Omicidio alla Ssksess Press 1-2-3
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Mi chiamo Pedro e sono un investigatore privato. A differenza di molti miei colleghi, non sono un ex poliziotto che cerca di arrotondare la magra pensione spiando mogli e mariti infedeli. E, a differenza di alcuni di loro, non faccio questo mestiere solo per soldi. E non mi occupo di corna, ma di omicidi, al posto di uno stato che sembra aver dimenticato il valore della vita. Nel mio piccolo, come un atomo disobbediente ad ogni legge della fisica voglio, più di ogni altra cosa, riportare un minimo di giustizia in una società smarrita e asservita all'interesse di pochi. Morti senza verità, violenze ovunque. Solo le proprietà dei ricchi, protette nei loro quartieri fortezza, sembrano ancora rispettate alle soglie del ventiduesimo secolo. Anch'io, prima di scoprire la mia missione, servivo solo i potenti ed ero un uomo perduto, proprio come il mio mondo. Dietro una vita apparentemente ordinata, monotona e ripetitiva nascondevo la più grande delle confusioni. Un computer, una tastiera, incarichi ben definiti. A fine mese uno stipendio, magro ma sufficiente per tirare avanti. Tirare avanti sì, ma verso dove? Adesso, davanti ai miei occhi, ho una pistola e una penna. La pistola è appoggiata sulla scrivania, mi servirà più avanti, forse. La penna, invece, la stringo nella mano sinistra per raccontare come sono arrivato fino a questo punto. Quella che segue è la mia storia. Capitolo 1 Un messaggio sgradito Gent.le autore, abbiamo ricevuto il suo manoscritto, peraltro non sollecitato. Dopo un'attenta analisi, siamo spiacenti di comunicarle che non lo reputiamo assolutamente all'altezza degli standard della nostra casa editrice. Per noi della Saksess Press, la qualità viene prima di tutto e il suo testo, così come proposto, è ben lontano dal livello minimo richiesto per la pubblicazione. La trama è a dir poco inconsistente, i personaggi appaiono stereotipati, i dialoghi artificiosi e le tematiche trattate sono assolutamente banali. Vi è poi da aggiungere che alcune parti del testo risultano evidentemente plagiate dai libri di alcuni nostri autori. Non abbiamo bisogno di ricordarle che la violazione del copyright è perseguibile, previa nostra segnalazione, ai sensi delle normative vigenti. Al fine di evitare spiacevoli conseguenze, anche di natura penale, la invitiamo pertanto a presentarsi presso i nostri uffici il giorno venerdì 13 dicembre alle ore 18,30 per ulteriori comunicazioni. Fine della comunicazione vocale. Il file si auto-cancellerà una volta completato l'ascolto La Direzione editoriale Saksess Press
Quell'audiomessaggio mi aveva colto di sorpresa. Quante falsità, in così poche parole ripetute da una voce meccanica. Ascoltarle una sola volta era bastato ad imprimere per sempre quelle offese così gravi nella mia mente. Perché tanta cattiveria? Non ci dormivo la notte. Non mi ero mai sentito così offeso e umiliato. Quei palloni gonfiati, truci custodi autoreferenziali del mondo della letteratura, avevano oltraggiato la mia opera, i miei sentimenti, la mia anima. Avevo sempre sospettato di non essere un grande scrittore, ma di certo non ero un imbroglione. Se c'era una cosa a cui tenevo, era l'originalità delle mie idee, buone o cattive che fossero. Sia nella scrittura che nella vita, avevo sempre cercato di comportarmi in modo onesto; quindi, perché mi trattavano con tanta aggressività? Sembrava quasi che volessero annientarmi, ma io non ero certo intenzionato a permetterglielo, perlomeno non senza difendermi. Probabilmente mi odiavano perché rappresentavo quella parte della loro anima che avevano sepolto sotto i bilanci, i fogli di calcolo, le spese impreviste, gli impegni e le responsabilità. Per questo, forse, gli editori mi avevano sempre snobbato. Ma non erano mai arrivati fino al punto di offendermi e minacciarmi direttamente. Cosa dovevo aspettarmi da quell'incontro? Sarei riuscito a chiarire quello che, forse, era solo un equivoco? Quella comunicazione mi era stata inviata per errore? Per telefono, l'impiegata della casa editrice non aveva voluto dirmi niente di più. Ma io ero arrabbiato e determinato. Avevo voglia di difendermi e difendere tutti gli scrittori del mondo, di dirgliene quattro a quegli arroganti della casa editrice. Volevo fargli capire che il loro era solo il giudizio di un'impresa commerciale e che nessuno poteva permettersi di dire che la scrittura di un autore non aveva alcun valore. Molti dei miei conoscenti, nelle situazioni difficili, si affidavano ai moderni ritrovati della medicina. Una pillola per stimolare la mente, un'altra per controllare lo stress. Poi, a sera, una per dormire. Io continuavo a preferire il caffè. Con tre tazzine disponevo di tutta la carica di cui avevo bisogno. La calma, invece, non mi interessava proprio. Stavo andando in guerra, non a una riunione aziendale. Arrivai sul posto con mezz'ora di anticipo, ma faticai non poco per trovare la sede. Nessuno la conosceva. All'indirizzo che mi avevano comunicato c'era un palazzo come tanti, in quella periferia fatta di uffici in affitto e appartamenti a basso costo, una foresta di condomini anonimi che si estendeva a perdita d'occhio. Qualche albero sintetico qua e là. Uno solo era in grado di produrre ossigeno quanto venti alberi normali, dicevano. E poi non perdevano foglie e non dovevano essere potati. Il nuovo governo aveva promesso di sostituire quanto prima tutti i vecchi alberi organici con questi nuovi ritrovati della tecnologia. Chissà perché, mi chiedevo, non sostituivano anche l'intera umanità con macchine più efficienti? Un giorno, pensavo, qualcuno avrebbe avanzato anche quella proposta. Mi avvicinai al portone del condominio. Effettivamente, sulla targhetta di un campanello c'era scritto: "Saksess Press. Si riceve solo su appuntamento." Sesto piano, ascensore fuori servizio. Allora anche le macchine non erano così infallibili. "Chissà se anche gli alberi sintetici si guastavano?" mi venne spontaneo chiedermi. Quella che sicuramente non sembrava funzionare bene era la casa editrice. A giudicare da dove si erano sistemati, non dovevano certo navigare nell'oro. Ma il loro evidente insuccesso non mi era certo di consolazione. Avevo caldo, sudavo e mi mancava il respiro. Ogni rampa di scale mi sembrava più ripida di una montagna. Sentivo il cuore che mi batteva all'impazzata sotto la giacca, troppo pesante per quell'inverno che sia annunciava mediocre, senza né neve né gelo, un po' come la mia vita fino ad allora. Arrivato al terzo piano fui costretto a fermarmi. "Non vede che è bagnato, sto passando il cencio. Si fermi!" mi intimò una signora anziana, dalla corporatura robusta. "Ho un appuntamento, vado di corsa" provai a giustificarmi. "Non mi importa niente" disse la donna delle pulizie minacciandomi con il manico dello spazzolone "potrà ben aspettare cinque minuti." La mia educazione mi imponeva di rispettare il lavoro altrui. Del resto, ero lì perché non stavano rispettando il mio. Così attesi, in silenzio, finché la donna non mi fece cenno di passare. A causa di quella sosta forzata, la mia ansia aumentò in modo esponenziale. Ma ormai ero prossimo alla meta. Mancavano pochi scalini poi, forse, avrei avuto se non giustizia, almeno dei chiarimenti. Arrivato di fronte alla porta, provai un attimo a ricompormi. Facevo fatica a respirare e il cuore mi batteva come un tamburo. Provai a fare lunghi respiri, discorsi automotivazionali, e ad adoperare sofisticate tecniche orientali. Ma l'amata meditazione zen smetteva sempre di funzionare proprio quando ne avevo più bisogno. Niente da fare, ero fuori di me, sopraffatto dall'ansia e dalla rabbia. Suonai il campanello, la porta si aprì ed entrai. Mi accolse lei, Laura, seduta dietro al bancone della reception. Una ragazza giovane e attraente, ben distante da quell'interlocutore ostile che si era prefigurato la mia mente. Per un attimo, rimasi paralizzato per la sorpresa. I suoi occhi azzurri mi guardavano senza lasciarsi comprendere, come se fossero stati una finestra verso un altro mondo, dove le normali regole e la logica smettevano di avere valore. Li osservai, poi chiusi per un attimo i miei, per sottrarmi a quella che mi sembrava quasi una stregoneria. No, non mi sarei fatto ingannare da quel bel viso e da quei lunghi capelli neri. Cercavo guerra e giustizia, non amore e poesia. Il suo sorriso, del resto, più che calmarmi mi irritava. Aveva la falsa sicurezza dei giovani, quella di chi crede di sapere tutto della vita perché in realtà non sa assolutamente niente. Il suo volto privo di rughe, con tutta la sua effimera innocenza, mi infastidiva. In quel momento il suo aspetto grazioso, che in altre occasioni avrebbe potuto ingentilire i miei modi, strideva duramente con la mia rabbia.
Giovanni Bonelli
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