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Autore: Alex Marafin
AERIS
Fantasy Epico
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AERIS
Ender Kralon e Minrat si scambiarono uno sguardo sorpreso, non si aspettavano che il loro capo si fosse svegliato così risoluto. Dreyen, invece, nel profondo del suo cuore, non aveva mai dubitato di quell'amico che sin dall'infanzia si era dimostrato un condottiero nato, capace di trovare dentro di sé e poi donare agli altri tutto il coraggio di cui avevano bisogno. Si alzarono e si prepararono per la nuova giornata, muovendosi in direzione del sole che sorgeva dinanzi a loro e costeggiando la foschia che indicava la vicinanza del lago Vorties.
Ci vollero ancora ore di cammino prima che il panorama cambiasse, iniziando a rinfoltirsi di arbusti e dense siepi cresciuti ai piedi di un tripudio di alberi alti quanto un'abitazione. Si addentrarono senza indugio, riprovando quella sensazione di aria pesante e umidità che gravava sui loro respiri. All'improvviso si sentì provenire da Dreyen un lamento e lo videro stringersi a sé il braccio con al volto un'espressione dolorante.
« Cosa ti è successo? » chiese stupito Minrat.
« Devo aver urtato qualcosa che mi ha come bruciato il braccio. »
Nello stesso momento, Kralon sentì una strana sensazione alla gamba. Controllando, si accorse che qualcosa aveva letteralmente corroso una porzione dei pantaloni, lasciandogli la pelle ustionata.
Con uno sguardo più attento, si resero conto di essere circondati da uno strano viscidume che colava dalle foglie e dai rami circostanti. Simile a ragnatele, ma più denso e di un colore verdastro, come se volesse mimetizzarsi tra la vegetazione.
« Guardati la sacca, Minrat! » disse Ender.
La sfilò repentino e notò che era ricoperta di buchi simili a bruciature, così come la fodera della lancia di Dreyen e parti del loro vestiario.
« Dove diamine siamo finiti? » esclamò il giovane.
Orientarsi in quel groviglio di vegetali era pressoché impossibile, causa anche la quasi totale mancanza di luce. Poi, all'improvviso, Mutetsu zittì i suoi compagni. Percepiva tutto intorno uno strano rumore, simile a una miriade di scricchiolii sinistri, avvicinarsi a loro sempre più velocemente. Dreyen estrasse fulmineo l'arma ed invocò la runa del fuoco: - « Ighnar Taberiel » -
Quando la cuspide della lancia si illuminò, si trovarono circondati da decine, forse centinaia di esseri ripugnanti, dalla peluria ispida che ne ricopriva il corpo. Avevano inoltre svariate dimensioni, che passavano dalla grandezza di un piede fino a quella di una sacca per le provviste. Una bocca deforme ricolma di piccoli denti aguzzi e occhi senz'anima color cremisi che brillavano illuminati dalla luce della lancia.
Di norma, le bestie stanno lontane dal fuoco, ma non quegli esseri immondi che sembravano attratti dalle fiamme. Uno di essi, tra i più piccoli, sputò quella strana sostanza verdastra contro il volto di Mutetsu che si parò prontamente con il braccio, ma per sua sgradita sorpresa, la pelle iniziò a bruciare.
Senza quasi rendersene conto, si ritrovarono circondati da uno sciame deforme intenzionato a dissolverli in quello strano acido per nutrirsi delle loro carni, o almeno così sembrava.
I nostri Shakyù ci misero poco ad intuire che non avrebbero avuto nessuna possibilità di eliminare quelle creature, erano soverchiati numericamente per avere una qualche chance di vittoria.
« Dobbiamo fuggire, subito! » disse Mutetsu.
Cominciarono una corsa disperata brandendo le armi per intimorire quei piccoli predatori che si facevano sempre più aggressivi.
« Tenete il gruppo compatto! » urlò Dreyen agitando la lancia infuocata come riferimento per i compagni. Il fruscio dell'erba alta sotto i piedi ed i loro cuori che palpitavano all'impazzata per l'adrenalina, li accompagnavano in una folle corsa per la salvezza, oltre i limiti della stanchezza.
Il giovane Minrat inciampò nel tentativo di saltare una grossa radice sporgente, ma fortunatamente Mutetsu, che era subito dietro di lui a chiudere il gruppo, lo afferrò per lo zaino, sollevandolo con un braccio. Bastarono pochi istanti perché decine di quei piccoli predatori, grazie alle sei zampe lunghe il doppio del busto e tre unghie uncinate alle estremità di ognuna di esse, con la chiara funzione di trovare appiglio su qualsiasi superficie, li circondassero approfittando del momento di incertezza. Allorché, invocando il potere del vento, - « Sylfyt Hyat! » -, brandì un colpo spazzando via parte degli inseguitori ma, ahimè, vennero subito rimpiazzati da un'altra schiera. Il tempo guadagnato fu appena sufficiente a riprendere la fuga e ricompattarsi agli altri.
Le creature si avvicinavano sempre di più, potevano sentirne il respiro sul collo. Ma non si arresero. Continuarono a correre, a lottare contro la fatica e la disperazione, brandendo colpi alla cieca per guadagnare anche solo qualche passo in più. Le bruciature continue, il fiato che veniva meno, e il bosco che sembrava infinito, erano tutti segni che portavano verso un destino ormai certo, ma non persero la speranza né la voglia di combattere.
Ad un certo punto, la luce intorno si fece meno flebile e intravidero una radura aprirsi davanti a loro. Forse quell'ambiente avrebbe potuto creare l'occasione per una controffensiva. Appena fuori dalla fitta vegetazione, si girarono fulminei, invocando all'unisono i poteri delle rune. Ma le creature, che mai avevano rinunciato all'inseguimento, si fermarono improvvisamente, emettendo uno stridio assordante mentre fissavano le loro prede con fare minaccioso. Poi, lentamente, indietreggiarono e scomparvero nell'oscurità della fitta vegetazione da cui erano venute, sotto gli sguardi attoniti dei nostri cacciatori, ormai divenuti cacciagione.
Rimasero immobili, cercando di capire cosa fosse appena accaduto mentre riprendevano fiato dalla tremenda fuga. Quando si resero conto di essere scampati al pericolo, una domanda sorse spontanea: cosa aveva spinto quelle deformità a ritirarsi? Fino a pochi istanti prima, sembravano ben lontane dal rinunciare alla caccia. Qualcosa le aveva fatte indietreggiare: forse la paura di non avere più la vegetazione a offrire loro un vantaggio, o forse la presenza di un pericolo... un loro predatore?
Mutetsu si voltò in cerca di una risposta e ciò che vide fu uno spettacolo agghiacciante. A pochi passi da loro, rinchiusi in due gabbie costruite in modo grezzo con legname fortuito, giacevano due corpi inermi, dalle carni imputridite e ricoperte dai vermi. Un odore nauseabondo indicava che la loro dipartita era avvenuta giorni prima. Quando anche il giovane Minrat si girò e vide quello spettacolo raccapricciante, fu colto da conati di vomito che lo fecero piegare su sé stesso, per poi cadere sulle ginocchia. Kralon e Dreyen, allertati e incuriositi da cosa avesse provocato tale sgomento al ragazzo, si voltarono verso le gabbie, rimanendo immobili davanti a tale orrore.
Si avvicinarono alle carcasse, trovando conferma che si trattava di resti umani. Il gruppo si trovò di fronte a una scena che li avrebbe segnati per sempre. I corpi inermi dei malcapitati giacevano ai loro piedi, il silenzio pesante rotto solo dal sussurro del vento. Non c'erano tracce o ferite evidenti che indicassero un attacco di belve inferocite; l'orrore che li aveva colpiti non poteva che essere opera della mano dell'uomo.
Con uno sguardo più attento, si accorsero di un dettaglio ancora più agghiacciante. Uno dei cadaveri portava al collo un ciondolo dalla forma familiare, ben nota a Mutetsu e Dreyen; era la collana che Sterrin aveva ricevuto in regalo dai suoi genitori quando ottenne la licenza di Shakyù. L'altro corpo, invece, che teneva stretta un'inconfondibile sciabola dall'elsa amaranto, era senza ombra di dubbio Korto, il suo inseparabile compagno. Il dolore fisico dovuto allo scontro venne sovrastato da un dolore più straziante che proveniva dall'anima e si faceva largo lacerando il petto.
Si domandarono cosa avesse portato i loro compagni Shakyù ad una fine così orribile. Quali segreti nascondeva quella foresta? E quale terribile destino li attendeva tra quelle ombre? Le risposte, forse, giacevano proprio accanto a loro, ma ora la verità sembrava lontana, avvolta nell'oscurità come un enigma irrisolvibile. La rabbia e la tristezza accompagnarono i nostri eroi mentre scavavano degne sepolture per i loro compagni, in silenzio. Immagini e ricordi legati agli amici defunti affioravano nella loro mente, come un addio che li avrebbe perseguitati a lungo.

Alex Marafin

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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