Al di là dello spazio e del tempo
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Il silenzio non avrebbe dovuto essere tanto opprimente, rifletté Alessandro. Entrò lentamente, guardando ogni nascondiglio. Non gli sembrava vero che avessero trovato un rifugio abbastanza solido; se fosse altrettanto sicuro, era ancora da stabilire. Chiamò alcuni dei suoi compagni. La prima ad arrivare fu la moglie, Matilde, detta Tally. “Stai indietro,” la bloccò lui. La donna si risentì. Era in forma, era abile, l'aveva dimostrato in varie occasioni, ma suo marito si ostinava a trattarla come se fosse fragile e indifesa. “Scusami,” disse Alessandro, notando la sua espressione, “è più forte di me.” Matilde sorrise; non poteva offendersi perché lui l'amava. “Sono armata,” gli disse, “controllo il resto delle stanze.” Intanto altre persone erano arrivate. Giovanni si avvicinò. “Forza, ragazzi, dobbiamo dividerci,” ordinò. Alessandro lo guardò storto: quel tipo gli dava sui nervi. Per fortuna, l'arrivo del gruppo lo distrasse dalla voglia di strozzarlo che gli veniva ogni volta che apriva bocca. Si sparpagliarono per la casa. Era molto grande, le camere erano otto, tutte ampie e piene di mobili. Doveva essere stata bella e confortevole. Prima del Fatto, pensava Alessandro. Tally lo guardò, gli sorrise e gli mostrò il pollice alzato. Fin lì tutto a posto. Leo, un uomo grande e grosso, con una massa di capelli bianchi, li chiamò dal bagno. Lo raggiunsero subito. Lui, senza fiatare, aprì la tenda della doccia e mostrò loro la vasca. Trattennero istintivamente il fiato. La Cosa era davanti a loro, in una pozza rappresa di sangue e altri liquidi, non identificabili. L'odore era nauseante. Alessandro, come abitudine, si mise davanti alla moglie; Tally lo scansò e rimase ferma a guardare. “Non è più pericoloso,” disse Tally. “Non si sa mai, con questi,” replicò Alessandro. “Chissà che gli è capitato,” commentò Leo. “Non che mi importi.” “Credo che dovremo seppellirlo,” rispose Tally. “Non possiamo, non dobbiamo rischiare la pelle per quello. Dovremmo uscire e affrontare il buio. Chissà cosa può esserci in agguato,” fece Leo. “Purtroppo Leo ha ragione,” approvò Alessandro, “non posso chiederlo a nessuno, né mi sento di farlo io. Domani vedremo.” “Chiudiamo la porta del bagno, e lasciamolo qui. Marcisce da un po', ora in più, ora in meno,” replicò Giovanni. Alessandro lo fissò ed evitò di rispondergli. Non voleva litigare. E malgrado la brutalità dell'affermazione, non poteva dargli torto. Era però felice che sua moglie, considerate le orribili circostanze, conservasse ancora un po' di umanità. “Dovremmo sistemarci per la notte, l'appartamento sembra libero, non capita spesso un simile lusso,” disse. Si riunirono agli altri, in cucina. La stanza era stata evidentemente saccheggiata; sul pavimento si trovava di tutto: scatole vuote, posate, piatti, e l'immancabile sporcizia. “Per il cibo dovremo arrangiarci a cercarlo da altre parti,” disse la donna di mezz'età che spiccava in mezzo alla stanza, “ho guardato dappertutto, sono rimaste solo le briciole.” “Mirella, per questa sera, ne faremo a meno,” ribadì Alessandro. Tutti iniziarono a protestare, non mangiavano dalla sera precedente. E anche allora non che avessero recuperato molto, solo un po' di biscotti, di merendine e del gelato sciolto in un supermercato vuoto. “Mi dispiace,” li zittì, “non abbiamo scelta. Lo sapete bene che al buio non possiamo distinguerli; prima che ci accorgessimo di uno di loro, ci sarebbe addosso.” “Abbiamo un paio di torce, le abbiamo prese al supermercato, potremmo provare a cercare nei dintorni. Ci sarà qualche altra abitazione, più fornita,” suggerì Franco, un tipo alto, robusto, con gli occhiali. “D'accordo, mettiamolo ai voti,” propose Alessandro, che non voleva passare per dittatore, anche se fin dal principio, fin da quando si erano incontrati e avevano deciso di proseguire insieme, lo avessero eletto come capo. “Io voto subito per il sì,” disse Franco, alzando una mano. Lo imitarono Giovanni e Mirella. “Per me in tre è perfetto,” dichiarò Franco. “Per me no,” commentò rabbioso Giovanni. “Non la voglio una donna con noi, creano solo problemi.” “Non dire stupidaggini,” lo riprese Tally. “Vi guarderà le spalle.” “E poi se troviamo anche roba femminile, me ne occuperò io,” sottolineò Mirella. “A meno che,” lo stuzzicò, “non voglia fare tu scorta di assorbenti.” “Non sono d'accordo; ovviamente, non posso impedirvelo.” rispose Alessandro. “Ci mancherebbe.” ribadì Giovanni. Si fissarono con astio, con odio quasi. Peccato non l'abbiano già catturato, si disse Alessandro, la prossima volta lo spingo io tra le loro amorevoli braccia. I tre si prepararono per uscire nella notte, il resto del gruppo si dedicò ai letti e all'assegnazione delle camere. Per fortuna, l'appartamento era tanto grande che non avrebbero avuto difficoltà a starci in dodici. Alessandro li vide andarsene, e continuò a fissare la porta. Finché una donna bassa e rotondetta non lo scosse. “Non preoccuparti, sono persone in gamba. Ho molta fiducia in loro.” “Beata te, io non sono tranquillo, soprattutto con Giovanni che vorrà sicuramente comandare, fare il temerario, e li metterà a repentaglio.” “Stai esagerando. Giovanni ci tiene ai suoi compagni, a noi.” “Anna, tu vedi il buono in tutti. Ci conosciamo da un paio di settimane.” “Beh, non proprio. Alcuni di noi si erano già incontrati: Leo e Michela, per esempio, abitavano nello stesso quartiere. Io mi ricordo di Matilde. La incontravo la mattina, andando al lavoro. Una donna piacevole, allegra.” “Mia moglie è una forza della natura,” sorrise Alessandro. “Una curiosità: come mai l'hanno soprannominata Tally?” “L'hanno sempre chiamata così fin da bambina. Non ti saprei dire la ragione, chi se l'è inventato.” “Ehi, voi due,” li apostrofò Stefano, un ragazzo pieno di lentiggini, “invece di chiacchierare, dateci una mano.” “Ai suoi comandi, boss,” sorrise Alessandro. Si diedero da fare con lenzuola, cuscini, e coperte. Anche se, tanto per cambiare, la temperatura era alta. Alessandro si sdraiò accanto alla moglie. Era sicuro che pure quella sarebbe stata una notte insonne, un po' per l'ansia per i tre pazzi fuori casa, un po' perché non riusciva più a chiudere gli occhi senza avere incubi. Dopo il Fatto non aveva più trascorso una notte serena. 2 Giovanni ordinò loro di non muoversi. Mirella si morse la lingua; aveva deciso di non ribellarsi, di essere calma e ubbidiente, che per lei era un notevole sforzo di volontà. Tuttavia si rendeva conto che Giovanni era in gamba, sembrava avere la vista dei gatti, camminava al buio, come se fosse sempre sicuro della direzione da seguire; aveva acceso la torcia solo un paio di volte e l'aveva spenta immediatamente. Avevano lasciato il palazzo con cautela, guardandosi le spalle. Le vie erano deserte, nessuno che avesse il coraggio di circolare di notte, non che di giorno fosse più facile. Per precauzione, scivolavano tra un vicolo e il seguente, con gli occhi più aperti possibile, maledicendosi di non avere armi da fuoco. Lei aveva dei coltelli affilati presi nella sua cucina, Franco era disarmato, e Giovanni... lui era un mistero. Indossava una giacca leggera, con molte tasche, e lei non sapeva che contenessero. E non sapeva se il fatto che una pistola la potesse avere proprio lui la tranquillizzasse o la terrorizzasse. Cercò di non pensarci, di concentrarsi sul tragitto. Franco le era accanto. “Franco,” lo chiamò, “dove siamo diretti?” “Vorrei potertelo dire. Secondo me, vaga a caso.” A Mirella scappò una risatina. “E io che credevo avesse un radar incorporato.” “Un'evita mostri?” “Una specie,” rise apertamente Mirella. “Sono contento che vi divertiate là dietro,” proruppe infastidito Giovanni, senza smettere di camminare, “tanto avete chi vi guida.” “Non gridare,” lo redarguì Franco. “Puoi attirarli.” “Che ne sai tu? Sai che sono? Cosa li attrae, cosa li scaccia, cosa piace loro, cosa no?” continuò, con lo stesso tono, Giovanni. “Sei un incosciente,” lo sgridò Mirella. “Ti reputi un capo, ma non ne sei in grado, meno male che abbiamo Alessandro.” Giovanni scattò verso di lei; Franco si frappose. “Codardo, prendertela con una donna,” lo schernì Mirella. “Fatti sotto, sei brava solo a parole,” strillò l'uomo. “Ma smettetela,” li rimproverò Franco, “vi state comportando come bambini. Non abbiamo abbastanza guai senza litigare tra noi?” “È stato lui,” disse la donna, prima di comprendere che quelle parole suonavano davvero infantili. Si morse il labbro e annuì. “Sarò buona, lo prometto, ma dovrà esserlo pure Giovanni.” Franco alzò gli occhi al cielo. Giovanni si limitò a scrollare le spalle, e riprese la strada. Anche se i suoi compagni avevano tanti dubbi, era certo del percorso. Era già stato in quella zona dell'Isola, e ricordava la città, anche se non ci si era fermato molto. Ma aveva ben chiaro l'albergo dove aveva alloggiato: accogliente, elegante, con un'ottima e varia scelta di piatti. E ora era diretto lì. Qualcosa, forse, era rimasto nella cucina tanto fornita, soprattutto nella cella frigorifera. Avessero trovato della carne, avrebbero potuto viverci per giorni. Si augurava che, anche se la luce elettrica mancava ormai da due giorni – prima veniva ripristinata dopo poche ore – il ghiaccio non si fosse completamente sciolto e il cibo rovinato. Sarebbe stato un amaro colpo, soprattutto per il suo ego, dopo la sua ostentata sicurezza. Si aggrappava a quella speranza mentre procedeva a passo spedito, ignorando i brontolii dietro di lui.
Mario si alzò, tentando di non calpestare nessuno dei suoi vicini di letto. Aveva visto Alessandro ciondolare per casa, e aveva deciso di fargli compagnia. Tanto dormire era un'utopia. Alessandro era davanti a una finestra spalancata sul buio della notte. Metteva sgomento tutto quello scuro, considerò l'uomo, non erano abituati alle tenebre, da secoli. In città esistevano sempre le luci: di insegne, dei palazzi, dei fari delle macchine, dei lampioni, e adesso il nulla. Peggio che nello spazio. Alessandro si accese una sigaretta, e si voltò. “Ne vuoi una?” chiese. “Grazie no. Essere generosi, per adesso, è una dimostrazione di eccezionalità.” rispose Mario, sorridendogli. “Non esagerare, se smetto mi fa bene alla salute, quindi, vedi, è un atto egoistico.” “Accogliermi nel gruppo non lo è stato, però.” “Sei un falegname, uno bravo a costruire, direi che ci abbiamo guadagnato noi.” “Ci ho guadagnato io; fossi rimasto lì fuori da solo, sarei morto presto.” “Forse ti sottovaluti.” “No, mi conosco.” “Che ci fai dalle nostre parti? Un bolognese così a Sud?” cambiò discorso Alessandro. “Ero qui a trovare degli amici. Stavo ripartendo quando è successo il patatrac.” “Chiamalo patatrac! E sei rimasto fregato.” “Non mi lamento. Al Nord, a casa, non ho nessuno, non ho genitori, né fratelli, soltanto lontani parenti, a cui non mi sarei rivolto. E che, in ogni modo, non mi avrebbero dato una mano.”
Franca Marsala
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