Timeless giorni di eternità
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Una mattina al posto del sole Charlotte e Noemi videro sorgere un astro di dimensioni terrificanti. Corsero fuori dal bungalow, allarmate dal buio e dal forte stridio degli uccelli. Appena vide “la cosa” stazionante sopra il villaggio, la Natura si arrestò in un silenzio di morte. Stavano assistendo a un evento celeste che immobilizzava l'intero creato. Gli uccelli si posarono senza forze, gli insetti caddero a terra addormentati. Ogni abitante si bloccò. Vi fu un passaggio graduale dal buio della notte melanesiana all'alba di un nuovo mondo. Ne guardarono sbigottiti la forma tondeggiante salire in cielo, lenta e sorprendentemente audace. L'arco si estendeva lungo l'intera curva dell'oceano e continuò a salire. Barche e canoe erano ferme, i pesci non si muovevano. Le visitatrici fecero in tempo a raggiungere il centro del villaggio e ad unirsi ai pochi aborigeni, lì in fila a piedi scalzi, con le lance e i nasi all'insù, e assieme ad essi assistere al prodigio. Quando il pianeta blu fu sopra le loro teste in tutta la sua spaventosa grandezza, oscurando la luce del sole, cominciò a grondare acqua, tanta, tantissima acqua, un diluvio che non toccava terra, o ne sarebbero stati travolti; si dissolveva invece nell'aria. Infine il nuovo mondo si innalzò e ascese sempre più in alto, fino a diventare un puntino, prima di scomparire nell'atmosfera.
«Mamy, ho una strana sensazione, credo che mi sia tornato il virus», disse Noemi non appena recuperò la favella.
«Amore mio no, ti sei solo spaventata».
«Ti dico che ho visto qualcosa di incredibile».
«Calmati, lo abbiamo visto tutti». Gli aborigeni si stavano riavendo dallo choc. Le attività del villaggio si mossero effetto moviola, ancora nessuno parlava, soprattutto gli uccelli. Prese la mano della figlia e la baciò. Nessuno, nessuno doveva pronunciare la parola virus, solo lei, la ragazza guarita, miracolata in virtù di un incantesimo che Kilyan e Qumran chiamavano maledizione ma che a lei, qualunque cosa fosse, suonava come una benedizione, per aver fermato la malattia della figlia. Ogni genitore conosce bene il delirio di onnipotenza, speranzoso e mai arrogante, pronto a scatenarsi per proteggere la prole. Ogni genitore sa di nutrire, in fondo al cuore, la sindrome dell'immortalità dei figli, almeno fino al compimento della propria morte; e ognuno, forse, venderebbe l'anima al diavolo per ottenerla. “Io voglio vendere l'anima a Dio”, pensò scrutando in alto, dove era scomparso il pianeta fatto d'acqua. Noemi insistette.
«Secondo te è normale aver visto una teiera cadere dal cielo?». Charlotte combatté per non piombare nel limbo. Continuò a parlare con Dio mentre rispondeva:
«Una teiera? Okay». Lo strattone alla mano che Noemi le diede per trascinarla giunse da una dimensione parallela.
«Dev'essere caduta qui. Almeno aiutami a trovarla». D'improvviso le venne da ridere.
«Trovare cosa?». La ammutolirono le pupille dilatate della ragazza, che ora la guardava con gli occhiali in mano.
«Aiutami a trovarla e mi convincerò di non essere una malata terminale». La disperazione di una figlia spinta da un ricatto affettivo tanto crudele le fermò il cuore. Noemi entrò coi piedi in acqua, sua madre la seguì. Guardarono in basso, dove piccoli pesci si riprendevano dal torpore.
«Eccola!». La osservò sollevare dal fondale una vecchia teiera in argento brunito, grondante acqua come il pianeta da cui era piovuta. “Amore mio, non sei malata”, disse tra sé “Grazie per avermi ascoltata, mio Signore. Fai venire tutti i pianeti che vuoi, scatena cataclismi e inceneriscimi con l'incantesimo fino alla fine del mondo. Ma salva la mia bambina”. Nell'impeto della felicità Noemi corse a chiudersi nel bungalow stringendo il fantastico ritrovamento. Dopo averla posata sul letto la guardò a lungo e più la guardava più si sentiva ammaliata. Charlotte si attardò a camminare sul bagnasciuga, in compagnia di brutti pensieri. Dapprima non si accorse del pericolo. Cos'era, quell'evento straordinario cui avevano assistito, e perché la luce del giorno sembrava diversa, ora? Perché sapeva con assoluta certezza che, da quel momento in avanti, nulla sulla vecchia Terra sarebbe stato uguale a prima? Scrutò il cielo, nel punto dove era scomparso l'asteroide o presunto tale. Il cuore accelerò. Come spesso accadeva, la donna non prendeva una direzione, incapace di decidere cosa fosse buono per lei. “Se non la smetto di essere una bella svanita, la vita mi punirà tenendomi stretta altri cent'anni”. Un pescatore poco distante, ancora stupefatto, si mosse adagio nella sua canoa, e la guardò. Charlotte tentò di sorridere ma lo sforzo la fece crollare. Due donne si avvicinarono per sostenerla. Noemi dentro al bungalow si denudò e posò gli occhiali accanto al letto. La teiera brillava e splendeva col passare dei minuti, lei non poteva staccare gli occhi. Sbirciò dalla finestrella e vide sua madre sulla riva, schermirsi con affettato distacco da persone che la tenevano per le braccia. Charlotte non ebbe bisogno di scorgere lo sguardo della figlia per provare un'angoscia repentina, ciò che la spinse a divincolarsi per rientrare correndo. Noemi la mise a fuoco; per la prima volta da quando era una bambina vedeva in maniera perfetta senza le lenti. Notò la fretta della madre e comprese di dover compiere il destino. Si inginocchiò, afferrò l'oggetto magico sollevandolo all'altezza del viso. La teiera aveva una faccia con due occhietti benigni. Senza indugiare la sfregò col palmo della mano.
«Genio della teiera magica, ti chiedo di venire da me». Charlotte trovò la stanza da letto chiusa a chiave e batté due colpi.
«Cosa stai facendo?». La ragazza non rispose. Sottovoce ripetè:
«Ti scongiuro, genio, vieni. Io ti ho trovato, devi venire a salvarmi».
«Perché ti sei chiusa dentro?».
«Vengo subito, mom!...Genio, mio Signore, sono qui. Prendimi, sono pronta». Charlotte intuì e si sentì mancare il cuore.
«Nooo! Non lasciarmi, Noemi! Apri subito la porta.. Apri, per pietà».
«C'è un ordine naturale nelle cose!». Un fumo denso riempì la piccola stanza, oscurando la visuale. Il sole venne coperto da una nuvola nera, facendo alzare le teste degli aborigeni tuttora preoccupati dal recente evento e ignari di cosa succedesse nel bungalow delle straniere. Folle di terrore, Charlotte uscì all'aperto per introdursi dalla piccola finestrella. Ci riuscì con difficoltà, ferendosi a un fianco. Nel caos vorticoso del fumo, a tastoni trovò il corpo della figlia. Le sue urla attirarono i nativi, che accorsero, la sollevarono e insisterono per trasportarla sulla spiaggia. Intanto qualcuno, un personaggio dal volto dipinto, si faceva largo per avvicinarsi.
Dieci mesi prima
Ratma scavava il corpo di lei lentamente, come l'aratro la terra, e rivolgeva l'estrema preghiera. Luci infuocate rosseggiavano all'interno della capanna per effetto del tramonto sull'oceano, colorando di arancio le carni nude.
«Mi piace quando il mio sesso scivola nel tuo.. mi è difficile pensare di farne a meno. Mi piace sfregare i miei fianchi nei tuoi, sentire il tuo petto schiacciato contro il mio. Mi piace stare con le gambe in mezzo a te, obbligandoti ad aprirti, per fare l'amore con me. Come puoi lasciarmi, io e te siamo tutto. Parte da noi ogni cosa, tutto ciò che la gente cerca. Ti ho deluso, quando chiedesti a me di essere un uomo diverso? Perché sei come l'altra gente, insoddisfatta di ciò che ha, pronta a gettare i frutti di sacrifici per seguire nuove farfalle? Tutto ciò è vuoto, é vizioso. Torna nel mondo, e ci perderemo». La voce di Noemi uscì in un soffio, in risposta alle parole dell'amante.
«Fammelo vivere, o non avrò pace. É l'ultimo rischio, devo viverlo. Fammelo fare..è facile per te, tu hai la padronanza sulla mente. Io vivo con l'angoscia di mettermi alla prova, magari l'ultima volta...sì. Non parlare con saggezza a una che non sa vedere l'orizzonte..Mi fai sentire piccola. Seguirti è annullarmi. Vuoi questo? Mettermi così nuda, nelle mani di un uomo..Lasciami andare. Lasciami andare e se tornerò sarà per sempre».
«Ti amo da morire. Senza te sarà il vuoto nel cuore».
«Ti amo Ratma, con tutta l'anima. Ma non sono sicura che la mia anima mi appartenga».
«Dobbiamo avere fede. Iddio premia chi ha fede nella Verità. Il nostro amore è verità?».
«Credo di sì, marito».
«Dillo».
«Il nostro amore è Verità. É fede, e Verità. Non piangere più, ti supplico».
«Allora smetti anche tu». Le sollevò le reni, traendola contro sé. Noemi emise un gemito rauco, e a Ratma il piacere di lei annebbiò gli occhi. O forse erano le lacrime, o forse tutt'e due.
Ratma e Charlotte
«Sono venuto a chiederti il consenso per cremare tua figlia». Lo sciamano alto e magro, col volto dipinto e un copricapo di seta bordeaux tempestato di monete, sostava sulla porta del bungalow.
«Dopo tutti i tuoi riti stregoneschi sul corpo di mia figlia, vieni da me a chiedere il permesso?».
«Ti chiedo il consenso. Non mi serve il permesso». Parlava un idioma tra il melanesiano e il francese, frutto dei diversi missionari venuti in passato. Fece un passo dentro il bungalow, conciliante ma deciso. Charlotte abbandonò le fotografie su cui stava piangendo e si alzò a fatica, puntellando i palmi sul tavolo.
«Tu chi sei, cosa sei per mia figlia?».
«Sono suo marito». La donna andò davanti a lui e lo guardò in faccia, dritto negli occhi. Il cuore spezzato, i pesanti decenni accumulati dopo l'Irlanda e l'orologio non avevano scalfito la bellezza marmorea del suo volto, né la coltre dei capelli neri sciolti sulle spalle. Il suo pallore e la cicatrice sul collo erano l'unico residuo di un'umanità compromessa, insignificante sintomo di un sistema cardiocircolatorio tenuto insieme da qualcosa di più grande di tutti loro. Ratma se ne sentì intimidito, come la prima volta al cospetto di Noemi, intuendola prigioniera di qualcosa di imperscrutabile. Ora il legame fra le due gli apparve chiaro, non come un legame di sangue. La piccola sposa non aveva fatto in tempo a rivelargli il suo segreto, senza dubbio collegato a quella morte improvvisa e all'inspiegabile stravolgimento del suo giovane corpo nel giro di pochi minuti. Il corpo di una donna tanto, tanto vecchia.
«Ti racconterò tutto se farai altrettanto con me», le disse. Charlotte si fece da parte e con la mano indicò la poltrona di vimini per farlo accomodare.
«Bello il tuo bonsai». Accennò un sorriso, ma la spossatezza del lungo piangere la fece vacillare. Ratma fece in tempo a sostenerla. Le toccò il collo e l'energia sciamanica inviò il meritato sollievo all'antica ferita.
«Stenditi qui. Ti darò qualcosa, poi parleremo».
Loredana Zino
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