I cannibali della montagna - Volume secondo
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Brividi.
Il fulcro dell'odio sembrava ormai alle spalle, distante a sufficienza per dichiarare il pericolo scampato. Ciononostante, Amanda continuò a correre, anche a dispetto degli anfibi ai piedi – e di quello dal tacco rotto, in particolare. «Ferma!» provò a invocarla Dorighi, lasciatosi di proposito sopravanzare al fine di offrirle protezione alle spalle. Amanda, tuttavia, il cui unico intento era quello di allontanarsi da una realtà imprevista e assai difficile da digerire, lo ignorò. Per certi tratti, anzi, ella chiuse addirittura gli occhi, in pratica correndo alla cieca. Seguendola, Dorighi fu così costretto a ripercorrere altri luoghi del proprio passato, avventurandosi per altri vicoli e stradine dissestate, nel mezzo di detriti e pezzi di carne che, in molti casi, avrebbe giurato essere umana. E proprio all'interno di uno di quei vicoli s'imbatté nella casa in cui abitavano i nonni paterni. Spontaneo, sicché, rallentò la corsa fino a interromperla del tutto. «Dio, com'è ridotta...» commentò amaro, constatando l'entrata occlusa da una muraglia conseguenziale al terremoto e il balcone sventrato, con il tetto che sembrava potesse definitivamente crollare in qualsiasi momento. «Ci tenevano tanto...» disse, prima di chiudere anche lui gli occhi.
Uomo di vecchio stampo, e dal carattere spesso burbero, nonno Arnaldo era stato anche lui, un carabiniere. A Dorighi fu sufficiente ricordare tale aspetto, all'apparenza semplice, per avvertire un sussulto capace di aprirgli un mondo: «Pecciò pure papà...» Lo sapeva, certo, che suo padre Albino aveva preso da lui, l'esempio, nel voler far sì la tradizione proseguisse. Nell'imporla, meglio... Proprio per questo, suppose, nella sua mente doveva aver cominciato a ronzare quel termine “manipolazione” già più volte utilizzato durante la sera, per simili ragioni ma nei confronti altrui. Con l'intento di scacciar via certi pensieri, l'appuntato scosse rapidamente la testa, senza però riuscirci. Nonno Arnaldo, cercò di riflettere a ogni modo, si era parecchio ammorbidito, dalla morte di nonna Concetta, strappatagli via da un tumore al colon capace di ridurla l'ombra della persona allegra e vivace che viceversa era. Il giovane Amedeo, se non altro, aveva dunque cominciato a considerare piacevole, trascorrere con lui del tempo, le rare volte in cui papà e mamma erano entrambi fuori casa e decidevano di affidarlo alla sua guardia. Quando giocavano a carte, ad esempio: era stato infatti lui, a introdurlo alla Scopa e al Tressette; al Solitario, soprattutto, il suo preferito, grazie al quale soleva distrarsi durante le ore vuote presso la Scuola Allievi Carabinieri. Gli voleva molto bene, quel nonno di poche parole ma dai gesti divenuti all'improvviso affettuosi. Come la pressoché totale libertà concessagli dentro casa, o i calorosi abbracci ogni qualvolta lo incontrasse. «Forse lo faceva... per farsi perdonare», Dorighi presunse, proprio perché consapevole di quanto suo figlio ci tenesse alla suddetta tradizione. ...Nonché di cosa fosse disposto a fare per il fine. E poi, una notte, il dannato sisma decise di prendersi la vita di quell'anziano. Sicché si ritrovò senza più nessuno, a offrirgli una disponibilità tanto sincera. E quei complimenti alla sua persona di proposito espressi a voce alta, che tanto lo imbarazzavano ma che, adesso, un po' gli mancano... «Che tragedia...» concluse Dorighi, che, così, aveva di nuovo trascorso del tempo immerso nei ricordi. Un lasso breve, ma comunque adatto ad Amanda per sparire dalla sua vista. «Cazzo!» esclamò l'appuntato quando se ne accorse, di conseguenza subito adoperandosi per mettersi alla sua ricerca. Una corsa, la sua, che durò tuttavia poco, perché bruscamente interrotta nel momento in cui si accorse di una figura completamente bianca che si muoveva presso il centro perfetto del bivio successivo. «Ma che cos'è...?» s'interrogò Dorighi, non in grado, per via della penombra, di delinearne le fattezze. Sulle prime, quella tonalità dominante gli rammentò Martino. Anche per questo, intese saperne di più, dunque riprendendo ad avanzare. E più lo faceva più capiva, finché il quadro non divenne sufficientemente chiaro.
Una bambina. Piccola e minuta, con indosso un tutù bianco, surrogato dalle guance truccate di un fard rosa e i capelli neri raccolti all'indietro in un elegante chignon. Delicata, la bambina danzava, con i piedini che sembrava sfiorassero il suolo di un palco, anziché un terreno insipido. Dorighi stette a osservarla con espressione affranta. La senti, questa musica...? poi domandò una voce, altrettanto delicata. Una voce sia vicina che lontana, neutra, non ascrivibile a un sesso specifico. L'appuntato si guardò immediatamente attorno, senza però notare alcunché in antitesi con la devastazione. Ho sognato...? pensò. «Sto sognando...?!» si chiese quindi apertamente, in un impercettibile – ma ennesimo – scatto di nervosismo. Nella speranza di ottenere una risposta, Dorighi tornò a osservare la bambina, la quale, nel frattempo, aveva interrotto l'improbabile danza e cominciato a fissarlo anch'ella. Lo faceva, tuttavia, con evidente imbarazzo, il viso tinto di un rosso naturale sovrastante l'effetto del fard alle guance. L'appuntato diede per certo la motivazione non tanto risiedesse nella propria presenza, quanto nell'assenza di entrambe le braccia. «Poverina...» mormorò. La giovane ballerina, in quello che a Dorighi apparve come un gesto dettato anche per lei, dall'ira, si diede un'improvvisa spinta con un piede per effettuare una rapida piroetta. Quando questa fu sul punto di concludersi, se ne diede un'altra, e poi un'altra, e un'altra ancora... Andò avanti così per circa un minuto, conferendo al suo corpo le sembianze di un velocissimo giroscopio. Stanca, infine fu costretta a fermarsi. Non potendo ricorrere all'uso delle braccia per chinarsi e appoggiarsi alle gambe, dovette avvicinarsi al muro più vicino, ponendo su di esso la fronte. Poco dopo, la bambina cominciò a piangere. «Poverina...» ancora commentò Dorighi, con una punta di commozione. La senti, questa musica...? udì poi di nuovo. L'uomo di legge non fece però in tempo a indagare ulteriormente su quella voce, in quanto avvertì un rumore sul fondo del vicolo a sinistra, deviandovi sicché lo sguardo. «Amanda!» la riconobbe, con la donna che si svincolava da un ostacolo per continuare a fuggire verso una meta imprecisata. Di conseguenza, Dorighi ricominciò a inseguirla. Ma non prima di aver indirizzato un ultimo sguardo, tutto intriso di malinconia, nei confronti della bambina, la cui crescente disperazione gli procurò un nuovo senso di colpa per qualcuno, per non aver tentato alcunché pur di aiutarla.
Dorighi non intendeva gridare, per richiamare Amanda. Eppure, dissipatasi la presenza di edifici, la pendenza del suolo stava rapidamente inclinandosi, al che un pensiero nefasto lo allarmò. «Ferma!!!» fu dunque costretto rivolgersi lei con un volume di voce perfino più alto che in precedenza. La donna, in quel momento, aveva gli occhi chiusi. Anche percependo un improvviso senso di vuoto, lì riaprì del tutto e si fermò, obbligata non dal carabiniere ma da quanto le si parò davanti. Erano infatti giunti al termine di quell'ennesimo vicolo disastrato che Dorighi nemmeno ebbe il tempo di ricordare, al di là di cui era presente un burrone. Amanda si era fermata ad appena una manciata di centimetri da questo, con il piede arenato fra i resti di un varco creato dal terremoto sul muretto di contenimento. Da lì, si affacciò il tanto che bastava per contemplare, inquieta, la profondità di quell'oscurità vuota ma penetrante. «Qu-Questo è...» provò a dire, con il fiato corto e una goccia di sudore a importunarla dalla fronte. «Il confine a ovest di Giglia», concluse per lei Dorighi. «...Non sono molto ferrato, in geografia...» specificò, anche lui affaticato, «ma oltre ci dovrebbero essere le Marche.» «Se non fosse per... per tutto, penso me ne accorgevo», tentò di giustificarsi la donna. «Lo capisco. È successo pure a me, poco fa.» Concepito di essere stata nuovamente salvata – per la seconda volta in un ristretto lasso di tempo, per giunta –, Amanda tirò un sospiro di sollievo e si asciugò la goccia di sudore sulla fronte con il dorso della mano. Fece quindi per girarsi. «Gra--» «Lascia stare», la interruppe Dorighi, rapidamente avvicinandosi a lei per porle una mano dietro la schiena. «Andiamo là», le disse, spingendola con delicatezza. «Dove?» «Quella», specificò l'appuntato, indicando un casale in stile rustico, di media grandezza e vecchio, a cinquanta metri circa, con l'erbaccia spuntante dagli spazi dove, un tempo, vi erano delle finestre. Pur senza pressarla, Dorighi la portò ad adattarsi al proprio passo. Giunti a ridosso dell'entrata più vicina, tuttavia, il braccio della donna si aprì verso l'esterno, costringendo anche l'appuntato a fermarsi. «Che succede?» Amanda non rispose, rimanendo a fissare un punto vuoto verso il basso. Durante quegli attimi, un coacervo di pensieri, composto da timori e dubbi, furoreggiò nella sua mente. L'uomo di legge, allora, sentì doveroso rincuorarla. «Amanda...» Quest'ultima lo guardò per attimi che parvero interminabili. Nei suoi occhi, Dorighi pensò d'intravederne il mondo, appieno percependo il suo dramma. Del presente e di chissà quale passato, che suppose turbolento. La donna si smosse quindi dal suo stato, lentamente avviandosi verso la porta socchiusa davanti a loro. Dorighi la seguì finché lei, di nuovo, non si fermò. Di conseguenza, intento a infonderle coraggio, le passò avanti e varcò la soglia per primo. Nel farlo, si ritrovò, come in principio, con quacche strana erbaccia attaccata addosso – sui calzini, stavolta. Ma se ne sarebbe occupato in seguito, di rimuoverla, considerata la circostanza nella quale si stavano addentrando...
Mauro Pergolini
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