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Autore: Izabel Nevsky
Sicilian Story
Erotico
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Sicilian Story
Ci sono momenti in cui bisogna affrontare le proprie paure e comprendere fino a che punto siamo disposti a superarle per raggiungere la parte più complessa dei desideri. Dopo una lunga estate passata nella mia gelida terra natale, sono approdata nella calura di un piccolo paese della Sicilia, dove ho trovato i coraggio di guardarmi allo specchio per dare un senso alla mia perenne agitazione.
Mia madre ha ricominciato a parlarmi dopo tanti anni, ma non mi ha perdonato la scelta di pubblicare gli scandalosi diari del mio passato. Si rimprovera di non avermi saputo mantenere sulla retta via, quando sappiamo entrambe che il suo matrimonio è finito proprio perché lei stessa non ha saputo rinunciare a un'avventura.
«La carne è debole.» mi ha risposto in un momento di confidenze «Ma tu, figlia mia, hai oltrepassato la decenza.»
Per tutti, qui al paese, sono da tenere alla larga, le donne mi schivano perché sono gelose dei mariti e gli uomini mi stanno alla larga perché ne temono le conseguenze. Così quest'anno ho assunto il medesimo atteggiamento: mi sono tenuta alla larga anch'io.
Ogni mattina prendo lo scooter di mio cugino Pietruccio e vengo al mare, lontano dal paese e dal gossip, che qui chiamano curtigghiu.
Raggiungo una piccola spiaggia appartata, il paradiso della mia giovinezza dove venivo in compagnia di Maria, una cara amica che è emigrata in Germania. Qui ho scoperto per la prima volta il mio corpo e i miei desideri. Ogni volta che ci ritorno rappresenta un tuffo piacevole nel passato.
Sembra stupido da ammettere, ma mi tocco ancora. Non come prima, non con la stessa irruenza, adesso mi accontento di sfiorarmi, seduta davanti al mare.
Anche stavolta, tra il rimestare delle onde che fanno curtigghiu con la sabbia, percepisco le voci che il vento mi porta dall'entroterra alle mie spalle. Sono soffuse, ovattate, sinuose come i passi dei ragazzini che si accovacciano tra gli scogli.
Vengono a spiarmi per vedermi nuda e poi ridono mentre si abbassano il costume a vicenda per mostrare chi ce l'ha duro.
Non si sono mai fatti scoprire, anche se sanno perfettamente che sono al corrente della loro presenza. Forse non hanno il coraggio di manifestarsi, forse hanno paura della mia reazione e preferiscono rimanere acquattati come dei ladri, in attesa di rubare l'immagine più audace del mio corpo, nell'istante in cui mi alzo e mi volto verso di loro.
Oggi però c'è qualcosa di diverso.
Tra di loro c'è un ragazzo più grande, che non si abbassa nel nascondiglio quando incontra il mio sguardo. Anzi, mi sorride spavaldo mentre gli altri fuggono come conigli. Dopo qualche istante, si alza dalle rocce il suo compagno di merende e insieme mi salutano senza timore. Attendono con impazienza che indossi il pareo e poi, inaspettatamente, vengono verso di me.
Si presentano tendendomi la mano e sorridono.
Francesco e Salvatore, entrambi sgranano i loro grandi occhi scuri sulle trasparenze che mostrano i miei capezzoli turgidi, si danno di gomito e non riescono a nascondere la soddisfazione.
«I picciriddi ci hanno detto che vieni spesso qui alla nostra spiaggia e ti metti senza mutande.» balbetta il primo.
«È proibito?» lo affronto.
«No!» interviene Francesco «Proibito non è proibito... soltanto che dovresti chiederci il permesso.»
«Per mettermi nuda o per venire alla spiaggia?» gli domando con aria seria.
«Nuda... ti puoi mettere quando vuoi.» aggiunge Salvatore «Per noi questo non rappresenta un problema, non siamo picciriddi.»
«Venivo su questa spiaggia quando voi probabilmente non eravate ancora nati. Accompagnavo la mia amica Maria che adesso abita a Stoccarda.»
«Forse che si trattava di Maria Russo, la figlia di Agostini u carnizzeri?»
«Esattamente lei. La conosci?»
«Insegnava alla mia scuola, poi è successo il fatto e se n'è andata.» spiega Francesco.
«Quale fatto?»
«Non te lo possiamo dire.» lo ferma Salvatore «Non ti conosciamo e non sappiamo ancora se ci possiamo fidare.»
«Se lo sapete voi significa che ne è al corrente tutto il paese, non è più un segreto.» provo a obiettare.
«Tu straniera sei,» scoppia a ridere «non conosci le abitudini del posto e nemmeno porti le mutande!»
«E neppure i peli sul pacchiu!» aggiunge Francesco, facendo segno al compagno di fuggire.
«Potete restare.» li tranquillizzo «Non mi offendo per quello che avete detto.»
Tornano sui loro passi con un'espressione curiosa: «Non volevamo offenderti, ma qui le ragazze sono diverse.»
«Diverse perché non si depilano?»
«Questo noi non lo possiamo sapere perché il costume non se lo tolgono nemmeno quando fanno la doccia.» scoppiano a ridere insieme.
«Io me lo sono tolto la prima volta che sono venuta in questa spiaggia, tanti anni fa, e non l'ho più rimesso.» provo a carpire la loro reazione.
«Anche le mutande non porti quando te ne vai in giro?» mi domanda Salvatore.
«Dipende.» allargo le braccia con un gesto enigmatico.
«Quando vai sullo scooter le metti?»
«Qui al mare non le uso mai.» cerco di stupirli.
Improvvisamente si fanno un gesto di intesa, mi salutano e se ne vanno, alludendo come scusa che “c'hanno da fare”. Capisco cosa avessero in mente quando più tardi salgo dalla spiaggia e raggiungo lo scooter. Sulla sella hanno schiacciato alcuni fichi maturi. Immagino che i ragazzi siano nascosti da qualche parte a spiarmi per controllare la mia reazione e istintivamente sto al loro gioco.
Sollevo il pareo e lo annodo sui fianchi, poi scavalco la sella col ginocchio dalla parte opposta, affinché possano verificare che non porto gli slip. Resto in equilibrio per qualche istante, giusto il tempo per vedere spuntare le loro teste degli scogli, e infine mi sfrego più volte col pube sui fichi spalancati, concedendo loro uno sguardo soddisfatto.
Quando mi allontano, li vedo entrambi dagli specchietti che ridono a crepapelle. Sanno di aver raggiunto il loro scopo e non immaginano di aver alimentato il mio.
La sera li vado a cercare nel paese vicino, lo stesso dove abitava Maria. La macelleria di suo padre Giuseppe non c'è più. Al suo posto c'è una gelateria e la piazza è gremita di gente. Parcheggio lo scooter bene in vista e attendo gli eventi seduta su una panchina.
La vita nei minuscoli paesi del sud si svolge nel piccolo centro, dove si illuminano di vita i bar e le botteghe; lontano da lì a volte non ci sono neppure i lampioni e le vie sono rischiarate da una piccola lampadina gialla.
Un pescatore mi si avvicina con la bottiglia di vino in mano, me ne offre un sorso, lo ringrazio con un gesto deciso e si allontana brontolando in dialetto stretto.
Passa almeno un'ora prima che i due ragazzi si facciano vivi. Sono in compagnia di una dozzina di coetanei e hanno un sussulto quando si accorgono della presenza del mio scooter. Controllano la sella e si guardano in giro nervosamente. Parlottano tra loro e ridono... ridono... certamente di me.
Dopo un lungo consulto con gli altri, Francesco compra un grosso cono di gelato alla panna e lo rovescia esattamente dove avevano schiacciato i fichi la mattina. Poi, tra gli sghignazzi dei compagni, solleva la parigina e la lecca avidamente, mimando un cunnilingus.
Mi alzo, non aspetto che se ne vadano, magari per assistere alla scena di nascosto. Raggiungo lo scooter mentre ancora stanno battendosi il cinque, non li degno di uno sguardo, mi apro il vestito, scavalco la sella e mi siedo senza battere ciglia. Sento il freddo del gelato che si scioglie sotto il mio pube nudo, ondeggio i fianchi fino a percepirlo nella carne, metto in moto e me ne vado.

Izabel Nevsky

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