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Autore: Vanessa Venturi
Asteroid
Distopico Soft Science Fantasy
Lettori 202
Asteroid
Quando stava per succedere qualcosa, di solito la avvertiva sulle basse e alte frequenze che viaggiano sui pori della pelle.
Vivien era abituata a quelle piccole scosse radioattive. Le chiamava così. Scosse radioattive. Perché quello che facevano era scuoterla dentro.
Alzò gli occhi al cielo, e all'improvviso qualcosa la turbò nel profondo. L'incubo che aveva avuto settimane prima ora sembrava quasi reale.
Si guardò attorno e le poche persone sedute ai tavolini in legno, erano impegnate a mangiare come se nulla fosse. Eppure... c'era qualcosa nell'aria. Non se lo sapeva spiegare, ma sentiva come se l'incubo, che l'aveva inseguita anche dopo che si era svegliata settimane fa, fosse tornato a tormentarla. Un brivido le corse lungo la schiena.
Gettò un'occhiata alle sue spalle, un altro gruppo di persone parlava animatamente. Vivien ebbe l'impulso di alzarsi e mettersi a urlare. Poi si ricordò che quello l'avrebbe messa in una posizione compromettente. Le avrebbero dato della pazza.
Così, si sollevò e infilò il quaderno nella sua borsa di tela bianca. Con lo stivale sfiorò il tavolo e cercò di non perdere l'equilibrio, mentre si incamminava di nuovo verso l'entrata del centro commerciale.
Trovò una coppia di poliziotti che controllavano la zona e gli disse che qualcosa di terribile sarebbe accaduto di lì a breve. Non mancava molto, ormai.
Il poliziotto più alto le gettò uno sguardo scioccato e scosse la testa. «Che cosa sta dicendo, signorina?»
«Un asteroide. Un asteroide colpirà Sacramento tra poche ore.»
«Lei ne è proprio sicura?» le chiese il secondo poliziotto, quello più basso. Il tono era quasi sarcastico, il che fece arrabbiare Vivien.
Si strinse nelle spalle, sentiva l'agitazione crescerle in corpo. Inspirò ed espirò. «Potete anche non credermi, ma vi converrebbe farlo. Raramente sbaglio. Anzi, ancora non mi è successo. Ho una specie di sesto senso per queste cose. Avvertite le persone dentro al centro commerciale, per favore e comunicatelo a tutti nella zona. È un'emergenza.»
Poi raggiunse la cabina telefonica più vicina, controllando che i due poliziotti non l'avessero maledetta a distanza. Era incredibile che quelle cabine funzionassero ancora, ma probabile era una delle poche.
Trasse un respiro profondo e cercò di tranquillizzarsi, prima di effettuare la chiamata.
«Mamma, ho bisogno di parlarti. Ma non agitarti. C'è un tunnel sotterraneo. Anzi ce ne sono più di uno. Quello più vicino a voi passa proprio sotto il fiume... Se ti ricordi, ve ne avevo parlato. Ho lasciato una mappa nel secondo cassetto del mobile in salotto. Aspetta... fammi finire. Per favore, è estremamente importante che tu e papà lo raggiungiate al più presto. E avvertite i vicini. Ti prego ora non metterti a piangere, io starò bene. Sono preoccupata per voi. Penserò a chiamare James e gli altri. Ti ricordi del mio ultimo incubo? Te l'avevo detto che non era solo nella mia immaginazione. Sta arrivando, mamma. Vi prego, mettetevi in salvo.» Nel mentre che lo disse, cercò di nascondere le lacrime.
Ingoiò la saliva, a fatica. Chiuse e riaprì gli occhi subito e uscì, quando ultimò le altre telefonate.
Doveva raggiungere il tunnel sotterraneo più vicino a lei. James, il suo amico d'infanzia, sarebbe arrivato a momenti, non si trovava troppo distante, come le aveva appena detto al telefono. Controllò l'orologio che portava al polso. Le due. Cominciò a correre, lasciandosi il centro commerciale alle spalle.
Quella era una questione di vita o di morte. Non esistevano dubbi. Lei lo sapeva, lo sentiva. Quel frammento di incubo le era rimasto in un lato della cornea, come se fosse incastrato e non volesse più andarsene. Forse per avvertirla del pericolo imminente?
«Seguitemi, vi prego! Un asteroide colpirà fra poche ore, conosco un tunnel sotterraneo per ripararci!» urlò alle persone che incontrava.
Rallentava il passo per parlarci, distribuendo dei biglietti che lei stessa aveva scritto poco prima seduta al tavolo. Il nome del pericolo, l'indirizzo del bunker e la richiesta di mettersi in salvo, senza pensarci.
Alcuni le credettero, nonostante forse aveva un aspetto talmente fuori dal normale da non sembrare del tutto lucida. Se li trovò alle spalle, a correre assieme a lei. Sentiva il peso della sua sensibilità, come se fosse un tarlo che le picchiettava in testa.
Aveva il fiato corto, quando raggiunse la botola che dava l'accesso al tunnel sotterraneo numero tre. Partiva dalla parte sud di Sacramento e finiva verso la prossimità dei parchi di Natomas.
Appena appoggiò una mano sulla superficie metallica, si rese conto di non essere abbastanza forte per quello. Salvarsi voleva dire combattere. Salvarsi voleva dire al diavolo il suo mondo interiore.
Eppure, ci doveva essere un motivo per il quale Kate, la sua psicologa, credeva in lei. Sapeva che avrebbe lottato. Che non sarebbe finita lì.
Cominciò a tirare verso di lei la botola per aprire il bunker sotterraneo, e notò due uomini che l'avevano seguita armeggiare per aiutarla, finché non sentì i suoi muscoli scricchiolare sotto lo spostamento di quel peso. Fece cenno agli altri di entrare e ringraziò i due uomini.
L'illuminazione artificiale sotterranea derivava da dei faretti posti ai lati del tunnel. Vivien cercò di abituare i suoi occhi miopi a quel cambio improvviso di scena. Si tolse gli occhiali e li pulì alla bell'e meglio.
*
«Io...» Vivien alzò lo sguardo, tremando.
Sta arrivando.
Avrebbe voluto gridarlo, se fosse servito a qualcosa. Avrebbe voluto urlarlo, per smettere di tenerselo dentro.
Il mio incubo non è solo un incubo. È la realtà. Milioni di persone moriranno nello stesso momento. E altre ancora di lì a poco. L'ecosistema subirà dei danni irreparabili.
Poi, la terra tremò e qualcosa esplose nel vuoto dell'aria.
Con un asteroide che colpisce la Terra, la polvere e il fumo salgono nell'atmosfera impedendo alla luce del sole di raggiungere il mondo e fanno abbassare la temperatura.
Vivien appoggiò i palmi delle mani sudate sui lobi. Chiuse gli occhi, e avvertì la gola prendere fuoco.
Ci siamo.
Rimanere sottoterra era davvero un incubo. Specialmente quando un asteroide grande quanto l'Empire State Building stava atterrando proprio in quel momento sopra la sua testa.
Vivien si coprì le orecchie inutilmente, socchiudendo gli occhi. Vide la donna dai capelli biondi tremare, il suo bambino stretto a lei.
L'espressione di James era paralizzata, come se avesse represso un'emozione e quella fosse rimasta da qualche parte dentro di lui. Schulman si avvicinò alla signora Fanning, tenendole stretta la spalla.
L'esplosione avvenne con una tale forza da rimbombarle nel cuore, che lo sentì muoversi fino in gola. C'era un motivo per cui si era nascosta lì sotto: per salvarsi la pelle.
Ma non era sempre stato il suo desiderio più grande scomparire dal mondo? Non ne poteva più di fingere di stare bene. Eppure, si era rintanata, assieme a tutte quelle persone.

«James, ti voglio bene» mormorò Vivien, allungando una mano verso il volto di lui. Incontrò quell'espressione indecifrabile.
«Anche io.» James la tenne stretta contro il suo petto, le mani che disegnavano lenti cerchi sulla nuca di Vivien, in un tentativo vano di calmarla.
Considerate le dimensioni non indifferenti e la distanza ridotta dalla terra, l'asteroide poteva essere visto in cielo, brillante come una stella di terza grandezza e in sensibile movimento sulla sfera celeste: era il primo a essere chiaramente visibile a occhio nudo. Ma a Vivien quel pensiero metteva i brividi.
Se qualcuno fosse rimasto in superficie, sarebbe stato spazzato via come polvere, esploso come una miriade di fuochi d'artificio.
Perché nessuno oltre al programma life-changing aveva diffuso la notizia, perché a nessun altro al mondo era importato di loro? Contavano meno di zero, come se fossero semplici e inutili pedine di uno sporco gioco?
E se il bunker dove si erano rifugiati si fosse trasformato in polvere o fosse stato incenerito o la crosta del pianeta si fosse liquefatta?
Ricordava che il programma life-changing affermava che i bunker erano a prova di urto, che l'impatto non avrebbe fatto cadere un bicchiere dal tavolo. Quando l'asteroide colpì a 14.000 miglia orarie dalla posizione di Vivien, sentì comunque il suo equilibrio vacillare mentre il suono trasformava i suoi timpani in ovatta.
Le sue gambe tremarono per lo shock e per la paura, i suoi polmoni erano nel panico completo, frenetici in cerca d'aria. Il pavimento tremò, alcune scosse martellarono nel petto di Vivien.

Vanessa Venturi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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