Autore:
Leo Augliera |
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Narrativa
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Ci illudiamo di dimenticate. Arriva però sempre il momento in cui dovremo fare i conti con un passato dai contorni talmente confusi da farci sperare di non ricordare gli errori commessi. Con tenacia ci rifiutiamo di mantenere la mente lucida, perché ciò ci costringerebbe a ripensare quello che abbiamo fatto. Preferiamo credere che la vita trascorsa non ci appartenga più e che il passato sia ormai privo di senso ed esente dal rimorso. Ma basta niente per fare ricomparire, uno dopo l'altro, i fantasmi che si credevano svaniti o addirittura rinnegati dalla nostra coscienza. Giuseppe era un uomo decisamente insignificante, apparteneva a quella specie di umanità che non riesce a guardare il futuro se non per vedere il giorno della fine, immaginato perfino più misero e squallido di tutti quelli che lo hanno preceduto. Viveva ormai rintanato tra le mura della sua casa, convinto che fosse l'unico rimedio per proteggersi da tutto quello che stava fuori. Attendeva, immobile e speranzoso, che il giorno appena iniziato fosse uguale in tutto e per tutto a quelli che erano trascorsi. Quella mattina d'autunno del 1984 non c'era niente che potesse far prevedere lo sconvolgimento delle sue abitudini: le mura, il giornale e perfino la solitudine erano quelli di sempre. L'atmosfera plumbea di Brooklyn, che preannunciava un inverno particolarmente rigido, batteva insistentemente alla sua finestra. Ma Giuseppe sembrava non accorgersene, concentrato com'era a costruire il modellino della Santa Maria, caravella usata da Cristoforo Colombo per scoprire il Nuovo Mondo. Quello era l'unico momento della giornata che gli ricordava di essere italiano. Era sceso dalla nave a Ellis Island, in fuga dalle macerie dell'Europa, disperato tra i disperati, subito dopo la seconda guerra mondiale: finalmente approdava in un posto che riusciva ancora ad accogliere chi chiedeva aiuto e protezione. Fuggendo dagli orrori e dalla distruzione che aveva raso al suolo l'intera Europa e lacerato il suo paese in una guerra civile cercava, nella terra promessa, la luce necessaria per schiacciare il buio che si portava dentro. Guardava con orgoglio la Santa Maria, che stava costruendo con dedizione e certosina pazienza, mentre i suoi occhi s'inumidivano: non poteva fare a meno di pensare che il grande paese che lo aveva accolto era nato grazie a un italiano. Già, un italiano come lui. La radio, come sempre, continuava a trasmettere canzoni vecchie e nuove; ogni ora uno speaker dalla voce calda e seriosa snocciolava notizie più o meno buone, creando un'atmosfera strana, quasi sospesa.
“Sono le ore 9,30... Giornale radio... Si è concluso l'incontro tra i sindacati e la General Motors. Tale intervento, richiesto da entrambi le parti, dovrebbe garantire il rinnovo del contratto dei lavoratori dell'industria automobilistica... Politica estera. Il Segretario di Stato americano, nel suo giro di consultazioni con i leader dei Paesi del Mediterraneo, oggi si è incontrato con il Primo Ministro israeliano; i colloqui, che si presume verteranno sulla situazione medio-orientale, sono ancora in corso... Cronaca... Un flash d'agenzia ci avverte che pochi minuti fa, un solitario ha tentato di rapinare una banca a Brooklyn. All'intervento tempestivo di un poliziotto in borghese, che si trovava lì per caso, il bandito non ha esitato a far fuoco, ferendo la stessa guardia e un cliente che in quel momento stava dentro l'ufficio. Il rapinatore solitario è riuscito a dileguarsi a piedi, ma è attivamente ricercato dalla polizia, che ha istituito posti di blocco nella zona... Ancora cronaca. Sei gemelli hanno visto la luce in un ospedale di...”
Lo squillo del telefono coprì la litania. Giuseppe si alzò lentamente dalla sua postazione, spense la radio e sollevò la cornetta. “Ciao Giuseppe, come ti senti oggi?” Ancor prima di rispondere, Giuseppe sapeva chi stava dall'altra parte del telefono: era George, l'amico di sempre, l'ex collega d'ufficio con cui aveva creato una complicità strana, quasi morbosa, consolidata in più di trent'anni trascorsi l'uno di fronte all'altro, dietro le scrivanie di un angusto ufficio. Non lo aveva più incontrato dal giorno della pensione, ma l'amicizia continuava grazie a quella telefonata, che si ripeteva puntuale ogni mattina. Ormai entrambi si erano convinti che il loro scambio di notizie, spesso banali e prive di senso, fosse necessario per iniziare bene la giornata. Giuseppe era diventato, dopo tanti anni, il confidente privilegiato del collega e pazienza se, spesse volte, eccedeva in loquacità. L'appuntamento quotidiano non gli arrecava alcun fastidio, anzi, la telefonata era un motivo in più per compiacersi del suo stile di vita, per ripetersi tutti i giorni che aveva speso bene la sua esistenza; tanto bene che gli amici, i veri amici, non avevano rinunciato a tenerlo nella considerazione che meritava. “Meglio. Il mal di gola che avevo ieri è quasi del tutto passato.” “Meno male, almeno tu stai bene. Io invece ho un diavolo per capello... Non puoi immaginare quello che mi è successo, se ci penso mi viene un travaso di bile!” Giuseppe non s'impressionò del tono dell'amico, lo conosceva molto bene e sapeva della sua attitudine a drammatizzare anche cose che non meritavano alcuna considerazione. “Addirittura! Che cosa è successo di tanto grave?” Il suo tono era divertito. George non sembrò accorgersi dell'ironia dell'amico, tanto che continuò a raccontare mantenendo il tono con cui aveva esordito. “Che cosa è successo? Se sei seduto, tieniti stretto alla poltrona perché ti voglio raccontare una cosa incredibile, fuori da ogni logica... Stamattina sono uscito presto da casa. Sai, la notte non ero riuscito a chiudere occhio e alle prime luci ero talmente agitato che sono saltato giù dal letto, con l'intenzione di uscire a fare quattro passi... È incredibile il senso di libertà che si prova a camminare per le strade a quell'ora del mattino. Praticamente ero solo, felice della quiete che mi stava ripagando del nervosismo accumulato durante la notte. Perfino il freddo pungente mi piaceva, facendomi sentire, a ogni passo, sempre più vivo. Mentre mi godevo la pace che regnava, sai chi t'incontro?... Prova a indovinare, se ci riesci.” George raccontava sempre le sue banalità quotidiane appiccicando qua e là stupidi indovinelli. “Come posso sapere chi hai incontrato stamattina!” Le domande a trabocchetto forse erano l'unica cosa che irritassero veramente Giuseppe. “Ma si, in fondo è più facile di quanto credi.” “Ti dico che non lo so.” “Va bene, va bene, allora te lo dico io... Ti ricordi di Marzio, quello dell'ufficio progetti? Ma sì che te lo ricordi. Era magrissimo, con un gran naso, sembrava un corvaccio del malaugurio e lo prendevamo in giro per quella sua voce stridula, da zitella inacidita... Guarda, non è cambiato di una virgola!... Ebbene, a quell'ora del mattino, quando non s'incontra neanche un cane a cercarlo, non te lo vedo che viene svelto verso la mia direzione, come se fosse in ritardo per un appuntamento importante! Non puoi immaginare la sorpresa che ho provato nel vederlo fermarsi davanti a me e scrutarmi minaccioso con la sua aria da pipistrello, come se volesse saltarmi addosso da un momento all'altro... Ti confesso che all'inizio mi ha fatto quasi paura... Dopo qualche attimo di stupore, che ci ha fatto stare immobili l'uno di fronte all'altro, lo vedo che alza lentamente il braccio destro e punta l'indice verso di me: Tu non sei George Pollock? Sentendomi spiazzato dal fatto che mi aveva riconosciuto, ho voluto controbattere con altrettanta sicurezza: E tu sei Marzio, Andrew Marzio!... Lo sai com'è finita? È finita che, superato l'imbarazzo iniziale, ci siamo abbracciati... Dopo i convenevoli di rito, a bruciapelo sai che cosa mi chiede?... Prova a indovinare.” “Non propormi continuamente indovinelli.” Giuseppe pensò che quella mattina il suo confidente stava esagerando e che, forse, era meglio concludere velocemente la telefonata. “Allora te lo dico io che cosa pretendeva quell'imbecille... Con la voce sempre più stridula mi dice: Scusami se te li chiedo, mi sento un poco in imbarazzo per questo, ma ne ho veramente bisogno... Dovresti restituirmi i dieci dollari che ti ho prestato cinque anni fa. Capisci?! Voleva i dieci dollari che, secondo lui, mi aveva prestato almeno cinque anni fa... Io sono caduto dalle nuvole. Non ricordavo nemmeno che lui mi avesse prestato una tale somma; e poi, Santo Dio, dopo tanto tempo che non vedi un collega, il primo pensiero che hai è di chiedergli indietro nientedimeno che dieci dollari! Allora, cercando di mantenere un tono distaccato, gli ho detto: Ma che cosa stai dicendo, io non ho mai chiesto niente a nessuno. E poi, con tutti gli amici che ho, figurati se chiedevo un prestito proprio a te. E l'ho piantato in asso... Che dici, gli ho risposto bene?” “Forse avresti potuto...” “Ti dico io l'idea che mi sono fatto. Quello fa così con ogni ex collega che incontra e, tra tanti, trova sempre qualche fesso disposto ad assecondarlo. Ma con me non attacca, con me ha trovato pane per i suoi denti!... Beh, ora che mi sono sfogato con te mi sento meglio. Mi raccomando, salutami tua moglie. Oggi sembra proprio la giornata adatta per non concludere niente.” “Ciao.” Giuseppe lo salutò laconico. A volte faceva fatica a capire l'amico che si sentiva tanto sicuro di sé, era come se ne percepisse una crudeltà ben nascosta, pronta a esplodere ogni volta che gliene fosse presentata l'occasione. Anche questa volta aveva avvertito, dall'altra parte del filo, il piacere sadico che trapelava dal pedante racconto delle umiliazioni inferte a Marzio; lo avvertì tanto nitidamente che fu tentato di reagire, di manifestargli tutto il suo sdegno e magari invitarlo a non raccontargli le sue assurde crudeltà, perché non era più disposto ad ascoltarlo. Avrebbe voluto farlo, ma non lo fece. Con un'alzata di spalle liberatoria, ripiombò velocemente nell'apatia che gli era congeniale; si disse che, in fondo, non erano affari suoi e ritornò alla scrivania. Guardò la Santa Maria che occupava quasi per intero il ripiano, sorrise soddisfatto e si sedette per continuare la costruzione del veliero che, ne era certo, una volta finito lo avrebbe portato via, in un viaggio senza fine.
Leo Augliera
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