda; ma tu quante volte hai tradito la tua capacità di conoscere veramente una donna? Adesso, se lo vogliamo, possiamo mettere da parte la voglia di nasconderci e iniziare a guardarci veramente negli occhi. Dimmi, lo desideri anche tu?" "Potrei negarlo, a te e a me stesso?" "No, non puoi più, ormai. Perché io stasera sto suggellando un impegno d'amore con te. Un impegno la cui firma non ha bisogno di testimoni." "Dici la verità, Karin, e io non posso che immergermi in essa con te!" "Allora, possiamo cercare la pienezza del vivere insieme. Forse ho avuto bisogno di tempo, e tu con me, per cercarmi la verità dentro. E tu, dopo questa notte, come potresti guardare negli occhi un'altra donna? Non potresti! Non solo per fedeltà, ma per non essere la semplice ombra di un uomo." "Non potrei, Karin, perché l'amore ha bisogno sì di un letto, ma anche del mondo su cui far sentire l'alito della sentimentalità che vive dentro ognuno di noi; un mondo a cui mostrare uno sguardo depurato da ogni infida malignità. Potrei dire che l'amore, come la vera bellezza, non è altro che la promessa della felicità." Karin spense la luce centrale della stanza, lasciando accesa solo una lampada da tavolo. Nella semioscurità e nel silenzio, Philip intravide gli occhi di lei che lo guardavano come se fosse la prima volta.
Paolo Massimo Rossi
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