Sunshine - Oggi è un dono
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Ottobre 2016.
~ Gabri ~
«Non credo che tra noi possa funzionare.» Le parole escono dalla mia bocca come se le mie labbra si muovessero da sole.
È del tutto insensato che io abbia detto una frase simile: mi piace Sara e voglio che tra noi funzioni.
Lei mi guarda come se aspettasse quella frase da tempo. Non dice nulla, stringe le spalle mettendo le mani nelle tasche della giacca.
Fa freddo, è quasi l'alba e camminiamo per strada. Mi guardo intorno e non riconosco questo posto. Sara accenna una smorfia di delusione: «Sei una donna imprevedibile Gabri, non avrei mai pensato che finisse così tra noi.»
Non è vero, sono la persona più prevedibile del mondo e non voglio che finisca nulla. Non faccio in tempo a dirlo, la mia attenzione viene rapita da un'auto, ci passa vicino ad alta velocità, frena di colpo, tanto da lasciare il segno sull'asfalto ed escono due uomini armati. Istintivamente afferro Sara e le faccio da scudo. «Lasciarti è l'unico modo che ho per proteggerti!», urlo spaventata. Poi due spari, Sara è tra le mie braccia e mi accovaccio a terra per proteggerla. Non credo di esserci riuscita, ho le mani sporche di sangue...
Apro gli occhi di scatto, sento il cuore battere all'impazzata. Sono sudata e al buio nella mia stanza. Era un incubo, per fortuna era solo un incubo. Oddio che paura! Mi metto seduta e accendo la luce sul comodino, sono le cinque e mezza. Cerco di riprendermi da quel sogno assurdo, non ho idea da quale parte del mio inconscio sia venuto fuori. Meglio alzarmi, dubito di riuscire a dormire ancora, e tra un'ora mi sarei dovuta svegliare per andare a scuola.
Preparo un caffè nella speranza che quelle terribili immagini spariscano dalla mia testa, o forse è più indicata una camomilla.
Che paura! Mi vengono i brividi ripensando quella scena. Il solo pensiero del boato di quei due spari mi terrorizza. Che assurdità, io che lascio Sara per proteggerla.
No, basta! Non voglio più pensarci.
Approfitto di quest'ora per dare un'occhiata alla lezione di oggi. Preferisco essere preparata e più disinvolta possibile mentre spiego ai ragazzi. Impresa ardua, devo ancora abituarmi a questo mio nuovo ruolo. Gli studenti di oggi non sono come ero io alla loro età.
Non riesco a concentrarmi, quelle immagini ripassano nella mia mente e ogni volta mi sale l'ansia. Un bagno caldo forse è una buona idea. Decisamente lo è stata: ha funzionato!
Oddio, è tardissimo! Ma quanto sono rimasta nella vasca? Prendo una maglia e un paio di jeans dall'armadio e mi vesto in fretta. Mi fiondo sulla moto e che Dio mi assista lungo la strada, che la liberi almeno per venti minuti. Il traffico catanese credo sia il peggiore del mondo. Sono un pirata della strada in moto, un centauro scatenato che sguscia tra le macchine come nulla fosse, con tutte le difficoltà che ci possono essere nel farlo con la mia Hornet nera.
Sistemo la moto nel parcheggio e mi dirigo in aula. Lungo il corridoio, il mio sguardo si posa sulla grande parete dei ricordi, come mi piace definirla. In un magnifico collage sono sistemate centinaia di foto che raccontano i momenti più significativi di questo liceo. Tra queste c'è quella del mio primo anno, fatta durante la mostra annuale, accanto a un mio dipinto. La ragazzina nella foto non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventata insegnante di discipline grafiche e pittoriche in questa scuola. Tuttavia, a quell'età, sapeva già di avere una grande passione per la pittura.
Le ore passano in fretta. In questi primi due mesi sono riuscita pian piano a catturare l'attenzione dei ragazzi, non di tutti, ma per me è già un grande traguardo. Alla fine della terza ora, mi scrive Sara e mi chiede se ci vediamo stasera. Ovviamente rispondo di sì. Ho bisogno di vederla per cancellare del tutto la sensazione di smarrimento che mi ha lasciato quell'incubo.
Effettivamente, non occorre aspettare stasera. Potrei raggiungerla a pranzo, le faccio una sorpresa e forse riesco a vivermi questa giornata più serenamente. Questo pensiero mi accompagna per le ore che mancano al termine delle lezioni. Finalmente sono le tredici e mi affretto a uscire dalla classe. Il cellulare suona e rimetto lo zaino sulla cattedra per rispondere. È Carmen: «Ciao Gabri, hai finito?» La sua voce è tesa, come se avesse fretta di dirmi qualcosa.
«Sì, stavo uscendo...»
Mi interrompe frettolosa. «Bene, allora vieni subito al Raggio di Sole.»
«Veramente pensavo di fare una sorpresa a Sara e raggiungerla per pranzo.» Provo a spiegarle i miei piani.
«Puoi farle una sorpresa un altro giorno, adesso per favore vieni al Raggio di Sole.» Il suo tono adesso inizia a preoccuparmi; quando non motiva le sue richieste, è inutile chiedere spiegazioni. La rassicuro che arriverò prima possibile e mi dirigo all'uscita.
Oggi è decisamente un giorno no: risveglio da paura, i miei piani saltati per motivi ancora a me sconosciuti e adesso mi aspetta un acquazzone d'inizio ottobre in moto. Stamattina non c'era una sola nuvola e adesso c'è il diluvio. Aspettare che smetta di piovere è inutile, non succederà. Metto il casco ed esco correndo, salgo in moto e mi preparo a beccarmi un bel raffreddore.
«Tu sei matta! Non potevi prendere la macchina stamattina?» Giulia mi accoglie come pensavo. È sempre molto protettiva con me, credo che mi veda sempre come la ragazzina che sedeva nel banco in prima fila di fronte alla sua cattedra.
«Prof, non c'era una sola nuvola stamattina.» Provo a difendermi da quello che sembra il preludio di una paternale.
«Non sperare di intenerirmi chiamandomi così. Togliti di dosso quel giubbotto bagnato e vieni in ufficio.» È decisamente molto tesa, la sua espressione si è fatta seria in pochi istanti. Non capisco che succede, come mai questa fretta? È strano che non mi abbia detto subito di andare a mettermi dei vestiti asciutti addosso: ho i jeans fradici.
In ufficio, Carmen fissa il monitor del PC con un'espressione cupa, mentre la sua mano continua a far ticchettare la penna sulla scrivania. Ma appena ci sente entrare, le sue labbra si piegano dando vita a quel sorriso che nasce ogni volta che mi vede. «Hola mi niña.» Mi viene incontro e mi abbraccia. Nota che sono bagnata fradicia e sposta lo sguardo su Giulia. «Potevi farla cambiare prima.»
«¿Qué pasa, Carmen?» Le parlo in spagnolo per farle capire che ho intuito che qualcosa non va. Si comportano entrambe in modo strano: Giulia è sempre iperprotettiva, ma oggi non fa caso ai miei jeans bagnati, e lei che avrebbe lasciato correre oggi ci fa caso? No, decisamente c'è qualcosa sotto, o semplicemente stanotte si sono scambiate i corpi.
Carmen mi invita a sedere su una delle due sedie di fronte alla sua grande scrivania e prende posto accanto a me. Nel frattempo, Giulia si appoggia al mobile, rimanendo in piedi tra noi.
Che sta succedendo? Non ricordo di aver combinato guai ultimamente. Quando si comportano così, mi fanno sentire la diciottenne ribelle che hanno accolto in casa dopo il diploma, anche se oggi ho trentatré anni e il mio spirito ribelle si è pacato da un pezzo. «Mi dite che succede o pensate di farmi impazzire oggi?»
«Stasera arriverà una nuova ospite e ci serve il tuo aiuto.» Carmen finalmente parla, anche se continuo a non capire.
«Da quando avete bisogno di me per l'arrivo di una ragazzina?»
«È una donna e dobbiamo nasconderla nel tuo appartamento nel seminterrato.» Giulia lo dice tutto d'un fiato, come per levarsi un peso dallo stomaco.
Carmen probabilmente ha notato come ho sgranato gli occhi udendo la parola "nasconderla". «Stamattina la giudice Scalici mi ha convocata nel suo ufficio e mi ha informata che, suo malgrado, sta seguendo ufficiosamente un caso. È una donna di ventisette anni, inserita nel programma protezione testimoni.»
Salto dalla sedia incredula. Non è da lei mettere a repentaglio la vita dei ragazzi. «Carmen, vuoi nascondere una testimone di non so cosa, nel seminterrato di una casa-famiglia?»
«Non abbiamo avuto scelta. La donna è ferita e ha bisogno di cure e di un posto sicuro dove ristabilirsi. Il maresciallo Di Stefano si sta occupando del suo caso e del suo trasferimento.» Giulia stringe i pugni e non riesce a guardarmi mentre mi parla. Ciò che intravedo dai suoi occhi è la rassegnazione a ciò che ci aspetta.
«Il programma protezione testimoni non ha delle strutture più adeguate? Se è ferita, perché non la portano in un ospedale con le guardie alla porta? Non funziona così?» Non sono un'esperta, ma nei film fanno così. Penso riproducano la realtà.
«C'è una falla nel sistema. Bisogna depistare chi la sta cercando.» Carmen lo dice sottovoce, come se avesse paura che qualcuno possa sentirci. Noto gli sguardi che si scambiano con Giulia. Lasciano percepire con chiarezza quanto questa situazione le spaventa.
«Va bene, come posso aiutarvi?» Non è il caso di far crescere la tensione. Conosco i miei due angeli, come ha detto Giulia, non hanno avuto scelta. Io non posso e non voglio tirarmi indietro. Se loro ci sono dentro, voglio esserci anch'io. Siamo una squadra, una famiglia da quindici anni. Loro ci sono sempre state per me e io per loro.
«Prenderai qualche giorno di malattia. Valentina, la donna che arriverà stasera, per i primi giorni, non va lasciata da sola. Non sappiamo di che entità sono le ferite che ha riportato, ma da quel che ho capito, mi toccherà rispolverare la vecchia strumentazione che usavo nel periodo di Medici senza frontiere.» Per quanto Carmen si sforzi di spiegarmi tutto con calma, è chiaro che non lo è affatto.
Che dire? È proprio il mio giorno fortunato: risveglio da incubo, i miei piani per il pranzo saltati, diluvio in moto e adesso questo! Che giornata assurda! E non è ancora finita!
Angela La Corte
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