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Autore: Miriam Maria Santucci
Gemelle nel Cuore
Drammatico
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Gemelle nel Cuore
L'incontro sull'altalena.
Il parco era un grande angolo di verde nel caos frenetico della città di San Paolo, un luogo di serenità dove bambini di ogni estrazione sociale si incontravano per giocare e, almeno per un po', per dimenticare le preoccupazioni del mondo adulto. Quel pomeriggio, il sole filtrava attraverso le fronde degli alberi, creando giochi di luce che danzavano sull'erba morbida. Clara camminava lentamente lungo il sentiero sterrato, osservando con occhi curiosi gli altri bambini. Era uno dei pochi momenti in cui si sentiva libera di essere se stessa, lontana dalle responsabilità familiari.
Per una volta, i suoi fratelli erano rimasti a casa per aiutare la madre, e Clara si era concessa un momento di libertà, un dono raro. Amava osservare gli altri bambini che correvano, ascoltare le loro risate spensierate, ma raramente si univa a loro. C'era sempre quella sottile sensazione di non appartenere completamente a quel mondo felice e giocoso. Eppure, quel giorno, qualcosa di diverso stava per accadere...
Clara si avvicinò all'area giochi. Fu in quel momento che la vide. Una bambina correva leggera verso l'altalena, la sua lunga treccia castana ondeggiava in sincronia con i suoi passi. Clara si fermò, sentendo un improvviso senso di familiarità che le fece trattenere il respiro. Era come se si stesse guardando in uno specchio, ma con un riflesso più luminoso, più vitale.
La bambina sembrava avere la sua stessa età, e il loro incontro sembrava quasi preordinato.
Clara rimase immobile, osservando quella bambina che si dondolava sull'altalena, il viso rivolto verso il cielo, lasciando che il vento la cullasse. Poi, abbassando lo sguardo, i loro occhi si incontrarono, e in quel silenzio improvviso sembrava che il mondo intorno a loro si fosse fermato per un attimo. C'era qualcosa di speciale in quel momento, un incontro tra due anime che si riconoscevano senza nemmeno conoscersi.
«Ciao, ti va di giocare?», chiese la bambina dalla lunga treccia, fermando l'altalena con i piedi e rivolgendosi a Clara con un sorriso aperto e sincero. Clara esitò un istante, non abituata a ricevere inviti così diretti. C'era qualcosa in quella bambina che la metteva subito a suo agio, un'innocenza e una vivacità che Clara ammirava. Si passò una mano sulle sue due trecce spettinate, sentendosi un po' impacciata.
«Ciao... io sono Clara», rispose timidamente, facendo un passo avanti verso l'altalena.
«Io sono Aurora», disse la bambina, scendendo agilmente dall'altalena. «Ho già sette anni, e tu?» chiese con entusiasmo. Clara si sentiva sempre più a suo agio, come se conoscesse Aurora da molto tempo. «Io ne ho appena compiuti otto», rispose con un sorriso timido.
Aurora esplose in una risatina allegra. «Ci somigliamo!», esclamò, gli occhi che brillavano di curiosità e sorpresa. Quell'affermazione fece sorridere Clara, che si sentiva quasi sollevata nel trovare qualcuno che notava quello che lei stessa aveva già visto: una somiglianza che andava oltre l'aspetto fisico. Clara sorrise, un po' imbarazzata ma profondamente affascinata da Aurora. «Sì... l'avevo notato. È per questo che ti guardavo», ammise, con un filo di voce.
«E com'è che non ti ho mai vista qui?», chiese Aurora, inclinando la testa di lato. «Vieni spesso al parco?». «Non molto», ammise Clara, stringendo leggermente le mani. «Di solito devo aiutare la mia mamma a casa». Aurora annuì, intuendo che la vita di Clara doveva essere molto diversa dalla sua, ma senza voler fare troppe domande. «Io vengo qui quasi tutti i giorni, con il mio cane Argus. Ci porta la mia Tata. Ma oggi Argus non c'è. Mi piace osservare gli altri bambini». «Anche a me piace guardare gli altri bambini», ammise Clara, sentendosi più rilassata. «Ma non gioco spesso con loro». «Potremmo giocare insieme noi due», propose Aurora, con un sorriso. Scese dall'altalena e prese Clara per mano, guidandola verso un'area più tranquilla del parco, lontano dagli altri bambini. «Vieni, ti insegno un gioco che faccio sempre con la mia mamma!», disse con entusiasmo. Clara la seguì, curiosa di scoprire cosa avesse in mente. Aurora si fermò in un punto dove l'erba era ancora alta e verde, e si girò verso Clara con un sorriso complice. «Il gioco si chiama "Girotondo delle Emozioni". È facile! Ci prendiamo per mano e giriamo in cerchio. Mentre giriamo, a turno diciamo un'emozione, come "felicità", "tristezza" o "paura". Poi, quando ci fermiamo, dobbiamo raccontare una storia su quando abbiamo provato quella emozione. La mia mamma dice che aiuta a capire meglio come ci sentiamo». Clara guardò Aurora con un misto di sorpresa e interesse. Non aveva mai sentito parlare di un gioco del genere, ma l'idea di poter condividere i suoi sentimenti con qualcuno la incuriosiva. «Va bene, proviamo!», disse, afferrando le mani di Aurora. Le due bambine cominciarono a girare in cerchio, ridendo mentre l'erba solleticava le loro gambe. Aurora fu la prima a parlare: «Felicità!», disse, fermandosi di colpo. «Quando vado al mare con i miei genitori, sento sempre una grande felicità. Mi piace sentire la sabbia tra le dita e vedere le onde che si infrangono sulla riva». Clara sorrise, poi pensò per un attimo. «Tristezza», disse infine, fermandosi anche lei. «Mi sento triste quando i miei fratelli mi prendono in giro... ma a volte anche quando vedo che la mamma è stanca e non riesce a riposare». Aurora la guardò con empatia, stringendo un po' di più le mani di Clara. «Anche io mi preoccupo per la mia mamma, quando lavora troppo», ammise, sentendo che c'era una connessione profonda tra loro. Aurora e Clara continuarono a girare in cerchio, le mani strette l'una nell'altra, ridendo mentre il vento leggero scompigliava i loro capelli e il movimento faceva saltellare le loro trecce. «Adesso tocca a te, Clara», disse Aurora, fermandosi per prendere fiato. «Quale emozione vuoi dire?». Clara ci pensò un attimo. «Tristezza», ripeté, con un piccolo sorriso malinconico. Aurora annuì. «Hai detto che ti senti triste quando i tuoi fratelli ti prendono in giro», disse dolcemente. «Mi dispiace tanto. Anche a me capita di essere triste, sai?». Clara la guardò sorpresa. «Davvero? Ma tu sembri così felice!». Aurora abbassò lo sguardo, stringendo un po' più forte la mano di Clara. «Lo sono, spesso», ammise. «Ma a volte mi sento triste quando il mio papà non c'è. Viaggia tanto per lavoro, e la casa sembra così vuota senza di lui. E poi... a volte mi sento sola. Anche se ci sono tante persone intorno a me, vorrei avere una sorella o un fratello con cui giocare, qualcuno che mi capisca davvero». Clara annuì, sentendo una profonda empatia per Aurora. «Anche a me manca il mio papà», disse piano. «È morto quando avevo sei anni, quasi sette, e da allora tutto è cambiato. I miei fratelli lavorano tanto per aiutare la mamma, ma a volte mi sento come se fossi sola anche quando sono tutti lì».
Aurora si avvicinò e la abbracciò forte. «Mi dispiace tanto, Clara. Ma ora ci siamo noi due. Possiamo essere tristi insieme, ma anche felici. Posso essere la tua amica di sempre, se vuoi». Quelle parole risuonarono nel cuore di Clara, che sentì un calore confortante avvolgerla. Era un sentimento nuovo per lei, quello di avere qualcuno che capiva le sue emozioni e che voleva condividere con lei il peso e la gioia della vita. Clara sorrise, sentendo una calda sensazione di conforto nel cuore. «Mi piacerebbe tanto, Aurora. Anche io posso essere la tua amica di sempre, così non ti sentirai mai più sola».
Si presero per mano e ripresero a girare. Aurora parlò per prima. «Felicità», disse di nuovo, con un grande sorriso. «Sono felice quando posso disegnare. Mi piace creare mondi nuovi con i colori, e mia mamma mi dice sempre che ho una grande immaginazione». Clara rifletté un momento. «Io sono felice quando riesco a far ridere la mia mamma», disse. «È sempre stanca e preoccupata, ma quando riesco a farla ridere, anche solo per un momento, mi sento come se avessi fatto qualcosa di veramente importante». Aurora la guardò con ammirazione. «Sei davvero speciale, Clara», disse con sincerità. «Fai felice la tua mamma, e questo è bellissimo». Clara arrossì leggermente, ma il suo sorriso era pieno di gratitudine. «Grazie, Aurora. Anche tu sei speciale. Sono felice di averti incontrata». Aurora strinse di nuovo le mani di Clara. «Adesso tocca a te scegliere un'altra emozione». Clara ci pensò un attimo e poi disse: «Speranza. Quando penso al futuro, spero che le cose migliorino per la mia famiglia, che i miei fratelli possano tornare a scuola e che la mia mamma possa riposare di più». Aurora annuì. «Anche io ho delle speranze», disse. «Spero che il mio papà possa restare più tempo a casa, così possiamo fare più cose insieme. E spero di poter diventare un'artista un giorno, magari disegnare quadri grandi, con tanti colori». Le due bambine si guardarono negli occhi, sentendo che, nonostante le loro vite così diverse, condividevano sogni e desideri simili. Quel gioco semplice, nato per passare il tempo, si era trasformato in un'inaspettata opportunità per conoscersi profondamente, costruendo un legame speciale.
Quando il sole iniziò a calare, le due bambine si sedettero vicine su una panchina. Il parco intorno a loro sembrava farsi più tranquillo, come se il mondo intero volesse concedere loro un momento di pace dopo l'intensità delle emozioni condivise.
«Mi piace stare con te», disse Clara, guardando Aurora con un sorriso timido. «Anche a me piace stare con te», rispose Aurora, prendendole la mano. «Siamo amiche per sempre, adesso, vero?». Clara annuì, sentendo un calore diffondersi nel petto. In quel semplice gesto, c'era la promessa di un legame che avrebbe resistito a tutto. «Sì, amiche per sempre», confermò con convinzione. Le risate dei bambini riempivano ancora l'aria, ma per un momento sembrò che nel parco ci fossero solo loro due. L'amicizia che era nata tra di loro stava cambiando per sempre la vita di entrambe, senza che nessuna delle due ne fosse consapevole. La governante di Aurora si avvicinò con passo sicuro, il volto illuminato da un sorriso affettuoso. «Aurora, tesoro, è ora di tornare a casa», disse, posando una mano delicata sulla spalla della bambina.

Miriam Maria Santucci

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