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Autore: Milici
L'ambrosia
Fantasy
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L'ambrosia
Un idillio bucolico.
Al CentroAcquario la Rivelazione del Critico fu accolta come una benedizione; alcuni codici che godevano di sostenibile credibilità avevano pensato a un nuovo percorso intuitivo di contatto e coniato lo slogan in onore alla leggerezza: eliminare il superfluo, il verbo della sintesi.
Valorizzare l'importanza del tempo, dunque, non sprecarlo, offrirlo, e arricchirsi ascoltando, magari il codice 66979, detto Comelamela, pronto a dare al suo Manifesto della sete un'impronta decisamente bucolica.
Così la scena venne allestita: il cavallo spiaggiava felice sotto una magnolia, il cane accudiva capannelli di pecore, caprette e agnellini, che belavano in coro alla comitiva di galline, conigli e anatre chiacchierone, la mucca ruminava erba sotto lo sguardo innamorato del vitello, i due maiali masticavano ghiande, infischiandosene di quanto accadeva intorno, il micio puntava giocoso il fagiano appollaiato sulle corna del cervo, per godersi meglio lo spettacolo.
Il tamburino, reclutato per l'occasione, fece rullare il suo tamburo in ecopelle al grido: “Agli asini e alle capre di tutto il mondo, lunga vita sempre!” introducendo poi il ritmo tribale che accompagnò Comelamela e la sua devota preghiera.
“Silenzio, please,” e anche le anatre e gli agnellini smisero di conversare. “Beatitudine è il principio attivo del verbo amore; essere beati dell'essenza di un albero, come in quella di un fiore, come in quella di un seme. Musica della terra, rendi la luce al sole.”
“Il frutto della fotosintesi, la melodia del silenzio in consonanze gravide,” commentò il Critico, sorseggiando un Cuba libre.
“Beatitudine è il battito animale di ogni essere senziente; essere beati dell'innocenza del cucciolo di ogni specie vivente, perché l'anima danzerà vegan la fine dell'ecatombe animale, e non sarà sangue la fame dell'uomo, ma sete di pioggia.”
La ragazzina in prima fila applaudì solitaria nel silenzio generale.
“L'essere umano è animale frugivoro,” continuò Comelamela. “Cibarsi di carne non è nella sua natura. Lo confermano l'anatomia comparata, l'immunologia, l'embriologia, l'istintologia, la neurofisiologia. Gli animali carnivori sono quadrupedi, hanno denti e unghie adatti a rincorrere, arpionare e dilaniare la preda. La loro lingua è ruvida, il canale intestinale ha una lunghezza quattro volte quella del tronco, e quella dell'uomo dodici volte il tronco: non siamo fatti per digerirla! Lo stomaco degli animali ha succhi gastrici molto più potenti dei nostri. L'uomo non è stato strutturato dalla natura per cibarsi di cadaveri, ma per nutrirsi di alimenti vivi, di frutta, semi, germogli e radici. Ogni anno vengono distrutti trecentomila chilometri quadrati di foresta per far posto agli allevamenti di animali, occorrono duecento litri di acqua per produrre un solo chilo di grano, per non parlare delle quantità necessarie per produrre carne. A causa delle distruzioni delle foreste pluviali, ogni anno scompaiono migliaia di specie animali. L'industria della carne è tra le prime cause di inquinamento della terra, dell'acqua e dell'aria.”
“Evverosì!” esclamò un gruppetto di egocentrici, complimentandosi, vicendevolmente, per la loro esibizione. Erano gli stessi che usavano incendiare riserve di alberi malati terminali di cancro alla clorofilla, per dimostrare l'estrema spettacolarizzazione della sofferenza, in risposta all'accanimento terapeutico della bioindifferenza.
“La carne risulta responsabile di...”.
Il rullio del tamburo accentuò la crudeltà di ogni singola croce.
“Tumori, infarti, paralisi, squilibri mentali, arteriosclerosi, ipertensione, diabete, artrosi, artrite, gotta, impotenza, depressione, ansia, insonnia”.
Qualcuno tossì, poi fu la nausea, seguirono conati di vomito. Nell'aria un cattivo odore, come di malsano presagio.
“Vogliono veganizzarci tutti!” esclamò il consulente di una famosa catena di insaccati. “Riempiranno il mercato alimentare con prodotti vegetali! I vegani sono pagati dalle multinazionali della soia!”
“La carne contiene ormoni,” continuò Comelamela sui colpi che continuavano ben cadenzati, “antibiotici, tranquillanti, sulfamidici, anemizzanti, somministrati agli animali per immunizzarli alle varie malattie dovute a una vita innaturale, che entrano nel metabolismo di chi mangia la carne. Il pesce, i molluschi e i crostacei, esseri putrescibili, sono ancora più tossici. La carne incita alla aggressività e alla violenza, per contro l'alimentazione vegetale inclina l'uomo alla tolleranza, alla serenità e alla gioia.”
“Ne è sicura?” disse la macellaia toccandosi la punta del naso. “Io so di certi vegetali che picchiano le loro donne.”
La ragazzina in prima fila se la rise così forte che dovettero sedarla.
“Non hanno la B12,” continuò la macellaia, “e sono pallidi, fanno tristezza se li accosti a una come lei. Invece guardi, guardi qua lei.” Così dicendo, indicò la sua figliola rosso sangue, opulente e adiposa.
“Provate ad andare in un qualsiasi mattatoio, anzi, portateci i vostri bambini,” proseguì Comelamela. “Fate vedere loro l'origine di quei pezzi di cadavere confezionati che acquistate nei supermercati, perché non credano che un vitello, un manzo, un maiale siano bistecche e niente di più. Fate in modo che associno quelle bistecche allo sguardo terrorizzato di quell'animale immolato al sacrificio, e poi chiedetegli se hanno ancora voglia di desiderarlo come cibo.”
“Siete degli integralisti manipolatori di coscienze, siete animali malati!” urlò un esagitato.
“Ordine, ordine!” intimò l'Addettosicurezza, grattandosi la pancia. Lui, che per lo stufato di manzo nutriva una passione inconfessabile.
“Il disagio dei carnivori non è necessariamente un improvviso senso di colpa, è la consapevolezza del rischio di diventare minoranza in un contesto sociale sempre più ampio, che aspira con convinzione a una convivenza pacifica e di rispetto fra gli esseri viventi, in armonia con il creato. Cibarsi della carne di un altro essere vivente è cannibalismo, perpetrato nei secoli dei secoli,” dedusse il Critico fra sé, davanti a un piatto di carpaccio di seitan imbevuto con aceto balsamico e limone, addolcito con una punta di stevia, insaporito da gomasio e olio d'oliva, allietato da erba cipollina e prezzemolo. Un paradiso del palato gentilmente offerto da una cuoca onnivora convertita al veganismo.
“Antidoto, essenza vegan,” chiosò, e mise un punto alla poesia di quel piatto.
“Vivrai più a lungo e con minori malattie,” concluse Comelamela. “Risparmierai la vita e la sofferenza a migliaia di animali, non contribuirai alla distruzione delle foreste, all'inquinamento dell'aria, dell'acqua, del suolo, aiuterai a debellare la fame nel mondo e risparmierai notevolmente sui costi della tua alimentazione. Sete vegan!”
Il tamburino smise di rullare, le anatre e gli agnellini ripresero la conversazione, sotto lo sguardo torvo dell'Addettosicurezza impegnato a sgomberare la sceneggiata animalista che, a dirla tutta, alla noia per tutto ciò che aveva dovuto ascoltare aveva aggiunto nausea per lo scenografico olezzo di escrementi, lasciati senza ritegno. Un'offesa al decoro che, ovviamente, non sarebbe stata sanzionata.
Gli venne da pensare ai governanti e alla struttura della politica, che elargiva privilegi sotto l'egida dell'immunità.
“Andate di là, via, di là, via,” disse autoritario, segnalando all'allegra brigata il percorso d'uscita. Poi si ammorbidì e utilizzò la gentilezza di una dama di compagnia, quando notò il vitello fissarlo in tralice, intenzionato a comunicargli qualcosa circa il suo punto di vista sul tono e sul metodo: “Ammiro tanto gli animali, i cani pastori ad esempio, anche non di razza si intende, perché ci vuole una pazienza per governare il traffico,” gli confidò premuroso.
In chiusura della serata, la Direzione ringraziò i codici tutti, augurò loro il dolce ristoro alla mensa dello chef codice 45897, e un buon riposo, perché la notte risultasse lieve come il beato sonno dell'innocenza: “Custodite i vostri sogni, seguitevi viandanti del vostro cammino,” mormorò. E in quell'istante, l'Addettosicurezza scoprì il lato umano della Direzione. Intuì che dentro quella corazza di granito, da qualche parte, un angolo di morbida tenerezza si stesse palesando, quando osservò il gioco tremulo delle sue mani accogliere il cuore di tutti perché diventassero uno, e quei suoi occhi, lucidi di lungimiranza.
Qualcuno disse: “Gocce di rugiada su foglie di magnolia.”

Milici

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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