Ventidue anni prima.
«Ehi, Scorpio... un altro tiro da tre e questa sera ti offro da bere!» Damien si voltò verso l'amico e, dopo aver sfoderato un sorriso da vittoria assicurata – quello che era diventato il suo marchio di fabbrica e che lo aveva reso una piccola celebrità nel campionato del college in cui giocava da semiprofessionista – si mise in posizione e realizzò un tiro da tre punti da una posizione dalla quale era praticamente impossibile mettere un canestro. «Vaffanculo!» commentò Elijah, scuotendo la testa sbalordito. «Come cazzo hai fatto?! Nessuno può riuscirci.» «Io sì» sentenziò Damien, recuperando il pallone e avviandosi verso la panchina. Prese il telefono – il nuovo modello di Nokia che uno dei procuratori che gli faceva il filo gli aveva regalato, con la speranza di convincerlo a scegliere la squadra che rappresentava, i Boston Celtics, al draft di fine mese – e capì di essere in ritardo. Perciò salutò l'amico in modo sbrigativo, promettendogli che avrebbe raggiunto lui e gli altri dopo cena per la bevuta che gli era stata promessa, e si avviò verso lo spogliatoio per una doccia. Damien ripensò all'offerta di Smith, il procuratore. Per uno come lui, cresciuto in un quartiere in cui delinquenza e povertà viaggiavano a braccetto, essere reclutato da un club famoso significava affrancarsi per sempre da quella vita. Tuttavia, nei suoi sogni c'erano loro, i Chicago Bulls, orfani di Jordan e bisognosi di qualcuno che ne raccogliesse l'eredità. E chi se non lui: Damien Scorpio Anderson. “La fortunata unione tra playmaker e centro in un'epoca in cui i ruoli iniziano a contaminarsi gli uni con gli altri, dando vita a giocate memorabili.” Così aveva sottolineato il Boston Globe un paio di mesi prima. Nei sogni di Damien era ben presente anche lei, la rossa dagli occhi verde smeraldo. Aveva giurato di diventare famoso anche per lei, per portarla via da quel buco di merda e vederla risplendere in tutta la sua bellezza. Anche se era la sua intelligenza ad averlo colpito, qualche anno prima, oltre alla sua profonda dignità. «Ehi... l'acqua non è gratis!» Damien sorrise. «Se vuoi ti lascio cinquanta dollari, dovrebbero bastare a coprire le prossime venti docce.» «E per quelle che mi hai scroccato negli ultimi dieci anni?» ribatté Ronnie, il proprietario della palestra, contento di riavere Damien tra i piedi, anche se per poco tempo. Quest'ultimo chiuse l'acqua e si asciugò velocemente con il telo, poi lo avvolse intorno ai fianchi e uscì verso la zona degli armadietti. L'uomo lo seguì. «Che cazzo ci fai qui, a vent'anni, di sabato sera?» Mentre si frizionava i capelli, Damien rispose: «Elijah mi ha sfidato e non ho resistito». «Quindi la discussione con mia figlia non c'entra nulla? Aveva una faccia quando è rientrata a casa poco fa...» Girato di spalle, il ragazzo ribatté: «Non voglio parlarne». «Siete due testardi, mi farete diventare pazzo!» A quel punto, Damien scoppiò a ridere. «Dai, lo so che ti mancherò quando me ne tornerò a Boston.» «Quindi hai deciso, non resti.» «Vuoi biasimarmi?» «No, cazzo!» esclamò Ronnie. «Amo Antares, il quartiere e il bene che ho fatto e che farò, tenendo aperta la palestra. Ma al posto tuo, scapperei da qui a gambe levate!» I due si osservarono, consapevoli che quello scambio di battute avesse il sapore di un addio, più che di un arrivederci. Dopo alcuni minuti di silenzio, il più vecchio aggiunse: «Solo, non farla soffrire... ti vuole davvero bene.» Damien annuì con rispetto, dopodiché diede a Ronnie un abbraccio e, borsone in spalla, si diresse verso l'uscita. «Ecco la mia piccolina» sussurrò, accarezzando la sua Harley. Era stata di suo padre che, dopo la sua nascita, l'aveva lasciata per anni chiusa in un garage ammuffito. Raggiunta l'età per poterla guidare, il giovane Damien l'aveva scoperta e aveva supplicato il suo vecchio affinché gli concedesse di usarla. Martin Anderson, dall'alto della sua bontà e dell'infinito amore per il figlio, gliel'aveva regalata, salvo poi essersene pentito quando aveva scoperto che Damien era entrato a far parte di una biker gang che, come tutte le gang dei sobborghi di Chicago, era poco raccomandabile. «Cazzo...» borbottò il ragazzo, consapevole di essere in ritardo. Poi salì a tutta velocità sulla moto e si diresse al fast-food, dove suo padre lo stava aspettando. Si fermò dall'altro lato della strada. Martin era in piedi, sotto a un lampione. Era buio, ormai, e Damien pensò allo scambio di battute che erano soliti rivolgersi in quelle occasioni. «Ehi, pa'... starai morendo di fame, immagino.» «Un altro po' e sarei morto di vecchiaia!» Il ragazzo rise tra sé e, dopo aver infilato il casco sotto al braccio destro, si guardò intorno per attraversare. All'improvviso, la sgommata di un'automobile che arrivava a tutta velocità lo costrinse a indietreggiare verso i palazzi alle sue spalle. Subito dopo, alcuni spari rimbombarono tra le urla dei passanti e le imprecazioni dell'ambulante che chiudeva il negozio accanto al fast-food risuonarono nell'aria. Quella sera, Martin Anderson non morì di fame, né di vecchiaia. Morì per un proiettile che, con una precisione letale, squarciò i tessuti del suo petto, insinuandosi dritto nel cuore. E, di riflesso, nel cuore di Damien. Capitolo 1
(Presente, l'estate dopo la vittoria del campionato)
Porca puttana, ce l'avevano fatta... e ancora non si capacitava di come fosse stato possibile! Damien allungò una mano sul comodino e afferrò l'orologio per capire che ore fossero. La sbornia della sera prima aveva lasciato su di lui i tipici segni, perciò prima di alzarsi dal letto fece un bel respiro e, una volta seduto sul materasso, attese che la testa smettesse di girare. Quando si sentì più sicuro, si voltò verso l'altra parte del letto e la presenza di una sconosciuta distesa accanto a lui lo fece imprecare. E la testa ricominciò a girare. «Chi cazzo è questa...» borbottò, distrutto. Poi appoggiò la mano sul suo braccio e la scosse lievemente per costringerla a svegliarsi. La donna – i lunghi capelli rossi sparsi sul cuscino – aprì a fatica gli occhi e quando il coach scoprì che quelli di lei erano marrone scuro, sentì una fitta di delusione nel petto. O forse è un infarto, non ho più l'età per certe cose... Per una frazione di secondo, aveva sperato di rivedere il verde smeraldo che lo perseguitava da più di vent'anni e che si era imposto di non incrociare, schivando eventi e organizzando le sue visite ad Antares in modo tattico. «Ciao, Damien...» miagolò lei, sorridendo e stiracchiandosi nel letto, sinuosa. «Ciao, ehm...» temporeggiò lui, provando in tutti i modi a ricordare il nome della donna. «Cynthia» lo aiutò lei, senza mostrare alcun fastidio. «Sei stato meraviglioso, stanotte» aggiunse poi, mettendosi in ginocchio sul materasso e aderendo con il seno nudo alla schiena di lui. Damien doveva ammettere che quel contatto non gli era indifferente. Qualcuno, più in basso, sembrava particolarmente interessato. Perciò, nonostante l'intontimento da alcol, avrebbe approfittato dell'occasione per farsi una bella scopata mattutina – o di metà giornata, data l'ora – se Cynthia non avesse passato le dita sul tatuaggio, uno scorpione, che l'uomo portava sulla spalla destra. «Interessante... cosa rappresenta?» chiese lei. «È legato al tuo vecchio soprannome?» A quel punto, Damien perse ogni interesse e, cercando di non sembrare insensibile, offrì alla sua ospite l'opportunità di farsi una doccia, prima di andarsene. La donna preferì rivestirsi e uscire più velocemente possibile. Lui sospirò, sollevato, e andò in bagno per le funzioni mattutine. Alla fine fu lui ad approfittarne e si concesse una lunga doccia. Alternò acqua calda e acqua fredda e quel mix di sensazioni lo scosse abbastanza da permettergli di ricordare cosa fosse accaduto la sera prima. La misteriosa presidentessa dei CMB aveva organizzato un gala faraonico per festeggiare la vittoria del Larry O'Brien Trophy. Aveva invitato chiunque avesse orbitato, anche per sbaglio, intorno ai Minotaurs, nell'ottica di dare a tutti il giusto riconoscimento per l'incredibile risultato raggiunto. Inutile sottolineare che coach e squadra erano stati sotto i riflettori per l'intera serata, con interventi ad hoc e discorsi improvvisati. Dapprima seriosi, i ragazzi della squadra si erano lasciati andare quando l'alcol aveva iniziato a scorrere come fosse acqua. Erano state le mogli e le compagne a dare loro un freno e a convincerli, a un certo punto, della necessità di rientrare.Al contrario, Damien non aveva avuto nessuno tranne sé stesso e il suo brutto carattere... quello che teneva celato e che si permetteva di esibire solo in circostanze particolari. E vedere Faith stretta in un meraviglioso abito verde aveva rappresentato sicuramente una di quelle circostanze. L'aveva evitata per tutto il tempo in cui era stato coach a Chicago. Non sapeva come, forse il destino aveva approvato e incentivato la lontananza tra loro. Fatto stava che entrambi si erano tenuti a distanza e lui, in particolare, aveva evitato con abilità qualunque occasione in cui lei fosse presente. Tutte tranne quella. Perché al party organizzato dalla Cunnings non aveva potuto rinunciare. Non lui, il coach Anderson: il faro, un po' malandato, che aveva guidato i CMB alla vittoria. In realtà, non si attribuiva alcun merito. Erano stati loro – Polaris, Fist, Arthur, Thor e Bull – a lavorare così bene su loro stessi e sul concetto di squadra da cambiare per arrivare a quello strepitoso risultato finale.
Tina Fancy
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