Nascondeva la magia di una strega.
La piazza sembrava un cimitero di anime perdute e lei la più smarrita. Fra tutti quei prigionieri lei era un fiore, che ancora riusciva a profumare l'aria di libertà. O meglio, erano quegli occhi pieni di voglia di vivere a farlo credere. - Мать, Oтец... послать мне знак с небес1, e voi nonni cari non abbandonatemi al mio destino! - . Stana straziata dal dolore levò gli occhi al cielo plumbeo. Uno stormo nero si alzò nella nebbia quasi volesse congiungersi al lutto che già pesava sulla sua anima. Stana piangeva, insieme agli altri. Era l'unica donna di quel grappolo di vita. Pareva un tenero giglio ambrato da gocce d'incenso. Era imprigionata su quella tetra carovana. Come poteva lei, piccola e docile - principessa russa - , essere arrivata fin lì? Fin dove l'aria di guerra raffreddava il cuore di qualsiasi uomo. Sin da bambina sognava di essere una principessa, ma le sue origini erano umili, e davvero non sapeva se la vita l'avrebbe mai accontentata. Aveva perso ogni piccola grande pietra di quella sua preziosa collana, chiamata famiglia. Sapeva guardare le persone attraverso il cuore, perché era quella la natura del suo popolo. Era una piccola - bastarda - , anche se ovviamente i suoi genitori si erano amati profondamente fino a che la morte non li aveva separati per sempre da lei e l'avevano protetta fino alla fine, grazie ad un amore straordinariamente autentico.
Era una ragazza dai tratti somatici molto particolari, perché da parte materna era una straordinaria femmina russa, mentre per padre proveniva dalle magnetiche atmosfere dell'Est, possedendo le misteriose virtù di un'affascinante zingara. Chi la osservava capiva subito, che la sua vera natura non era semplicemente russa e ortodossa, ma nascondeva la magia di una - strega - . I suoi occhi celavano, forse, tutto il dolore ancora nascosto dentro di sé; dentro quell'illogico mondo, che l'aveva messa duramente alla prova, già così giovane. Tutti, però la consideravano una megera dalle doti mistiche e perfide, mentre di cattivo non aveva proprio niente, anzi, l'unica cosa che andava cercando era un po' di amore, orfano, come lei. Era nata in un misero villaggio alle porte della popolosa Mosca, ma non aveva mai conosciuto la magia di quella città, che tutti affermavano essere meravigliosa. Lei aveva imparato a lottare e a soffrire per un piccolo e sporco pezzo di pane. Lei amava essere russa, ma ciò che ripugnava era la goliardia di quella società impavida e usurpatrice di libertà. Aveva visto e sentito la gente singhiozzare di fronte alla consapevolezza di tante vite spezzate per un misero e feroce colpo di fucile. Niente sarebbe stato più come prima per lei e per le numerose persone, che avevano perso i propri cari in quel crudele genocidio.
Ottavio osservava e contemplava la città: quella grande e antica conchiglia portata dal mare sembrava adesso abbandonata al proprio destino. Il suo cuore era indurito dal tempo e sembrava aspettasse solo l'inevitabile improvvisa e inutile ferocia di un mondo ormai sfiduciato e bruciato dall'odio. Era un militare ma nessuna guerra gli apparteneva, per definizione, per pensiero. Frugando dentro l'infinita desolazione di quei corpi ammassati, tra quegli sguardi affamati e distrutti, il suo cuore iniziò a battere forte senza un perché. Erano anni che non gli accadeva una cosa simile. Negli ultimi tempi poi non aveva avuto tempo per i sentimentalismi e nemmeno per la più dolce presenza femminile. Tutto questo alienante smarrimento lo fece precipitare nello sguardo di una ragazza. Restò inebetito, nella sua divisa, di fronte alla magnetica e selvaggia bellezza di Stana. Gli parve una dea e gli sembrarono trascorsi secoli dall'ultima volta che si era interessato a una ragazza. Seppur naturalmente provata e mortificata dalla condizione ne della prigionia, Stana non gli apparve affatto sciupata o scarnita, anzi spiccava per il colore della sua pelle di cuoio: capì che non poteva essere di razza semita, gli parve subito magnetica, quasi volesse concentrare tutta la bellezza rimasta nel cosmo nel suo infinito sguardo acquoso, sconvolgente che la rendeva diversa da ogni altra creatura vivente. Diversa da tutti. Era iridescente come una farfalla tropicale: luminosa, vivida. Sembrava in cerca di aiuto per essere liberata da quel mondo grigio e senza scrupoli. Ma davvero non gli importava nemmeno se fosse stata ebrea: sentiva forte il bisogno di condurla via da lì e renderla libera, già la immaginava al suo fianco.
Lo avesse visto sua madre lo avrebbe chiamato stupido e sprovveduto, era un giovane militare di famiglia nobile, sua madre lo avrebbe biasimato e avrebbe ostacolato ogni rapporto tra i due che non fosse, caso mai, una dipendenza di lavoro. In casa c'era sempre bisogno di braccia giovani e forti. Ottavio si fece coraggio e si avvicinò alla guardia e chiese: - Da dove proviene questa carovana di prigionieri? - . - Se vuoi ti dico dove sono diretti: all'inferno! - . - Sapete le origini della donna di quel gruppo? - . - Luride, origini luride, di sicuro - , rispose infastidito il carceriere. - E non certo all'altezza del grande progetto di razza pura. Ho portato personalmente io, fin qui, questi miserabili, la ragazza non è una ladra, ma certamente non merita di vivere. Non è necessaria la sua salvezza: per creare una civiltà perfetta dobbiamo impegnarci, non credete? - . Ottavio era inorridito da quel modo di fare così dannatamente esplicito, crudele, onnipotente e pregò in cuor suo di riuscire a liberare quell'angelo di ragazza. - Allora, ditemi, per quale motivo è dietro a quelle sbarre? - . - È una sgualdrina dell'Est è una maledetta zingara! - . Ottavio rimase senza parole ma il suo cuore gli diceva che sarebbe stata forse l'unica maledetta zingara a essere salvata. Come lei ne esistevano tante ma quella ragazza sarebbe stata sua. Per il suo orgoglio maschile era una promessa da mantenere. La raggiunse, scosso da brividi, mentre quell'incontenibile e sconvolgente bellezza lo rapiva senza ragioni. La ragazza osservò Ottavio, mentre le si avvicinava e sputò a terra il suo disprezzo, con intenzione di colpirlo. - Come vi permettete di trattarmi così, se neanche sapete cosa sono venuto a fare qui? - . - Вы военный2! La tua divisa è come tutti altri. Divisa porta guai, dolore. Io non sono tua preda! держаться подальше3! - . - Io non sono tutti gli altri, sono italiano e sono qui per aiutarvi, se me lo permetterete anche se sembrate pericolosa quanto loro, se loro sono dei leoni, voi siete un'affascinante pantera - .
La ragazza rimase sorpresa, ma subito dopo, dentro di sé, inconsciamente, si dette della stupida e gli parlò in modo pacato. - Io sono russa: miei nonni italiani. Molto buoni loro. Mio nonno parlava italiano, con me. Mi ha insegnato lui a parlare... - . - Permettete che mi presenti: sono Ottavio Vivaldi e sono al vostro servizio, se solo vorrete - .
Francesca Ghiribelli
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