L'ispettore Revi stava bussando con la mano alla porta dell'ufficio del commissario Moselli, dietro di lui il collega Luca Varni. «Avanti!» proruppe l'altro dall'interno, con un vocione. Alex e Luca aprirono la porta e si lanciarono come missili sulla scrivania di Moselli, che in quel momento era intento a passare in rassegna alcuni opuscoli, di fronte a lui c'era il sovrintendente Luzi. «Crediamo di avere tra le mani qualcosa di davvero importante» esordì l'ispettore. «Sarebbe?» gli domandò Angelo, perplesso. «Siamo stati in quel disco-pub in cui è avvenuta la rapina» continuò Luca. «Ah sì, la rapina di oggi, quindi? Novità?». «Noi pensiamo di conoscere l'identità dell'uomo che si cela dietro a questa organizzazione» rivelò Alex, infilando una mano nella tasca dei pantaloni della divisa. Moselli, in una scena comica, saltò dalla sedia e con un balzo si ritrovò quasi a terra, se non fosse stato per il momento serio, i tre poliziotti sarebbero scoppiati a ridere. «Scherzate?» esclamò Stefano, incredulo. «Guardate con i vostri occhi» Alex mostrò ai due una fotografia scattata sul suo cellulare. «Cos'è quella scritta?» Moselli strizzò gli occhi, in modo tale da mettere a fuoco l'immagine. «Leggete con attenzione» disse Luca. «Questa è la mia vendetta, hai avuto ciò che ti meriti per aver ostacolato il padrone di questa città, e questo non è che l'inizio, il re è tornato» lesse ad alta voce il commissario. «Dove l'avete scattata?» domandò Luzi. «Fuori dal locale in cui è avvenuta la rapina» riportò l'ispettore. «Molto interessante!» mormorò Moselli, con un sorrisetto beffardo. «I rapinatori, o meglio dire “il rapinatore”, ci ha fornito involontariamente, o almeno presumo, tutti gli elementi che ci servivano, ci ha servito su un piatto d'argento tutto ciò di cui avevamo bisogno, non credi anche tu, Angelo?» chiese Revi, buttando un occhio sulla foto ancora impressa nello schermo del suo smartphone. «Penso di aver capito il tuo ragionamento: stai supponendo che la persona che ha scritto quella frase sul muro della discoteca sia in realtà Nicoletti?» ipotizzò Moselli. «Ne sono sicuro, la frase dice “il re è tornato”, noi sappiamo che lui si fa chiamare il re delle rapine, quindi il ragionamento fila». «Perché dici che abbiamo tra le mani l'identità del capo dell'organizzazione? E che cosa c'entra con Nicoletti?» chiese il sovrintendente, perplesso. «La scritta parla di una vendetta per essere stato ostacolato, di conseguenza Nicoletti e quest'uomo devono essere dei “rivali” criminali» spiegò Luca Varni. «Noi pensiamo che il capo, o comunque chi è all'interno dell'organizzazione, abbia a che fare con questo locale, è questa la ragione della rapina di Nicoletti, l'ha commessa per farla pagare a qualcuno di loro... se indaghiamo sui proprietari della discoteca scopriremo senza dubbio chi è a tirare le fila dell'organizzazione» aggiunse Alex, riposando il telefonino dentro la tasca dei pantaloni. «Siete dei geni, Sherlock Holmes vi fa un baffo» scherzò Moselli, lanciando uno sguardo soddisfatto ai due. Moselli posò lo sguardo su Luzi. «Credi anche tu a questa teoria?». «Sì, hanno convinto anche me».
Marco Revi era seduto sopra a uno scooter 125 grigio fumo, era in compagnia di Gaia Pallanza, la ragazza che insieme a Endy Barlezi era stata una specie di mentore per lui, in quelle prime settimane da “novello spacciatore”. «Ti vedo tranquillo stanotte, o mi sbaglio?» gli chiese, osservandolo. «Non sbagli». «E bravo Marcolino, era ora» gracchiò Gaia, con la voce tremolante dal freddo; settembre era cominciato solo da alcune settimane ma nonostante ciò le temperature si erano già abbassate oltre la media stagionale. «Non è stato facile, poi conta che sono stato per anni insieme a un fratello sbirro, è difficile cambiare prospettiva, ci vuole del tempo... per fortuna adesso le cose stanno cambiando». «Lo so, Marco, è normale, anch'io all'inizio feci fatica ad abituarmi a questa vita, e soprattutto a vedere certe cose, però poi diventa tutto normale, anzi, diventa l'unica vita che vuoi vivere». «Le prime volte, quando spacciavamo, pensavo che fosse tutto quanto sbagliato, vendere quella roba a povera gente conciata male, persone che crepano per colpa nostra, mentre noi ci ingrossiamo i portafogli». «Tutto nella norma» lo rassicurò. «Era dura... però allo stesso tempo ripensavo a quanto cazzo fosse stata scorretta questa fottuta vita nei miei confronti, e quindi dicevo “chissene frega, mi riprendo quello che non mi è mai stato dato, giusto o sbagliato che sia”» Marco si allacciò fino al collo la cerniera di un giubbino in pelle nera e si alzò dalla sella della moto. «Alla fine è stata questa mia convinzione a sopprimere ogni dubbio e ogni paura, ed eccomi qua, pronto per essere un criminale con le palle quadrate» sogghignò. «Non ti manca la tua famiglia?». Marco divenne pensieroso, la contentezza stampata sul suo volto sparì in una frazione di secondo. «A volte, ma questa è la mia scelta». «E tuo fratello?». «Non mi interessa di lui, se la mia vita è stata un fallimento è anche colpa sua... per tutta la mia vita ho vissuto il nostro rapporto in competizione, lui diventava poliziotto e io di tutta risposta mi iscrivevo all'università, ma quest'anno è tutto cambiato, tutto è peggiorato». «Ti riferisci al fatto che è stato promosso a ispettore?». «Già, quella è stata la mazzata finale al mio orgoglio, in quel momento ho capito che lui è sempre stato un gradino sopra di me; ho provato con l'università, dando il meglio di me stesso, ma come se fosse uno scherzo del destino, i miei voti invece di migliorare sono peggiorati... quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso». «Sono queste le ragioni che ti hanno portato qui?». «Credo di sì, è successo tutto un giorno in un bar, ascoltando una conversazione tra alcuni signori, lì mi è venuta l'illuminazione, ho capito quale decisione avrei dovuto prendere e scegliere la vita che meritavo». «Insomma, folgorato sulla via di Damasco» scherzò Gaia. «Esatto... cosa ho sempre voluto? Dimostrare che ero qualcuno, in poche parole desideravo “avere potere e fare soldi”, quindi se non potevo farlo onestamente, perché non farlo illegalmente? E così ho fatto... so che è un ragionamento strano, però io la vedo così». «Tutto molto interessante, però ora zitto, guarda là!» Gaia indicò un puntino nero che si muoveva in lontananza. Marco ispezionò il punto in cui stava mirando la ragazza con l'indice e vi trovò una sagoma incappucciata che si indirizzava con circospezione verso di loro. «È lui?» «Sì, è a lui che venderemo la roba». Giunto a pochi metri dai due, il misterioso visitatore si presentò con un'espressione insospettita, mentre con la coda dell'occhio, da sotto il cappuccio infilato sul capo, scrutava in viso Marco. «Ciao, Samuel» lo salutò Gaia. «Ciao, Gaia, chi è lui?» mormorò il tizio; da sotto il cappuccio apparve il volto scarno, con piccole cicatrici, di un ragazzo poco più che ventenne. «Stai sereno, lavora con me, è uno nuovo». «Ah okay, pensavo fosse uno sbirro». «No, non preoccuparti, non lo è... dimmi, cosa vuoi?». «Il solito, 4 grammi di coca» sussurrò il ragazzo, guardandosi attorno, come se avesse il timore di essere sentito da qualcuno. «320 euro» replicò lei, facendo segno al compagno di fare lo scambio. Marco eseguì l'ordine e tirò fuori da una tasca del suo giubbino una bustina contenente della polverina bianca, e la consegnò nelle mani del tizio, il quale ricambiò infilandogli nella mano una mazzetta di banconote. Gaia prese i soldi da Marco e li contò, mentre Samuel la squadrò ridacchiando come una iena. «Non ti fidi? Mica è la prima volta che facciamo affari insieme». «Sai com'è, è la prassi, non sono io a comandare». «Ecco, a proposito di questa faccenda, è vero che ora siete in affari con Antonucci?» chiese il tipo, levandosi il cappuccio dalla testa, in un gesto di ritrovata sicurezza. «Semmai è lui che fa affari con noi». «State facendo le cose in grande, eh? Fino a qualche tempo fa eravate quattro scappati di casa, mentre ora state mettendo su l'impero della droga». «Devo ammettere che all'inizio l'abbiamo fatto per paura, avevamo il terrore di fare una brutta fine, ma ora capisco che è stata la scelta giusta, grazie a loro abbiamo fatto un netto salto di qualità, e con Antonucci i nostri affari potranno soltanto migliorare». «Li vedo i risultati, da quanto ne so avete aumentato il raggio d'azione, lo spaccio si è intensificato». «Ovvio, per questo ti ho detto che è tutto migliorato, lo spaccio ora si è allargato all'intera città, e stiamo progettando di espanderci oltre i confini di Tornero». «Ora capisco a cosa vi serve Antonucci». «Lui è stato il re del narcotraffico della zona, fino a quando non l'hanno scoperto e quindi ha dovuto darsi alla macchia... grazie a noi potrà rimettere le mani sui suoi affari, e noi ne beneficeremo creando un giro vasto decine e decine di chilometri». «I miei complimenti, Gaia, ora vi saluto, vado a godermi la mia merce» li salutò Samuel, con un ghigno rivolto alla bustina che reggeva in mano. «Alla prossima, sai dove trovarci».
Moselli, nel suo ufficio, con l'ispettore Revi e il vice sovrintendente Viero, stavano discutendo su alcuni sviluppi riguardanti i Nucimeni. «Non dobbiamo mollare, altrimenti questi prenderanno il controllo dell'intera città!» sibilò il commissario, con lo sguardo assorto oltre la finestra a pochi passi dalla sua scrivania. In piedi, con gli occhi che puntavano su un paio di cipressi che ricoprivano uno sfondo contornato da piccole villette. «Dobbiamo agire prima che sia troppo tardi, siamo a buon punto ma ancora non è sufficiente» replicò Alex, seduto su una sedia con le gambe incrociate e le mani giunte sotto al mento, in un'espressione pensierosa. Moselli distolse la sua attenzione dalla finestra e si avviò a passo celere verso la scrivania; quando fu lì prese un paio di fogli, e con l'indice puntò uno di essi. «Erik Lionello e Vincenzo Dalmaso, entrambi trovati morti: il cadavere del primo è stato trovato in un bosco, l'ha trovato un cacciatore che passava di lì, il secondo invece è stato rinvenuto privo di vita in casa sua, ucciso a colpi di pistola» disse, indicando il primo foglio, dopodiché prese il secondo. «Dopo quelle tre denunce per tentato adescamento, nelle ultime settimane se ne sono aggiunte altre quattro, e uno di essi è stato trovato pochi giorni fa impiccato a casa sua, pura casualità, eh! Invece un altro ha ritirato la denuncia proprio oggi». Alex e Francesco si scambiarono sguardi meravigliati. «Ha ritirato la denuncia?» ripeté l'ispettore. «Dice che ha scoperto che era uno scherzo». «E tu ci credi alla sua versione?» gli domandò Viero. «Per niente, Scolli mi ha riferito che dalla voce sembrava turbato, non pareva affatto tranquillo, quindi dubito che dicesse la verità, quello non era assolutamente uno scherzo». «Invece quei due uomini uccisi pensi sia opera dei nuovi criminali?» domandò Alex. «Non vedo altre possibilità». «Ogni giorno che passa prendono sempre più potere» sibilò Alex, tastandosi nervosamente il mento. «Questa città sta impazzendo!» sbuffò Moselli, scaraventando i fogli sul tavolo con disappunto, in quell'istante alla porta presero a bussare con impazienza. «Avanti!». «Vi porto una novità» Dalla porta entrò l'ispettore capo Perri, tra le mani reggeva una cartelletta. «Stavo proprio per chiamarti, Claudio, come procedono le tue indagini su quel disco-pub?». «Ho appena fatto una scoperta sensazionale, credo di essere giunto alla prova certa dell'identità del capo dell'organizzazione». I tre rimasero ammutoliti, mentre con volti stupefatti osservavano Claudio che si avviava verso la scrivania e apriva la cartelletta, estraendo da essa alcuni fogli. «Facendo ricerche sul locale sono venuto a conoscenza del fatto che è di un certo Fabio Berti, lui risulterebbe esserne il proprietario, ma questo già lo sapevamo, poiché l'ispettore Revi e l'agente scelto Varni si sono per l'appunto imbattuti in lui durante il sopralluogo ad avvenuta rapina... indagando su questo signore, ho scoperto molte cose interessanti» raccontò Perri, facendo scorrere l'indice sulle pagine. «Oltre a essere proprietario del Tornero Dreams è anche entrato da poco in società con la Toys Produzioni, un'azienda che produce giocattoli, investendo all'interno ingenti somme di denaro». «Sul serio?» esplose Moselli, incredulo. «Così parrebbe». «Dev'essere ben predisposto economicamente per gettarsi a capofitto in quelle due imprese commerciali» fece notare Alex. «Si vede che aveva parecchi soldi da parte, oppure che li ha guadagnati di recente» convenne il commissario, con una leggera perplessità. «È questo il punto chiave, si è lanciato in queste due attività nel giro di pochi mesi, come se fosse diventato ricco all'improvviso» continuò Perri. «Non ci sono più dubbi a riguardo, a parer mio abbiamo in mano la prova che certifica che è lui il capo dell'organizzazione» mormorò Moselli, raspando con le suole delle scarpe sul pavimento, in una passeggiata nervosa. «Se analizziamo i dati che abbiamo a nostro favore viene fuori un grafico molto chiaro: il rapinatore, quasi certamente Nicoletti, afferma tramite quella scritta che i suoi nemici, ovvero questa nuova organizzazione, hanno a che fare con quel locale, ora abbiamo pure scoperto che il proprietario di quel locale è probabilmente divenuto ricco in poco tempo... in poche parole Fabio Berti è colui che tira le fila dell'organizzazione!».
Di fronte a Revi e Moselli, Fabio Berti era seduto al centro della sala interrogatori, le braccia incrociate sopra al tavolo, con lo sguardo impassibile fermo sulle figure dei due pubblici ufficiali: l'ispettore era sedutogli davanti, mentre il commissario zigzagava tra la stanza in una camminata snervante. «Cosa volete da me?» tuonò lui, alterato. «Innanzitutto si calmi, vogliamo soltanto farle alcune domande a riguardo della rapina avvenuta nel suo locale» lo placò Moselli. «Mi scusi, signor commissario, però non capisco il motivo di questo interrogatorio, ho già detto tutto ai suoi agenti» abbassò la voce, cercando di tenere un tono più pacato. «Ispettore Revi, faccia vedere al signor Berti i fascicoli» disse Moselli, indicando alcuni fogli sparsi qua e là sul tavolo. «Quelli sono rispettivamente Erik Lionello e Vincenzo Dalmaso, uccisi poche settimane or sono, li conosceva?» domandò il commissario, fermando la camminata, e fissando in pieno volto il capo dei Nucimeni. Berti diede un rapido sguardo alle foto sui fascicoli e poi ricambiò osservando in viso Moselli, con occhi da sfida. «Mai visti in vita mia, perché me lo chiede e soprattutto cosa c'entra con la rapina?». «Non c'entra nulla con la rapina, non si preoccupi, possiamo dire che questa è una semplice chiacchierata tra noi e lei, niente di più. Però essendo state ammazzate queste due persone, per l'appunto le chiedevo se per caso li avesse mai visti». «Mi spiace, ma io non ne so nulla di questa faccenda» continuò Berti, spazientito. «Noi crediamo che entrambi siano stati uccisi da un organizzazione criminale» si intromise Revi, alzandosi a sua volta. «Continuo a non comprendere!». «All'esterno del suo locale è stata posta una scritta, la quale recitava di una vendetta da parte di un re, e noi sappiamo che un noto rapinatore in città si fa chiamare “re delle rapine”, di conseguenza quella frase è un chiaro riferimento al mondo criminale» riprese Moselli. «Ho già ribadito che non ne so nulla, non so cosa voglia dire». «Il messaggio era rivolto a qualcuno che è all'interno del locale, chi lo sa, magari un dipendente, oppure proprio il proprietario» ipotizzò Revi. «Ripeto: io non ne so nulla!». «D'accordo, ora però ci dica una cosa: come ha fatto a raggiungere una somma tale da poter avviare quel locale ed entrare in società con l'azienda che produce giocattoli?» chiese Moselli. «Perché questa domanda?» replicò, colto alla sprovvista. «Ci viene difficile da pensare che sia divenuto ricco nell'arco di pochi mesi, investire in due attività simili richiede quantomeno una cifra importante» Revi lo squadrò in volto: notò che era teso, aveva i nervi a fior di pelle e i muscoli contratti. «È morto un mio prozio e ho ereditato il suo patrimonio, contenti ora?» chiarì lui. «Va bene, grazie, per ora può andare» terminò il commissario, allungando la mano per una stretta, Alex fece lo stesso. «Addio!» salutò Berti, alzandosi dalla sedia e stringendo una alla volta tutte e due le mani. Quando strinse quella di Alex, i due si fissarono per un istante: poi Berti gli sorrise con irriverenza. «Che ha da sorridere? Lei è nel registro degli indagati, non prenda la faccenda troppo alla leggera» sbottò Revi, innervosito. Berti continuò a sorridere, senza dire nulla, dopodiché se ne andò, lasciandoli soli nella stanza. «È lui il nostro uomo» gongolò Moselli. «Già, lo penso anch'io, era troppo agitato per i miei gusti, se non hai fatto nulla e sei innocente, non ti dimeni in quel modo» convenne Alex, irritato.
Dopo mesi Nicoletti poteva dire di sentirsi soddisfatto, gli avvenimenti degli ultimi tempi erano stati un duro colpo per il re delle rapine; abituato a essere il padrone del crimine cittadino, si era visto sorpassare dal nuovo arrivato Berti. Andrea Nicoletti però non avrebbe mai accettato di essere il secondo di qualcuno, e non avrebbe mai tollerato un simile affronto da parte dei nemici, per questa ragione aveva deciso di combatterli e tornare a essere il vero padrone di Tornero. L'uccisione di Vincenzo, che l'aveva tradito per seguire i Nucimeni, e la rapina al locale di Berti non erano che l'inizio. «Te l'avevo detto che non mi sarei arreso, che li avrei ostacolati fino in fondo» Nicoletti era appoggiato con la schiena contro al muro del suo appartamento a Miralti, con in mano un bicchiere di vino rosso, sul viso un largo sorrisone furbesco, come quello dei bambini che hanno appena commesso una marachella. «Non avevo dubbi, però c'è una cosa che mi turba» disse Michele Massaro, a due metri di fronte a lui; stava fumando nervosamente una sigaretta e con gli occhi puntava un punto nel vuoto. «Cosa vorresti dire? Di che hai paura?». «Ora saranno più incazzati con noi, saranno feroci come belve». «Presumo di sì». «Non hai paura di loro?». «A volte, ma se mi lascio vincere dalla paura rimarrò per sempre un codardo». «Io a volte ho il timore di venire ucciso». «Ti avrebbero ucciso anche prima, se è per questo, non cambia molto, noi da quando ci siamo messi contro di loro siamo diventate come prede per cacciatori». «Lo so, però adesso corriamo rischi ancora maggiori». «Certo, Michi, ma ne vale la pena se vogliamo davvero continuare ad avere in mano questa città. Più di una volta ho pensato ad arrendermi, preso dalla paura di fare la fine di Paolo, ma alla fine non ho mai ceduto, mi sono armato di coraggio e ho continuato a resistere». «Quindi sei stato tentato di inchinarti a loro?». «Sì. Ho cercato di convincermi che sarebbe stato uguale dopotutto, che in fin dei conti se avessi accettato la loro proposta sarei comunque rimasto un criminale; ma più ci pensavo e più mi veniva il ribrezzo a un'eventualità simile, perché questo voleva dire smettere di essere il re delle rapine e accontentarsi di essere un semplice rapinatore che deve sottostare a qualcun altro. Accontentarsi è come arrendersi, accontentarsi è sinonimo di fallimento... mentre io voglio continuare a essere il padrone di questa città, e non cederò mai il mio scettro a Berti, a costo di morire!».
Il PM Nicola Valmiri era in piedi, accostato alla scrivania del commissario Moselli, in mano reggeva una serie di scartoffie riguardanti gli ultimi avvenimenti accaduti in città, tra cui le morti di Lionello e Dalmaso e la rapina al locale di Berti; di fronte a lui gli ispettori Revi e Perri, e i sovrintendenti Luzi, Scolli e il vice Viero. «Quindi siete certi di quanto state affermando?» domandò ai cinque. I poliziotti, a pochi passi da lui, formavano una specie di W, con gli ispettore posti sulla base. «Lo siamo!» Moselli anticipò tutti, comparendo dal fondo dell'ufficio, con sé portava una piccola cartelletta dal color ardesia. «Queste sono prove, non semplici supposizioni, Pubblico Ministero» ribadì Perri, avanzando di alcuni passi, trasformando la W in un 7. «Voi quindi credete che questo fantomatico “re” sia Nicoletti? E che abbia dichiarato vendetta al proprietario del locale, ovvero Fabio Berti?» ripeté Valmiri, buttando un occhio sui fascicoli che reggeva ancora tra le mani. «Proprio così!» confermò Revi, con un accenno del capo. «E questo Berti avrebbe rivelato di essere entrato in possesso di un eredità lasciatagli da un lontano prozio?». «Sì!» risposero all'unisono Perri, Revi e Luzi. «Scusate il francesismo: ma ci è andata proprio di culo!» ridacchiò il PM; per la prima volta da quando lo conoscevano, i poliziotti lo videro sorridere e lasciarsi andare a una reazione carica di umorismo. Se non l'avessero visto e sentito, avrebbero giurato di essere di fronte al sosia del Pubblico Ministero, era difficile vedere Valmiri allegro, non era mai successo che si lasciasse andare a qualche battuta per alleggerire la tensione. Quella sua fuoriuscita insolita, era parsa come un chiaro segnale positivo: Valmiri era fiducioso. «Questo invece è quanto è emerso dalle nostre indagini di pochi giorni fa» Moselli aprì la cartelletta ardesia, tirò fuori un faldone e lo consegnò a Valmiri. Il PM prese con sé il dossier: dopo una lettura rapida alzò lo sguardo, ed esaminò prima il commissario e poi gli altri cinque. «Seriamente?» sobbalzò, incredulo. «Tutto vero, abbiamo verificato la fonte ed è attendibile al 100%» lo assicurò Moselli. Anche il commissario, come il PM, mostrava una certa fiducia nell'espressione. «Berti sarebbe originario di un paesino vicino a Milano, e sarebbe rimasto in quel comune fino alla tragica morte dei suoi genitori e della sorella, periti a causa di un incendio doloso nella loro abitazione, mentre Berti si sarebbe salvato per puro miracolo; il responsabile di quel rogo resta tuttora ignoto, anche se la polizia ha sempre sospettato che dietro l'incendio ci fosse proprio lui, ma per scarsità di prove non è mai stato indagato. Ho mandato a indagare sul posto i nostri agenti Ventura e Fusato: facendo domande qua e là agli abitanti del paese, hanno appurato che quel funesto evento è rimasto nella memoria di molti, tanti se lo ricordano ancora dopo anni, e sono anche convinti che sia stata opera dello stesso Berti, poiché da ragazzo era molto irrequieto e fuori controllo, combinava casini su casini, inoltre sono certi che odiava a morte la sua famiglia. Di lui poi si perdono le tracce fino a qualche anno fa quando venne accusato di aver commesso alcune rapine a mano armata insieme a un complice, tra l'altro non molto distante da Tornero; il presunto compagno verrà arrestato, invece per quanto riguarda lui le accuse a suo carico cadranno per mancanza di prove... dopo di ciò non si sa più nulla, fino a ora. Inoltre i miei agenti hanno cercato alcuni tra i suoi parenti più stretti e gli hanno domandato di questa presunta eredità: nessuno sa niente di questo fantomatico prozio deceduto in Belgio, né tanto meno della somma ereditata». «Molto bene, stiamo venendo a capo di questa storia, ora abbiamo un punto fermo da cui partire, sappiamo con certezza chi tira le redini di questo gruppo criminale» Valmiri rimise i fogli nella cartelletta e poi la chiuse con un “clack”. «Ho intenzione di dare indicazioni ai miei uomini di partire con le intercettazioni ambientali». «D'accordo, Moselli, farò richiesta al GIP, una volta acconsentita la richiesta avrà il via libera, in questo modo potremo scoprire qualcosa di più su Berti e sulla sua organizzazione... un'ultima cosa, non perda di vista Nicoletti, ora che è tornato sulla piazza sarà nuovamente un pericolo per la comunità, fate il possibile per prendere anche lui».
Come deciso da Moselli, con la benedizione di Valmiri, la polizia partì con le intercettazioni ambientali a carico di Fabio Berti, sospettato di essere la mente dell'organizzazione. Era giunto ottobre, e con esso un freddo pungente autunnale che preavvisava dell'imminente arrivo di Halloween. Furono settimane delicate, l'operazione si svolse con accuratezza, senza distogliere mai l'attenzione da Berti, da quello che faceva e da con chi si vedeva; ogni dettaglio era di vitale importanza ai fini della riuscita, ogni possibile indizio poteva servire come prova a incriminare lui e i suoi uomini. Ma nonostante ciò furono settimane deludenti, niente emerse, Berti era sempre nel Tornero Dreams, oppure al Toys Produzioni, le uniche persone con cui aveva contatti erano un uomo, rimasto al momento ignoto, e una donna. La signorina in questione era Samantha Faccoli, la barista che lavorava al centro della piazza di Tornero, con cui pareva avesse una relazione. Per il resto non era apparso nulla di rilevante. A Moselli venne un dubbio: Berti, sapendo che avrebbero indagato su di lui, stava dunque facendo di tutto per non far trapelare nulla dei suoi affari?
Alex Revi, all'interno del suo ufficio, tamburellava pensieroso con le dita sulla superficie della scrivania: la sua vita era cambiata parecchio nel corso di quei mesi, prima le difficoltà con il fratello, poi quel rapporto tramontando sul nascere con la collega Sara, e per questo non riusciva a darsi pace. Con Marco il rapporto non era mai stato così compromesso: tra i due c'era sempre stata armonia, ma ora era tutto cambiato e non poteva fare nulla per rimediare, siccome Marco non ne voleva più sapere di lui e del resto dei suoi famigliari. E Sara? La situazione era ancora più ingarbugliata del previsto; aveva deciso di rimanerle amico dopo il suo netto rifiuto, ma per lui questo era tremendamente complicato. Alex amava profondamente Sara, non avrebbe mai potuto vederla solo come un'amica, eppure questa era la realtà delle cose, e ogni giorno che trascorreva tutto diventava sempre peggio, i suoi sentimenti si attorcigliavano in una stretta così dolorosa da fargli mancare il fiato. I suoi fitti pensieri furono interrotti da Luca che, silenzioso come passi sulla neve, entrò nel suo ufficio con lo sguardo truce, si leggeva in faccia la sua infinita delusione per la situazione in cui navigavano loro e gli altri colleghi. «Ciao, Luca, novità?» gli chiese Alex, anche se sapeva già la risposta dal suo volto avvilito. «Nessuna, Berti sembra faccia in modo di non farsi scoprire» disse Varni, con un filo di voce, mentre si sedeva su una poltrona posta davanti alla scrivania di Revi. «Sa che gli abbiamo messo il fiato sul collo, per questo motivo fa attenzione a ogni minimo passo che compie» replicò lui, tenendo gli occhi bassi. «Io non sarò particolarmente allegro, ma nemmeno tu scherzi» Luca notò che anche l'amico non era di certo al settimo cielo. Revi esitò a rispondere sul primo momento, ma alla fine decise di svuotare il sacco e confidargli tutto. «Sempre per le stesse storie, Marco e... Sara» rivelò, indugiando sul finale, come se la parola “Sara” fosse diventata un tabù per lui. «Mi dispiace, però devi voltare pagina». «Come faccio? Me lo spieghi?» trasalì, con occhi dilatati. «So che non è semplice, Marco ha fatto la sua scelta, tu non puoi farci nulla per modificare le cose, e per Sara fattene una ragione, guarda altrove, cerca un'altra ragazza, dopotutto non è l'unica donna al mondo». “Non è l'unica donna al mondo” non era di certo quello che Alex voleva sentirsi dire; se lui amava alla follia Sara, cosa poteva farci? «Va be', lasciamo stare!» tagliò corto, evitando di proseguire nel discorso. «Vedrai che con Marco magari si aggiusterà tutto, recupererete il vostro rapporto». «Lo spero... comunque ora come ora devo pensare a Berti». «Hai ragione, Alex, invece di migliorare qui le cose peggiorano».
Qualcosa iniziò a smuoversi verso il concludersi di ottobre. I negozi di Tornero erano allestiti con le decorazioni macabre di Halloween che era ormai prossimo, e i bambini mano nella mano con i genitori, in un flusso continuo e senza sosta, entravano e uscivano comprando maschere e altri gadget per l'imminente festa. In quel clima lugubre, al commissariato, un giovedì mattina, come un goal che sblocca la partita, una chiamata riaccese la speranza. Moselli aveva appena varcato la porta del suo ufficio quando prese a squillargli il cellulare, “abbiamo scoperto qualcosa” disse dall'altra parte l'ispettore capo Perri; un brivido di euforia pervase il corpo del commissario, il quale seppe rispondergli con un semplice “rientra in commissariato”. «Dunque, cosa avete scoperto?» Moselli era appoggiato alla scrivania, con le gambe incrociate. Davanti a sé, gli ispettori Revi e Perri, ai quali era stato assegnato di seguire l'operazione delle intercettazioni. «Abbiamo fatto una scoperta sensazionale» iniziò Perri. «Sai quell'uomo che viene spesso visto in compagnia di Berti?». «Sì, cosa avete scoperto?» continuò Moselli, trepidante. «Si chiama Christian» rispose Alex. «E quindi?» replicò il commissario, spaesato da quella risposta. «Non ti dice nulla quel nome?» fece notare Revi, come se fosse a tutti ovvio, tutti eccetto Moselli. «No, non mi dice nulla il nome di Christian». «Ventura e Fusato, quando hanno indagato sul passato di Berti hanno scoperto che il suo presunto complice, che fu poi condannato alla reclusione, si chiamava Christian Masi» raccontò Perri. «Credete che sia la stessa persona?». «Giudica tu stesso. Il primo è Masi ai tempi di quella rapina, l'altro è l'uomo con cui si vede Berti: sono praticamente identici, esclusi capelli e barba» Revi consegnò due fogli tra le mani del commissario; nel primo era raffigurata l'immagine segnaletica di Christian Masi, con lunghi capelli e un accenno di barba, mentre nel secondo vi era la foto scattata all'uomo visto con Berti: aveva capelli corti ed era sbarbato. «Se vado oltre al taglio di barba e capelli, e osservo occhi, naso e orecchie, posso affermare certamente che è lo stesso individuo» espresse Moselli, strabuzzando gli occhi. «Ora sappiamo che Christian Masi è quell'uomo con cui si vede spesso Berti» esultò Perri. «Suppongo che anch'egli faccia parte dell'organizzazione» ipotizzò il commissario. «Lo penso anch'io» Revi sposò la sua teoria. «Ottimo lavoro, ragazzi, ora concentriamoci anche su questo Christian Masi».
Samuele Severigo
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|