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Autore: Roberto Maggi
Gli Accordi Spezzati
Narrativa
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Gli Accordi Spezzati
Album Oro
Brano I – Morning Ballad
Ricomincia l'ennesima fuga, l'ennesimo abbandono di un luogo temporaneo, un altro viaggio con destinazione ignota. Le trascurate case del piccolo borgo incastonato nella valle, il loro intonaco scrostato di pallido miele, già appartengono al passato, codificate e appallottolate in un angolo invisitabile del ricordo, sequestrate in una camera blindata del cervello. Desideri inconsci non le richiameranno, non le decodificheranno, la volontà di cancellazione, come sempre, sarà ferma determinazione inscalfibile. Come in un sonno senza sogni, incapaci di rivelarsi attingendo ai depositi più reconditi della psiche. Fotografie di un altro paesaggio indecoroso ridotte in cenere, così come meritano i trascorsi condotti secondo vie obbligate. Non si perdeva niente, perché niente c'era da perdere né niente da guadagnare. Solo l'esigenza di una ricerca urgente e indefinibile contava, rapiva, smuoveva, una smania di perlustrazione che conducesse alla terra ritrovata, ammesso fosse mai esistita; tutti i fiumiciattoli melmosi che la vita si ostinava a far confluire ai suoi piedi non significavano nulla, era solo feccia spurgata dall'esperienza. D'altronde, cosa avrebbe potuto rimpiangere? I fumi nauseabondi di quella lurida bettola, i comandi brutali, i doveri come muti sacchi sulla schiena? No, via, bisognava spazzare via tutto anche stavolta, decorticare la posa schiumosa affastellata sulla coscienza, rendere vergini le matrici trascritte da un'esistenza ridondante, reiterata, amorfa. E poi quegli sguardi sempre addosso, quelle battute idiote, quell'odore fetido. Meschinità e volgarità, urla arroganti, dopobarba vomitevoli: ben poco da immortalare sull'album dei ricordi.
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Brano III – Quel che resta del tempo
I battiti accelerati del cuore riportano la mente al momento presente. L'ansia recata dai sogni accavallati e vividi poco a poco dilegua, ma lascia un amaro strascico in bocca. Era sicura che mai quelle scene sarebbero riemerse, era sicura di tener a bada ogni richiamo con un netto, involontario processo di rimozione. Le eruzioni inconsce si sono dimostrate più forti, soffi onirici capaci di raggomitolare tutto un passato in pochi minuti. Ma ora farà di tutto per ricacciarli negli inferi, nuovamente resettare la sua scatola cranica, renderla una tabula rasa.
Fa una lunga doccia, la fronte puntata verso il getto caldo, come a tirar via le sedimentazioni del passato incollate sulla pelle, disciogliendole nei rivi di sapone, una pioggia ristoratrice che la lava non solo esteriormente. I capelli ripuliti riacquisiscono il loro volume ampio, la loro luce dorata, li asciuga al sole tiepido affacciata alla finestra. Lungo la vallata, si scorge un infoltito movimento, nel punto dove stanziava quella stramba carovana, molta gente si va radunando nella conca.
Si veste senza fretta, meditando sul contenuto piuttosto modesto del suo bagaglio, e stavolta, no, lascia stare il chiodo appeso dietro la porta, rinuncia agli indumenti oversize sotto e sopra: dopo tanto tempo indossa un vestitino color pesca, per quanto non impeccabile nella stiratura, mostrando la fresca pelle rosata, esibendo una bellezza viva, rigogliosa, ancora non sfiorita. Neanche si domanda il perché di questa scelta: da tanto nasconde la sua femminilità esuberante, mimetizzandosi in svasati pantaloni, raccogliendo i lunghi capelli mossi sotto berretti maschili, evitando di risaltare le sue forme. Quasi detestando quelle curve voluttuose, la causa primaria di tante sciagure.
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Album Platino
Brano I – Morning Blues
Più tardi. Esco a prendere aria. È da tempo che cerco di prenderne. Che anelo a respirare, evadendo da un'apnea forzata, nella stremante solitudine di un palombaro vagante in fosse oceaniche. Strascicando, palla e catena appesa al collo, più tiri più vai in affanno. Uno spettro tra la massa senza volto. Dolce Patrizia, canto disperato, inno dannato, vienimi incontro, appari dietro l'angolo. Un pensiero trabocchetto, una richiesta di un illuso, solo serve a dare sfogo a un sogno incorporeo, a soddisfare un desiderio inappagato, come nube accattivante che oltrepassi i caseggiati senza nome. Che prometta folate capaci di poterti raggiungere, nelle tue sale piene di sculture, di creazioni estrose. Tu che in questo momento chissà dove starai girando, chi delizierai ridendo, di chi stringerai la mano, il solo pensiero fa ribollire il motore di avversione verso un rivale immaginario, io che ero geloso persino del tuo passato, dei tuoi trascorsi carichi di assaggi precoci, invidiando tutti coloro che ti avevano assaporato nei tuoi anni più verdi; appunto, tutto ciò non ha senso, già il miser Catulle lo aveva cantato chiaro. Niente ha senso. Sono pazzo. Malato. No, semplicemente divorato dall'impotenza d'un amore fallito, quindi malato. Ecco l'espressione corretta. È leggermente più consolante, ma non di tanto.
Tornato o a casa, troverai un suo messaggio in segreteria. Scosterai la porta, circospetto, sbircerai il display rosso, lampeggeranno cifre a segno positivo. Divori le scale, la mente ti precorre in proiezione, apri in affanno, ti affacci in salotto e... Doppio zero. Ma è ovvio, zuccone, è tutto così ovvio, logico, prevedibile, sono le regole del buon senso. A cui non vuoi arrenderti, a cui opponi ogni sorta di rimedio superstizioso. Invece succede, è così, è la realtà. La realtà, capisci? ..........
Ma io amo l'imprevedibile, ragazzi, è questo che mi rapisce, che mi conquista, la sterzata violenta che ti fa andare fuori strada, il temporale improvviso che ti inonda di pioggia acida.
Perché non può succedere l'imprevedibile? Rientri, ascolti una voce sbobinata che dice, Ciao..sono io..volevo.., meraviglioso! Non può accadere. Evidentemente. C'è sempre un altro Ciao..sono..., mai quello che vorresti sentire. Chi se ne frega di chi sei. Non sei lei.
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Album Argento
Brano I – Morning Rhapsody
Con l'andare dei minuti, i raggi del sole si adagiano piacevolmente sulla pelle sfregiata da corrosive vicissitudini, rendendo vividi i lati tomentosi delle foglie, mitigando la mutevolezza dei movimenti atmosferici. I gesti sono pacati, misurati, assolutamente privi di fretta. Non può esserci fretta quando non devi andare da nessuna parte, quando la tua strada non prevede altra meta. D'intorno, i picchi delle montagne più alte si stagliano con il loro contrastante biancore, coperti di manti immacolati di neve. Al di sopra, nubi filiformi si sfilacciano in nervature striate, creando innesti di tonalità sfumate. Uno spettacolo mozzafiato, di dolorosa bellezza, capace di colmarti di commozione estetica, ma inefficace ad innescare principi d'incendio in un cuore ormai gelido, ghiacciato nell'estasi come le creste di vetro azzurrato. Guardi quelle fedeli, algide compagne senza più partecipazione emotiva, come avulso da un sostegno disgregato nel tempo, inghiottito da una fiducia tradita, nello sfogliare svogliato di un volume ripieno di appunti: un coacervo di frasi sconnesse, di pensieri abbozzati, di poesie interrotte. Non ne scriverai più, saranno le ultime righe di una storia senza epilogo.
Chiudi il volume quasi nauseato da quei geroglifici informi, ridicoli, disseminati in stralci disordinati e caotici, spezzoni ora obliqui ora sfilacciati in righe curvilinee, spesso sbaffati in macchie raggrumate, e il guardo volgi a dei rapaci che ti sorvolano gridando, forse ghignando, consapevoli di aver individuato un bersaglio interessante, difficilmente li inganna il loro selvatico istinto. Con la mano bene aperta, il dorso ricoperto di macchioline diffuse, di vene ispessite tra appariscenti grinze, li saluti in uno scambio di cordialità benevola. La terra non è nostra, niente ci autorizza a possederla, è necessario condividere, suddividere la torta, esser parti eque di un insieme comprendente, anche se la natura se ne sbatte di dotte congetture, anche se finirai per essere un semplice mangime nel ciclo alimentare. Accendi il fornello da campeggio regolandone la fiamma bluastra e incostante, svuoti il contenuto di una scatola sul tegame, prepari una zuppa fumante. Intanto bevi un sorso di vino sanguigno da una borraccia scrostata. Mangi controvoglia, con l'unico conforto di un calore infuso che riscalda le membra intirizzite, senza potersi addentrare negli strati surgelati dell'interiore. Un'altra sorsata invade le papille, il sapore asprigno intenerisce i legami della mente, ammorbidisce il corpo in contrazione, allentando i vincoli induriti di sovrastrutture arcaiche.

Roberto Maggi

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