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Autore: Alessia Parrettini
Loris e il bizzarro mondo di Greenland
Fantasy
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Loris e il bizzarro mondo di Greenland
Diaspro si guardò allo specchio sorridendo.
«Specchio, specchio mio amico fidato... dimmi un po' chi è il diomede più potente di tutto il creato?»
Una buffa signora bassa e cicciottella, vestita tutta di verde, con un cappello a punta e un gran nasone fece capolino dallo specchio.
«Oh razza di babbeo, mica sono lo specchio delle favole io, sai? E tu non mi sembri certo Biancaneve, eh!»
«Sarebbe ora che tu iniziassi collaborare, non trovi? A meno che, tu non voglia restare a vita dentro il mio specchio.» rispose lui arrabbiato. Quella chissà chi si credeva di essere... Sciocca veggente sgarbata, le avrebbe fatto imparare l'educazione prima o poi.
Il suo progetto, il suo grande progetto, alla fine si sarebbe realizzato. Mancava poco ormai.
Restava solo da convincere Grimella Indovinella a partecipare. E se non voleva restare prigioniera nello specchio a vita, avrebbe fatto la sua parte. Eccome se l'avrebbe fatta!
Ma, cosa più importante, l'aveva trovato. L'ultimo della sua specie era stato individuato. Questione di giorni e sarebbe rimasto lui, l'unico, il solo e impareggiabile diomede esistente.
Del resto, che problemi poteva mai dargli un bambino di appena dieci anni? Senza alcun addestramento e ignaro di tutto, era solo e soltanto un moccioso come tanti altri.
Capitolo 1
Pochi giorni prima.
«È una scuola come tante altre.» pensò Loris sconsolato, varcando il cancello e osservando il basso edificio con il cortile antistante. Chissà quanto sarebbero rimasti questa volta.
Era l'ennesimo cambio di residenza in tre anni, da quando la mamma aveva deciso di utilizzare la sua laurea e diventare maestra. Questa era la quarta supplenza e quindi la quarta volta che si trasferivano per non perdere l'occasione. Al contratto precedente erano partiti per tre mesi, che poi erano diventati sei. Stavolta si trattava di una maternità che non si sapeva quanto si sarebbe protratta nel tempo. Loris nella scuola precedente aveva lasciato i suoi amici e ora era nella condizione di doversi rifare nuove amicizie. Proprio una gran sfortuna! Nessun ragazzino di dieci anni avrebbe mai dovuto sopportare nulla del genere.
La mamma lo incoraggiò appoggiandogli una mano sulla spalla. Mentre varcavano il portone, il ragazzo pensò a quando il suo papà era ancora vivo, la sua mamma non lavorava e loro tre vivevano tranquilli, senza bisogno di trasferirsi di continuo da una città all'altra. Sembrava passata un'eternità, come fosse un'altra vita.
Stavolta si erano trasferiti a Ponte Fracco, una piccola cittadina che, a parte il vecchio ponte da cui prendeva il nome, non sembrava avere altre attrattive. Perlomeno al trasferimento precedente erano finiti in una grande città, stavolta invece... Loris sospirò affranto e si consolò, pensando che comunque non sarebbero rimasti a lungo. Per una volta era sollevato di sapere che non sarebbe stato per sempre, se ne sarebbero andati come al solito e magari la prossima tappa sarebbe stata migliore di quel paesino di campagna dimenticato dal resto del mondo.
Mia spinse suo figlio nell'ufficio del Preside, il Signor Lumacone. Era un omone alto e grasso, ma proprio grasso, pensò Loris osservandolo mentre si alzava e tendeva la mano alla mamma. Sembrava aver problemi a muoversi, con tutto il peso che si trascinava appresso. Loris trattenne una risata, quando lo vide faticare a ritrovare il suo posto nella seggiola. Era quasi piccola per lui, a malapena riusciva a entrarci.
«Benvenuta, signora Mia. Spero si troverà bene qui da noi.» stava dicendo Lumacone, mentre Loris si guardava attorno. Due grandi scaffali occupavano le pareti. Erano pieni zeppi di libri disposti in due o tre file sovrapposte, per ovviare alla mancanza di spazio, e in mezzo a quel caos di libri, modellini di aeroplani erano disposti in bella mostra. Il Preside doveva essere un appassionato di modellismo, a quanto pareva.
«Vedrà che qui a Ponte Fracco la vita scorre serena...» stava dicendo Lumacone. “Anche troppo” pensò Loris osservando un aeroplanino su cui era scritto Boeing 777. Era rosso con le scritte blu, proprio grazioso, a Loris sarebbe piaciuto averne uno così. Chissà se era telecomandato, sarebbe stato divertente farlo volare.
«Il nostro è un paese esemplare...» continuò Lumacone. Il Boeing 777 girò su sé stesso. Loris guardò meglio. Non era possibile, certo si era sbagliato. Quando mai un aeroplanino va in giro da solo?
«Non vorrà più andarsene da qui...» proseguì il Preside orgoglioso.
Il Boeing 777 decollò. Mentre mamma era intenta ad ascoltare il discorso infinito su quanto Ponte Fracco fosse l'angolo di mondo migliore possibile, Loris lo guardò alzarsi in aria, volare sopra il lampadario e atterrare, come nulla fosse, sulla libreria posta all'altro lato della stanza.
«Mamma...» provò a dire, ma lei impegnata ad ascoltare, gli fece cenno di stare zitto. A Loris non rimase altro da fare che fissare stupito il Boeing 777 aspettando altri movimenti. Fermo. Immobile. Non sembrava volersi muovere ancora. Ma si era mosso davvero? Forse lo aveva solo immaginato.
«Cosa ci dici Loris?» Mamma lo guardava aspettando una risposta. Lui aveva ancora gli occhi fissi sul ripiano della libreria.
«Loris? Mi ascolti?»
«Cosa, mamma?»
«Il Preside ti ha chiesto che cosa di Ponte Fracco ti ha colpito in modo particolare.»
“Le acque stagnanti del fiumiciattolo che lo attraversa e l'atmosfera da paese addormentato!” pensò lui, mentre con un occhio guardava ancora il modellino. «Io... sì, certo. Di sicuro è un gran bel posto per vivere.» rispose per educazione. “E vegetare nella noia assoluta...” aggiunse mentalmente. Il Boeing era sempre lì. Doveva essersi sbagliato. Magari la noia fa venire le allucinazioni, lui doveva per forza averne avuta una. Non c'erano spiegazioni alternative.
Alla fine salutarono il Preside Lumacone. Loris ne aveva abbastanza di discorsi infiniti e aerei che si muovevano. Almeno nelle altre scuole in cui era stato non aveva visto cose strane. Doveva essere una conseguenza dell'eccessivo stress: troppi cambi di scuola forse causavano allucinazioni. Mentre si salutavano sulla porta Loris diede un ultimo sguardo al modellino. Gli sembrò, ma di certo si sbagliava di nuovo, che questi muovesse un'ala su e giù, come se stesse in qualche modo ricambiando il saluto.
«Mamma... hai visto?»
«Cosa Loris?»
«Beh! Ecco, io... Niente mamma, niente.»
Una volta usciti si avviarono camminando a fianco l'uno dell'altra verso l'appartamento preso in affitto vicino la scuola. Per arrivare a destinazione servivano soltanto dieci minuti a piedi. Del resto quel paese sperduto era così stretto che in poco tempo potevi fare il giro dell'intero centro abitato. Troppo stretto per i suoi dieci anni e tanta voglia di vedere il mondo.
«Mamma, questa volta quanto resteremo?» chiese Loris, anche se conosceva già la risposta.
«Non si sa Loris. Stavolta dovrebbe essere una supplenza piuttosto lunga, forse fino alla fine dell'anno scolastico, ma di preciso non lo posso sapere.»
Loris sospirò «Ma sarà sempre così?»
«Neanche questo posso sapere, ti pare? Si spera che un giorno mi daranno un posto fisso e allora metteremo radici da qualche parte.» sospirò Mia. Era dura anche per lei trasferirsi di continuo con un figlio alle soglie della pubertà da seguire. Era proprio dura.
Arrivarono in Via 8 marzo. Madre e figlio avevano affittato una mansarda. La proprietaria abitava al piano terra dello stesso edificio ed era la signora Adelaide Triocchi, vedova ormai da molti anni. Come al suo solito era alla finestra aperta a sbirciare in strada. Non doveva avere molto altro da fare, visto che passava così tanto tempo a guardare i vicini. Mia e Loris la salutarono passandole davanti e lei si limitò a un cenno del capo in risposta, mentre osservava bene entrambi.
Le sembravano due tipi a posto quei due, mamma e figlio. Lei aveva occhio per la gente strana, non avrebbe mai affittato la sua bella mansarda a persone svitate. Comunque meglio stare all'erta. Mentre tendeva l'orecchio per captare le voci al piano di sopra, le sembrò di intravvedere un movimento nella siepe sull'altro lato della strada. La signora aprì meglio gli occhi per vedere meglio. Due piccole testoline erano appena spuntate tra le foglie, una aveva capelli rosa, l'altra viola.
«Eccolo! Lo abbiamo trovato!»
«Merito mio, sicuro...»
La signora Triocchi rimase senza parole e non era da lei, non sapere cosa dire! Quelle due piccole cosette parlavano pure!
«Cosa dici? Se non era per me eravamo finite dritte in quella casetta tutta bianca, con tanto cibo dentro»
«Si chiama frigo! E ovviamente il ragazzino, che poi si è rivelato quello sbagliato, non lo ha fatto apposta a chiuderti dentro. Devi curiosare meno quando giri in questo mondo. A scuola non hai imparato proprio nulla?»
La signora andò veloce a prendere un retino per farfalle e si avvicinò piano piano... forse poteva catturare una di quelle due cose. Ancora un passo e...
«Un'umana ci ha viste!»
«Presto» piccole manine si protesero verso la signora che si ritrovò in una nuvola di luce colorata.
«L'hai obliata?»
«Certo, cosa credi? Non ricorda già nulla.»
Alcuni passanti si fermarono stupiti vedendo la signora Triocchi che, sguardo fisso, rientrava in casa camminando a testa in giù sulle mani, canticchiando allegramente una canzoncina stonata.
«È agile la vecchietta!» commentò allibita capelli viola.
«Sapevo che sugli umani la nostra magia ha effetti collaterali imprevedibili, ma non credevo così tanto!» ridacchiò capelli rosa.
Capitolo 3
La mattina arrivò presto. L'aria fresca di fine settembre pungeva la pelle e si faceva sentire dopo il caldo torrido estivo. Loris uscì da solo. Mamma sarebbe entrata alla seconda ora. Zaino in spalla, berretto in testa. Aveva preso tutto. Aprì il cancello del piccolo giardino di casa e si avviò. Con la coda dell'occhio notò una tenda che si spostava al piano terra e un occhio che sbirciava. Adelaide Triocchi era dietro la finestra.
«Buongiorno signora Triocchi! Perché non esce a salutarmi invece di spiare?» La tenda si richiuse di scatto e Loris si allontanò ridendo.
Il ragazzo si avviò a passo veloce. Non era il caso di fare tardi il primo giorno di scuola. Chissà stavolta chi avrebbe conosciuto.
Camminava spedito, quando... il ragazzo sentì una risata maligna e voltandosi si trovò davanti un ghigno spietato e denti che si aprivano minacciosi. Occhi dilatati, orecchie dritte e una coda che si agitava in posizione di attacco. Ma soprattutto quegli occhi gialli, profondi e ostili che lo guardavano. Loris non aveva mai visto un lupo dal vivo, eccetto allo zoo in cui era stato anni prima con mamma e papà. Ma quella volta si era trattato di un lupo in gabbia. Innocuo. Gli aveva fatto pure tenerezza e un po' di pena, non doveva essere bello per niente vivere in quelle condizioni. Questa volta non c'era un filo di tenerezza in quella maschera di rabbia che lo fissava come se stesse per attaccarlo. Cosa ci faceva in mezzo alla strada? Stava lì a fissare inebetito quella bocca feroce, quando all'improvviso si ritrovò steso a terra. Il berretto volò in aria e lo zaino sulle spalle lo schiacciò sull'asfalto. Uno stridore di freni di bicicletta e una ragazzina scese al volo: «Che caspita! Scusami! Non ti volevo investire! Ti sei fatto male?»
Loris alzò gli occhi a controllare: il lupo non c'era più, quella specie di catastrofe umana che lo aveva travolto doveva averlo fatto fuggire. Tante grazie, ma era comunque un attentato.
«Ma ti sembra questo il modo di andare in bicicletta? Ci vedi bene, oppure?»
Si voltò di nuovo dove poco prima c'era la bestia. Nulla, sparita. Voltò gli occhi di nuovo verso la ragazzina. Altezza media, naso all'insù, capelli rosa legati in due trecce. Rosa? Chi mai si tinge i capelli di rosa?
«Io... Scusami, non ti ho proprio visto. Ero di corsa, non volevo fare tardi a scuola. Faccio la quinta elementare. Chi sei? Non ti ho mai visto prima.» fece quella sorridendo, nonostante tutto.
«Mi chiamo Loris e sono nuovo in questa specie di paese fuori dal mondo. E tu chi saresti invece? Cataclisma Pink? È una specie di moda qui a Ponte Fiacco o i capelli di questo colore li hai solo tu?»
«Ponte Fracco... qui siamo a Ponte Fracco.» rispose quella specie di elfo.
«Con quanta scarsità di vita c'è, è meglio chiamarlo Ponte Straccio!» rise Loris mentre si rialzava in piedi.
«Ti sei fatto male? Io mi chiamo Camilla.»
«Insomma, mi sono appena trasferito a Ponte Straccio...»
«Fracco... Ponte Fracco.»
«... poco fa un lupo era sul punto di sbranarmi e sono finito steso a terra, investito da una specie di gnomo rosa! Tutto normale! Incredibile, ma non ho un graffio...» Loris si guardò intorno. La bestia lo aveva innervosito non poco. Non ce n'era traccia. Camilla lo aveva spaventato ed era fuggito. Magari erano stati i capelli di quell'assurdo colore a farlo scappare.
«Io non ho visto nulla.» osservò quella. «Ti sei fermato all'improvviso in mezzo alla strada a fissare il niente. Per questo ti sono finita addosso. Ti sei pietrificato senza alcun motivo.»
«Cosa?» Loris la guardò smarrito. «Io credevo...»
«Senti, io devo proprio andare. Non mi piace fare tardi a scuola. Vedo che stai bene, per cui... ci vediamo.» Ripartì in bici di corsa.
Loris guardò l'orologio. Avrebbe fatto tardi. Il primo giorno di scuola. Meglio accelerare il passo, oltretutto a Ponte, come cavolo si chiamava, si rischiavano incontri strani alle 8.00 di mattina.

Alessia Parrettini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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