Primo giorno. Lunedì 25 luglio 2022.
Quando devi scegliere se credere o meno, sei combattuto da forze opposte l'una non meno angosciosa dell'altra. Che dovevo pensare, adesso, di un Dio o della Natura o del Nulla, che donava al mondo un così prezioso bene come quella donna giovane, dolce e scombinata, che ancora mi doveva rivelare chissà quale segreto?
La nuvola bretone.
Acquistati i biglietti per un TGV per Parigi, in partenza tre giorni dopo, consumavo un po' del mio tempo vacanziero nella hall della Stazione di Rennes, sovrastata da un copertura eterea e trasparente, sorretta da una foresta di pilastri in legno e cemento, sospesa come nuvola leggera e luminosa sul dinamico sciame di viaggiatori in attesa, in arrivo e in partenza. Oziando con lo sguardo lungo i contorni di quella collina artificiale di cielo bretone, incrociai una cascata di capelli rossi in minigonna verde acqua, camicetta bianca come la pelle, annodata in vita. Sandali di cuoio nero in cui finivano due gambe dritte, magre e toniche. Mi dava le spalle mentre leggeva il tabellone delle partenze, in eterno aggiornamento. La osservavo da un po', non sapevo decidermi a decifrare il suo rebus, di trentenne in perenne ritardo, o di calma femme fatale in attesa di eventi. La borsa a tracolla e una certa trasandatezza non priva di fascino, mi facevano pensare alla prima possibilità; ma quando si voltò un attimo, quel rossetto rosso acceso ed il volto fine ed etereo, di angelica depravazione a contrasto con gli occhi verdi e infernali, senza dubbio alla seconda. Vicino ai piedi era poggiata una borsa da viaggio, ricolma di cose. La trasandatezza era tutta nei capelli scarmigliati, arruffati qua e là in grovigli omoclini, in un bottone della camicetta sghembo nell'asola di un altro, e in un bigliettino che pendeva da una tasca posteriore della gonna, come foglia appesa in attesa del distacco autunnale. Scattai una foto che conservo ancora fra i ricordi delle estati. A un tratto il bigliettino si staccò, vorticando a terra. Lei si mosse verso un bar vicino. Lo raccolsi velocemente. A una prima rapida occhiata pareva un disegno fatto con un lapis spesso. Una casa con delle torri, in riva al mare. Indeciso sul da farsi, raccolsi il mio grossolano e scarso francese e mi avvicinai a quella specie di fatina bianco-rosso-verde. «Excusez-moi, mademoiselle, çeci devrait etre à vous...» Lei mi guardò un po' sorpresa, poi le scappò da ridere... prese il biglietto, lo guardò e lo rimise in tasca. «Il tuo francese è terribile, per fortuna ho studiato pittura a Firenze. Belle Arti in Via Ricasoli, conosci?» Parlava bene italiano, con quel meraviglioso accento francese che tortura abbondantemente le r e sembra cogliere sul fatto tutte le tue marachelle. Un rapidissimo bacetto sulla guancia al profumo di vaniglia mi fulminò, inaspettato, i pensieri. «Hai salvato il mio Château Turpault», mi strizzò uno degli occhietti infernali. «Prendi un caffè con me, vieni!» E mi tirò per un braccio, con la sua piccola mano, una bianchissima e fredda, le cui unghie, lunghe come artigli, erano laccate di nero. Mi lasciai trasportare come una zattera dalle onde, a vela ammainata. Portami dove vuoi, mon amour. E pensare che la sera precedente, avevo affidato ai social, col mio alter ego affezionatissimo, un commento sulla stupidità estrema degli uomini che si sciolgono ad una carezza femminile. Ne avevo poi discusso con i miei compagni di avventure e d'estate, Franco e Luigi, che aspettavano me e i biglietti del TGV a pranzo, per le vie oziose e delicate, fra le case storte, a pans des bois e colombage, nel centro di Rennes. «Come lo vuoi il caffè, allongè, à la crème, noisette o gourmand?» «Café noir?» «Non è buono, te lo prendo gourmand, con i pasticcini mignon...» «Oui mon capitaine!» Lei sorrise mostrandomi il ditino medio, bianco e affusolato, con una baionetta nera in cima. Ci sedemmo ad un tavolino rotondo, vicino al vetro che dava sulle rotaie, un po' in disparte rispetto alla folla. Io impettito e rigido, lei davanti a me, sprofondata nella sedia. Aveva abbandonato i suoi sandali e appoggiato i piedi sul traversino della mia. Circondato dalla sua dolcezza rouge, era impossibile non innamorarsi di questa vispa Teresa francese, che mi pareva mezza matta ma piena di un fascino irresistibile. Ma avrà avuto trenta, forse trentacinque anni, io quaratacinque. «Meglio parlare in italiano, che dici?» fece lei. «Molto meglio, sì, anche se devo imparare...» In quel momento io rabbrividii leggermente. «Ti insegnerò qualcosa, mon trésor» disse ridendo. «Nei cinque minuti di un caffè, saresti proprio brava.» Arricciai il labbro inferiore, sollevando le sopracciglia. «Pourquoi tu ne m'accompagnes pas?» fece sorpresa, mentre afferrava col cucchiaio la panna del suo cafè à la crème. Questo l'avevo capito bene. La prospettiva era assolutamente improbabile ma decisamente soddisfacente. «Ehm, ho due amici qui...ehm, Luigi e Franco si chiamano. Mi aspettano a pranzo.» "Allora chiamali, sciocco!... E digli che oggi sei requisito dall'Acadèmie Française, per rendere un servizio alla famosa pittrice Lorraine Lambert!» Scoppiò a ridere, mentre appoggiavo la faccia sul palmo della mano, bofonchiando un «Eh?!». Si toccò un po' i capelli come a volerli arricciare e, poi, li portò tutti a sinistra, sul petto, in una scia lavica fino all'ingresso del seno, piccolo ma evidente. «Fra 15 minuti parte il mio treno per il Quiberon, c'è giusto il tempo per fare il tuo biglietto, vieni!» Sembrava un ordine, e io uno di quei cagnolini buoni e zitti al guinzaglio. Ma la mia padrona aveva un irresistibile profumo di vaniglia, e l'anima nera di una giovane strega, anche se pareva Biancaneve. «Ti faccio io il biglietto, dammi i soldi.» Le offrii la carta e, dopo aver fatto una breve fila, già scendevamo verso il binario giusto. «Se ti può interessare, mi chiamo Alessandro...Alessandro Zocchi», le dissi, visto che non mi aveva ancora chiesto il nome. «Ti chiamerò come mi pare, mon trésor, a me piacciono i diminuitivi. Al, o Alex, d'accord?» «Quanti anni hai, cinquanta?» «Non dire stupidaggini, bimba, poco più di quaranta, e corro duemilacinquecento chilometri all'anno» le sorrisi un po' accigliato. «Io trentaquattro, piacere. Non sono sposata, né fidanzata, vivo di amanti, uno o due al mese, e dipingo». «Aujourd'hui, tu es mon amant. Mais pas de sex, juste des bisous.» In treno, si sedette accanto a me. Prese posto sul sedile alla mia destra, potevo sentire il calore del suo corpo tanto era attaccato al mio. Indossò le cuffiette e cominciò ad ascoltare musica, appena partì il treno. I piedi nudi sul sedile davanti. Sedeva tutta storta, e i suoi meravigliosi capelli annodati mi solleticavano labbra e naso, all'ondeggiare del treno. Forse pensò che mi annoiassi, mentre ero per metà in paradiso e per l'altra all'inferno, e la mia mente inconscia aveva già deciso di aderire al sé di lei come una perla all'ostrica. Allora, senza dir nulla, mi offrì una cuffietta che strillava George Brassens - Les copains d'abord, assestandomi un bacetto storto sulla guancia sinistra. Seguirono Brave Margot, Le Gorille, Le Pornographe, Le Bullettin de la Santè. Poi chiusi gli occhi ed entrai in una notte tricolore, con prevalenza di rosso profumato. Ci svegliò il controllare.
Affare di trenta secondi, ma l'evento rianimò Lorraine. Per ciò che mi riguarda, avrei dormito così fino alla venuta dell'Anticristo. «Che ci facciamo nel Quiberon, Bimba?» feci con un mezzo sbadiglio. «Il bagno ed un quadro. Voglio dipingere lo Châteaux, non hai forse salvato tu il mio bozzetto?» «Sei veloce a dipingere, Baby!» Mi assestò un pugnetto tra le costole ed un piccolo morso sul naso. «Per te io sono Lorraine, in privato Lo.» «E l'unico diminuitivo che accetto è Petit Chat o Chérie. D'accord?» Fece una faccina seria che scivolò presto in una risata flebile ma irrefrenabile. «Comunque, mi ci vorrà un giorno e una notte, ripartiamo domani pomeriggio.» «Lo, io sono senza bagaglio, ho solo un marsupio e tre biglietti TGV per Parigi.» «Non preoccuparti, ho tutto io.» "Te porti la 38, e poi non mi piacciono gli slip femminili e il reggiseno.» «Fa caldo la notte, nel Quiberon, puoi dormire nudo. Poi Louis ci aiuterà. Dormiamo da lui, è un pescatore che ha una dependance carina.» «Io e te dormiremo insieme?» spalancai gli occhi tipo carta assorbente. «Certo il letto è uno, un matrimoniale francese. Ma non faremo sesso, lo sai. Juste des bisou.» Sembrava la cosa più normale del mondo, per quella deliziosa creatura infernale.
«Con te, non potrei fare l'amore che davanti a una follia fantastica!» «Lorraine, tu mi vuoi male. Però sarò il tuo fedele scudiero, non so se hai letto di Don Quijote e della sua Dulcinea del Toboso.» «Sciocchino!», e dopo un altro pugnetto nel costato, indossò di nuovo le cuffiette e arrivederci al Quiberon.
Appena entrati in stazione, puntuale come una zanzara in una palude, suonò The power of love, dal mio cellulare. «Ma si può sapere dove sei finito, testa di minchia?» Era Luigi, detto Luigino, con suo solito gentil modo amichevole di fiorentino doc. In sottofondo Franco, che rinforzava. «Diciamo che sono coinvolto in “une affaire artistique”. Mi appello al quinto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.» «Però ho preso i biglietti per giovedì, TGV Rennes Paris delle 17.28.» «Seee, se pensi di cavartela così...» Lorraine mi sfilò con la sua dolce manina armata il cellulare e intervenne per chiudere la questione da par suo. «Amici miei, ho sequestrato Alessandro per tre giorni. Se lo volete recuperare, dovete pagare 500€; ve lo restituirò gratuitamente e senza un graffio giovedì. D'accordo? Addio!» Chiuse la comunicazione, mi schioccò un bacetto sulla guancia e mi prese per mano verso l'ignota penisola del Qui-beron, che assomigliava sempre più al Paese delle Meraviglie.
Mi sfiorò il pensiero che tre giorni erano pochi, un nulla infinitesimo rispetto a tutte le vite che avrei potuto vivere con una Alice così. «Corri lumacone, siamo ancora in tempo per il bagno...» Corremmo a perdifiato per le strade di quel paesino minuscolo circondato da una ampia scogliera, fino a una casa vicino a una scarpata, con una propaggine costituita da quello che, una volta doveva essere un piccolo molo, ed ora erano vestigia e ruderi dei tempi romani. Però vi erano ancora tre barche ancorate, e dalla più vec-chia e malmessa sbucò un gigante quasi obeso con le braccia enormi, tatuate di donne e squali. «Louis, mon amour!», la gattina tricolore gli si gettò addosso abbracciandolo come si fa con il babbo, baciandolo a raffica ovunque nel viso, salvo che sulle labbra. «Ma petit chaton, bienvenu! ... regarde-moi, tu es ravissante!» E la fece ruotare nell'aria afferrandola per i polsi, come si fa con i bambini piccoli per farli volare, facendola poi atterrare sulle sue braccia possenti raccolte a culla. La famosa dependance di Louis era la seconda barca attraccata, con una cameretta assortita nella cabina, il letto era un mini matrimoniale francese e ci saremmo stati ben stretti e caldi, , io e la francesina rouge. Poi un cucinino con un fornello e la scaletta per salire sul ponte. Prendemmo un asciugamano da mare, fornito da Louis, e raggiungemmo una minuscola spiaggetta di sassi incastonata alla fine della scogliera, ancora a portata di sole e nuoto. Lorraine cominciò a spogliarsi e restò nuda, davanti a me vestito e come un palo piantato nella roccia. Si avvicinò, con quei seni piccoli e appuntiti e il triangolino folto del sesso, di un rosso ancora più acceso dei capelli. «Spogliati, si fa il bagno!» Un po' controvoglia, guardandomi attorno per accertarmi della solitudine, mi tolsi i vestiti. Un bagno così, pensai, non l'avevo mai fatto. I sassi bucavano i piedi nudi, e mi muovevo come un robocop arrugginito, sperando di giungere all'acqua senza scorticarmi. Lei era già balzata dentro e sbracciava a stile libero in lontananza. Mi distesi su un sasso piatto, tra l'acqua e l'aria, godendomi il sole e quella situazione a metà tra il kafkiano e il naturismo. Dopo un po' mi raggiunse, distendendosi accanto. «Chiudi gli occhi e dimmi come dipingeresti il cielo!» «Nero nero, con nel mezzo una palla di fuoco rosso avvolto nei capelli di Medusa...» «Io disegnerei il mare nel cielo, coi pesci, e il cielo nel mare, con le nuvole...» Mi si strinse accanto, abbracciandomi per un interminabile minuto, con tutte le ovvie conseguenze dell'eccitazione.... quella massa di capelli umidi e tentacolari oramai mi appartenevano... «A me sembra che siamo di fronte a una fantastica follia!», azzardai io... «Mais no, mais no! Vieni, andiamo, è tempo di dipingere per me!» Lo Châteaux Turpault distava circa 2 km dalle barche di Louis; quindi inforcammo due biciclette d'epoca, mezze arrugginite, con i freni a bacchetta e le gomme lisce, trovate in uno dei magazzini del pescatore e arrivammo nei pressi in pochi minuti. Da lontano sembrava bellissimo, un tempio di fiabe, via via che ci avvicinavamo mi apparve sempre più recente, come una copia novecentesca dei castelli rinascimentali. Dotato di una torre merlata, due a spiovente in pianta ottagonale, una cinta muraria affacciata sul mare, non era un monumento storico importante ma una specie di costruzione Disney che parodiava il passato. Lorraine fermò la bici a circa trecento metri dal Castello, in un luogo con una bella prospettiva angolare sulla costruzione e sul mare che si raccordava al resto della penisola del Quiberon, all'orizzonte. Tutta presa, scaricò la borsa, montò cavalletto e tela, pose il bozzetto in un angolo e iniziò a tracciare righe, curve e figure coi carboncini, con molta sicurezza. Abbozzò il profilo del castello, poi approfondì la prospettiva dello sfondo, in uno stile agile e armonico, la versione seducente di Turner o Constable. Pensava agli oggetti come linee, colori e sfumature; osser-vata di profilo sembrava un'instancabile regina vichinga, con pennelli e spatole al posto di spada e lancia. In breve aveva finito la prima seduta in cui aveva abbozzato bene nei dettagli il castello e suggerito gli sfondi del mare e della Penisola, curva e sfuggente all'orizzonte. Soddisfatta si sedette a guardare il sole che calava, di sbieco nell'orizzonte, appoggiata sulle braccia distese a leva all'indietro. «Viens me tenir compagnie, pendant que le mer engloutit le soleil...» Tirava una brezza leggera, e temevo avesse freddo, mezza nuda com'era. Le cinsi le spalle con le braccia e mi appoggiai a lei leggermente. «Domattina torniamo qui, e mi racconti una storia mentre dipingo.» Mi solleticò il naso, si alzò, caricò la sua roba nella borsa e inforcò la bici. Cenammo sul ponte della barca, davanti alla brezza marina che rinforzava, avvolti in due incerate gialle trovate in cabina. Louis aveva preparato per noi, prima di andar per mare a pesca, due spigole sfilettate e poi cotte intere al forno, con un filo d'olio d'oliva. Annaffiammo la cena con del Muscadet, e di godemmo in silenzio l'ondeggiare della barca e il lieve sciacquio del mare. «On va se coucher?» Si vedeva che crollava dal sonno. Scese la scaletta, si spoglio e si infilò sotto le coperte, dalla parte destra del letto. La raggiunsi subito, e l'abbracciai, la sua schiena bianca e calda contro il mio petto. «Ho paura della notte. Vivo di luce. Proteggimi dal buio e raccontami una storia per i miei sogni.» A completare la raccolta dei personaggi che avevo interpretato quel giorno, ecco la figura del fratello maggiore che mette a letto la sua sorellina e le racconta una favola per condurla dolcemente nei sogni. Scelsi Il treno sulla Porrettana, la storia di un bimbo che scopre e guida i treni di una linea secondaria ma affascinante dell'Italia centrale, con tutte le emozioni, e gli incontri che si possono immaginare con la gente più disparata. Ma potevo scegliere qualsiasi cosa, perché Lorraine, già dopo due minuti che le sussurravo parole, si era addormentata spargendo intorno la sua dolcezza, in un respiro flebile, avvolta da quel suo mare di capelli rossi da strega. Quando devi scegliere se credere o meno, sei combattuto da forze opposte, l'una non meno angosciosa dell'altra. Che dovevo pensare, adesso, di un Dio, o della Natura, o del Nulla, che donava al mondo un così prezioso bene come quella donna, giovane, dolce e scombinata che ancora mi doveva rivelare chissà quale segreto?
Alberto Mati
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