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Autore: Claudia Calisti
Il fiore caduto
Romanzo
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Il fiore caduto
Ilda uscì dalla sua stanza a metà di un pomeriggio freddo e scuro di dicembre, per salire in soffitta. Il locale era in un disordine stimolante per la fantasia, anche se la polvere non costituiva un vantaggio in caso di allergia. Così prese a starnutire talmente forte che dovette ridiscendere per munirsi di fazzolettini. Se ne riempì la grande tasca del grembiule e riprese le scale inseguita dalle raccomandazioni di Tonia
— Non spostare cose che potrebbero, mai sia,
caderti addosso! Non arrampicarti da nessuna parte, non aggrapparti agli scaffali! —
Il vento fece sbattere violentemente la porta del locale, disperdendo la voce della donna, premurosa governante storica di quella casa.
Ilda aveva solo nove anni, ma già una personalità decisa, più che ostinata.
Quel giorno dopo la scuola, aveva sbrigato in fretta i compiti di Italiano e meno quelli di Matematica per poi dedicarsi a uno dei suoi hobby: dipingere sulla stoffa, una cosa molto insolita per quei tempi. Aveva ritagliato alcune delle sue produzioni, inserite in un album e usate come decorazioni dei racconti che scriveva. Storie fantasiose in scenari da favola.
Ed eccola in una delle location sue preferite per trovare ispirazione.
Rovistò eccome, ignorando ogni prudenza, ma la cosa più strana fu scoprire uno scarafaggio che avanzava verso di lei, nonostante le zampe anteriori rotte: forse colpito da qualcuno dei libri che aveva fatto cadere per spostare una cassetta dallo scaffale.
Lo osservò arrancare e pensò che lei avrebbe fatto lo stesso: non si arrendeva mai.
Una volta, sentendo sua bisnonna suonare il piano, aveva desiderato studiare musica. La signora Luigina era stata entusiasta di accontentare la piccola, ma Rogelio, suo nipote, l'aveva subito dissuasa
— Nonna, per carità, lascia stare, Ilda è negata per la Matematica, e la musica, figuriamoci, è tutta Matematica —
Gigia non ebbe la forza di opporsi al nipote e, sul momento, la cosa finì lì, ma non per Ilda.
Qualche giorno dopo ci fu una festa patronale in paese con annesse fiera e banda musicale.
Affascinata, Ilda si rannicchiò nel punto più alto della scalinata, davanti alla chiesa, stette ad ascoltare e alla fine della lunga esibizione di vari brani, raggiunse un suo amichetto più grande, Peppe, che aiutava i musicanti a riporre gli strumenti.
— Mi piacerebbe saper suonare, disse— guardandolo con espressione assorta.
— Vieni a scuola, allora, io studio col maestro Giacometto, sto imparando il clarino. Sai, nella banda è importante come il violino nell'orchestra—
— Vorrei, ma babbo ha detto che per me è impossibile studiare musica, perché sono negata per la Matematica. —
Peppe restò un attimo pensieroso
— Potresti suonare l'organetto, allora, non serve studiare così tanto la musica, vero Corrado? — chiese a un giovanotto che stava riponendo la sua tromba.
— Sicuro, col “Du botti” bastano orecchio e buona volontà. —
— Ma sempre qualcuno che ti insegna ci vuole. — proseguì Peppe.
— E naturalmente serve lo strumento. Costa molto. Ma, ora che ci penso, tuo zio, Vittorio, lui suonava l'organetto. —
— Ma zio Tori è morto in guerra! —
— Lo so, ma mica s'è portato l'organetto! — Se ne uscì ridendo Corrado.
— Giusto! Da qualche parte deve essere! — Aggiunse Peppe.

— Eccolo! — Urlò Ilda avvolta in una nuvola di polvere, mentre da uno scaffale a media altezza, continuavano a cadere giù oggetti, sospinti dal contrappeso dello scatolone contenente lo strumento.
Richiamata dal fracasso, Tonia era salita coi capelli dritti e gli occhi di fuori
— Madre mia! Gesù mio, misericordia! Che ti sei fatta! —
Ilda sedeva sotto lo scaffale, piangendo di gioia, mentre abbracciava l'organetto, come fosse un cucciolo.

Dalla strada alla scena

Quel pomeriggio Ilda era particolarmente inquieta e si dedicò più del solito ai suoi corsi di studio lingue, online. Certo, il mondo tecnologico è infernale e richiede una pazienza infinita, specialmente per una persona anziana come lei, ma, d'altra parte, offre infinite possibilità di informazione, con approfondimento, studio e socializzazione. Poi Ilda, sempre col pallino delle lingue e linguaggi, persino aveva imparato quello dei sordi, dopo aver perso anche lei buona parte dell'udito, che ancora le consentiva udire rumori, ma non sempre il significato giusto di tutte le parole, con effetti farseschi (Lei è impavida! Ma come si permette, io, gravida?), si era interessata alle lingue orientali: quelle europee erano cosa fatta. Così scoprì uno dei corsi più raccomandati, quello del Prof. Narcise Maes. Un giovane belloccio, simpatico e con trovate originali per facilitare l'apprendimento. Ilda ne fu subito conquistata. Dopo due anni, poi, si era creato un feeling particolare tra i due, da lei inteso come una singolare empatia, con punte telepatiche sorprendenti. Uno scambio di informazioni sui reciproci interessi culturali e sociali, completò il loro rapporto. Molti coincidevano. Per questo quando a lui venne l'idea di creare un evento, in un format tanto di moda negli ultimi anni, e cioè un genere di spettacolo che prevedeva di far esibire in un teatro, artisti di strada, lei saltò sulla sedia: che bello! Vorrei poter partecipare, disse a se stessa. Lui non tardò a chiederglielo, e fu la felicità.
Ilda veniva da una vita piena di guai, come dice una famosa canzone, ma lei aveva sempre lottato secondo il proponimento di quella di Joan Baez, ripetendosi “We shall over come!”. Non si era ancora arresa e da anziana quale era, trovava che le giornate fossero troppo corte per riempirle di tutto quello che desiderava fare.
Non si perdeva mai di coraggio e corazzata da una esistenza di lotte in tutti i campi, dalla salute, dove era più volte riuscita a far sgambetto alla morte, al lavoro, nel quale per sopravvivere aveva dovuto rinunciare a svolgere quello che anche le piaceva, alla famiglia, in cui un mazzo di carte cattive, l'aveva alla fine spinta verso l'unica soluzione dignitosa e tranquilla possibile: restare single.
Così, l'invito di Narcise le cadde come balsamo giù per la gola irritata.
Furono giorni memorabili. Conobbe molti artisti interessanti, anche sul piano umano. Ma soprattutto lui, fu un vero tesoro. Preparò l'itinerario per raggiungere la cittadina dove si svolgeva l'evento, dall'aeroporto della città principale, nei minimi dettagli. Quindi si informò delle eventuali allergie o intolleranze alimentari dei partecipanti, nel prenotare loro il posto al ristorante, indicò in quali hotel prendere alloggio, estremamente economici, ma decorosi. Una organizzazione impeccabile. Oltre queste attenzioni estese a tutti gli artisti, quelle rivolte a lei, la convinsero che qualche volta, il Paradiso può essere su questa terra, tanto più quando Narcise, in diverse occasioni, la cinse angelicamente con le sue ali, facendola sentire considerata e al sicuro, come mai in tutta la sua vita. In particolare abbracciandola ripetutamente per darle coraggio e dimostrarle apprezzamento, prima e dopo la sua semplice, ma sentita esecuzione con l'organetto, di un brano popolare, nato durante la lotta di liberazione. Entrare in dettagli su questo aspetto, sarebbe dissacrare quanto accadde tra loro due, che non può essere classificato in nessun altro modo se non con una metafora evangelica: dar da bere agli assetati. Siccome Ilda fosse disidratata sotto quell'aspetto, senza alcun dubbio.
Genis ebbe ad osservare
— Quando parli di lei, ti brillano gli occhi, che ti succede, mio tesoro? — e Genis era il marito di Narcise.
E se questo aveva le lacrime agli occhi riferendosi a lei, fiumi ne sgorgarono da quelli di Ilda, per gioia e commozione, alla partenza dal luogo dell'evento e al ritorno a casa, per alcuni giorni. Tanto che sua figlia Heidi, preoccupata, le chiese
— Ma non hai detto che è stato tutto bellissimo? Che diavolo ti prende adesso? —
— Tua madre si è innamorata, ecco cosa! — sghignazzò Ryan, marito di sua figlia.
— Non dire cavolate! —
— Perché? L'ultima volta che siamo stati a Miami, mio zio Edward mi ha tormentato per avere il tuo numero di telefono! —
— Però zio Eddy ha novanta anni ed è un marimba! —
— Appunto, è il rimbambimento dei matusa che s'incapricciano dei giovincelli —
Ilda gli lanciò una ciabatta
— Parla per te, quanto a disfunzioni: devi essere in andropausa precoce, visto che ancora aspetto un nipote! —
— Beh, te la sei cercata, linguaccia! — concluse Heidi, mettendo fine alla discussione che stava prendendo una brutta piega.
Di sicuro Ilda sapeva che non era semplice afferrare il senso del suo gioioso turbamento: più facile scadere in interpretazioni meschine. Tuttavia quella esperienza, del tutto insolita, era sua e l'avrebbe conservata in uno scrignetto segreto nel suo cuore, al sicuro da contaminazioni maligne.
Più tardi, tornata a casa, dopo essersi messa a letto, al sicuro da frecciate malevole, avvolta nel tepore azzurro del soffice piumone, riandò col pensiero alla premiazione, come un tempo quando usava la moviola, e rivide la scena con la consegna della medaglia, dell'attestato, e risentì distintamente, nell'abbraccio, il battito cardiaco accelerato di Narcise. E le labbra di lui, sui suoi capelli.

Claudia Calisti

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