Non è vero che i bambini non si innamorano
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La maestra Maura ci ha detto che la prossima primavera andremo in gita a Venezia. Per cinque giorni. Se qualche genitore vuole venire per aiutarla, ha precisato, può farlo. Mia madre si è subito offerta. A suo avviso in quinta elementare si è troppo piccoli per dormire fuori casa, e poi chissà cosa può succedere: meglio sorvegliare. Immaginate come mi sono sentito. Poi però, quando è venuto il momento di partire e ci siamo ritrovati alla stazione, ho visto con sollievo che mia madre non era stata l'unica a partorire l'idea: c'era il padre di William, che di mestiere fa il meccanico e ha un naso molto grande e un po' schiacciato. Mi ha fatto specie vederlo senza la tuta da lavoro, perché quando viene a prendere a scuola suo figlio, indossa solo quella ed è coperta di macchie di grasso.
In treno, ci ha fatti subito divertire: -Allora bimbi, lo conoscete il gioco del cucuzzaro? -Nooo! Facciamolo! -Bene, guardate che è un gioco che richiede molta concentrazione. Io faccio il ruolo del cucuzzaro, il padrone dell'orto; tutti gli altri sono le cucuzze del mio orto. A ogni giocatore è dato un numero. Il cucuzzaro comincia a dire per esempio: “Nel mio orto ci sono... due cucuzze!” La cucuzza che corrisponde al numero pronunciato dal cucuzzaro risponde: “Perché due cucuzze?” e così via. A questo punto il cucuzzaro risponde: “E quante allora?” La cucuzza ribatte dicendo un altro numero a suo piacere e così sceglie un altro giocatore. Se il numero chiamato non risponde perché è distratto, viene eliminato dal gioco e la stessa cosa accade se il cucuzzaro, chiamato a rispondere quando si dice “Tutto il cucuzzaro”, non lo fa correttamente. Il giocatore che elimina il cucuzzaro ne prende il posto. Vince chi rimane in gioco fino alla fine.
Abbiamo fatto questo gioco per un po' di tempo e inizialmente ci sembrava tanto stupido da farci ridere sul serio.
-Stamane sono andato nell'orto e ho trovato... cinque cucuzze! -Perché cinque cucuzze? -E quante allora? -Tre cucuzze! -Perché tre cucuzze? -E quante allora? -Tutto il cucuzzaro!
Se qualcuno ci avesse trascritto, senza sapere del gioco, ne sarebbe derivato un racconto surrealista. Abbiamo smesso perché alla fine, quando si resta in due, diventa difficile che il gioco termini rapidamente. Io del resto mi ero già stufato: sono andato in un altro scompartimento dove non c'erano adulti, perché volevo stare vicino a Tiziana Tinaglia che mi piace tantissimo.
Ė una bimba di corporatura imponente, sembra già una delle medie, col viso tondo e paffuto incorniciato da una lunga criniera nera. Ogni tanto con mia madre andiamo a fare merenda a casa sua e mentre le due donne parlano tra loro, noi giochiamo a Cluedo: adoriamo i giochi di società. Una volta mia madre, nel congedarsi, ha detto alla sua: “Questi due vanno proprio d'accordo! Chissà se un giorno si sposano!”. Io mi sono vergognato anche se non sapevo nemmeno esattamente cosa implicasse lo “sposarsi” e ho pensato che -qualunque cosa fosse questo sposarsi- gli adulti non dovrebbero permettersi di deridere i sentimenti dei bambini. Non ho mai più detto a mia madre che mi piaceva qualcuna.
A un certo punto il treno ha frenato violentemente, di colpo, e il mio compagno Tommaso ha esagerato la caduta di proposito, per rovinare a corpo morto addosso a Ines, la più ambita della classe. Quando si è rialzato ha iniziato a gridare trionfante: “L'ho baciata! L'ho baciata!” e mentre lei rideva imbarazzata facendo finta di scandalizzarsi, noi lo abbiamo sbugiardato dicendo che non era vero, avevamo visto benissimo. Ma lui ha continuato a sostenere che avevano “limonato” anche se non ci ha convinto del fatto che la pratica potesse riuscire in un lasso di tempo così breve. La diretta interessata non ha smentito, ha continuato a ridacchiare.
Giunti piuttosto tardi in albergo, dopo cena siamo saliti subito nelle camere, dove eravamo sistemati a gruppi di tre e finalmente, abbandonata ogni sorveglianza degli adulti, io Tommaso e Flavio abbiamo fatto a battaglia di cuscini; ci siamo divertiti tantissimo e io in particolar modo. Dato che non ho fratelli, non ci avevo mai giocato prima. Ci siamo addormentati per lo sfinimento.
Il giorno dopo abbiamo visitato Venezia. O meglio, prima di tutto la maestra ha comunicato che “da programma” ci toccava andare a vedere la mostra di un pittore a Palazzo Grassi, Pablo Picasso.
-Anche se siete piccoli, questa è un'occasione unica perché queste mostre sono rare!
Realizzato tra il 1748 e il 1772 dall'architetto Giorgio Massari, Palazzo Grassi è l'ultimo palazzo costruito sul Canal Grande prima della caduta della Repubblica di Venezia. Io prima non l'avevo mai sentito nominare. Picasso invece sì, perché mia madre lo adotta spesso come insulto, è brutta come un quadro di Picasso, mi pare proprio un quadro di Picasso, disegni come Picasso. Alla mostra mi sono annoiato, ma almeno ho compreso il significato dell'insulto. Per tutto il tempo la Tinaglia non mi ha considerato affatto e un po' mi dispiaceva soprattutto perché ne ignoravo il motivo. In compenso ho notato un interesse, una curiosità, un tacchinamento da parte di Vittoria, la biondina col caschetto, sorella di Flavio. Vittoria frequenta già le scuole medie e non capisco perché e come sia venuta in gita pure lei: è di certo un viaggio con troppi ospiti.
Terminata la mostra ero stracco e riposavo la vista in attesa del vaporetto sulla banchina. Ero tranquillo davanti al via vai delle barche, lei si è avvicinata e dopo essere rimasta un po' in silenzio mi ha squadrato e ha proclamato: "Mi piaci. Peccato sei più piccolo". Sorrisetto rapido, giro di tacchi, scomparsa. Ė uno sconquasso emotivo e ormonale. Non è bellissima, tutt'altro: ma il fatto che mi si sia dichiarata così spudoratamente mi fa dimenticare Tiziana, Picasso e tutto il resto. Ho passato il resto della gita a rincorrerla, a inseguirla, a sognarla anche se dopo la boutade mi ignorava -esattamente come la Tinaglia. E se ho già scordato la Tinaglia per così poco, forse vuol dire che l'amore è una robetta, forse dovrei dedurne che in realtà amiamo chi ci ama, che l'amore è un tipo di narcisismo.
A questo proposito, ho sentito alla radio di un esperimento fatto negli USA da alcuni psicologi. Due sconosciuti vengono messi a conversare per un'ora e nel farlo devono rispondere ad alcune domande-guida, costruite appositamente per creare intimità e abbassare le difese interpersonali. Il risultato fu che molte persone, effettivamente, dopo il test si innamoravano. O almeno lo credevano. Questo è il nostro libero arbitrio.
Tornati a casa dopo Venezia, ho consegnato diverse volte dei bigliettini a Flavio per sua sorella. Ogni tanto scorgevo Vittoria all'uscita insieme con la madre, alle 16.30. Nessuna risposta, nessuna confidenza. Mi hai lasciato da solo davanti a scuola. Mi vien da piangere. Quando chiedevo a Flavio i motivi di questo silenzio, lui allargava le braccia come dire boh?
Ho trascorso molto tempo, d'estate, a domandarmi: ma se le piaccio -e me lo ha detto- perché non risponde mai a un bigliettino?
Poi ho iniziato le medie e mi sono detto vedrai che vi incrocerete magari in un intervallo e in effetti così è stato. Individuata la sua 3C, una mattina tornando nella mia classe alla fine dell'intervallo, le ho sporto l'ennesimo mio scritto. Lei lo ha raccolto restando zitta, con uno sghignazzo che mi ha fatto iniziare a pensare a uno scherzo, a una presa in giro per ridere di me con le amiche.
Anche le ragazze sanno essere stronze. Non ho mai ricevuto risposta.
Nessuno ha mai calcolato quanto tempo della nostra vita passiamo aspettando qualcuno.
In ritardo
Si diresse alla fermata del 77, che portava fuori città. Era in ritardo. Pioveva da tre giorni. Le pozzanghere erano ovunque, ce n'era una anche davanti alla paletta del bus. William (detto Willy) mise il piede dentro l'acqua senza accorgersene. Pensò: “Piove! Senti come piove! Madonna come piove! Senti come viene giù! Queste scarpe non tengono l'acqua. Resterò coi calzini umidi”. Poi vide il riflesso di una giovane donna. Alzò lo sguardo: era bionda, occhi chiari, alta circa 1,65 m., coi capelli corti. Indossava un impermeabile marrone e stivali di cuoio nero. Come fosse vestita sotto, non si riusciva a capirlo. Portava orecchini d'oro rotondi e aveva unghie smaltate di rosso intenso. Il suo tipo. Non aveva l'ombrello. William chiese: “Le serve aiuto? Vuole venire sotto il mio ombrello?” La donna si accese una sigaretta. Poi disse: “Non parlo con gli sconosciuti”. Lui ribatté: “Siamo nervose, eh? Sto solo cercando di essere gentile”. ˗ Non si dovrebbe parlare con degli sconosciuti. ˗ Fumare fa male: evidentemente rende acide. ˗ Poca confidenza: sono ispettore di polizia. E non devo stare a spiegare perché sono qui. Levati di torno. Arrivò il bus. Era stracolmo da non starci dentro. Willy salì lo stesso. In fondo, si disse, era in ritardo.
Giampaolo Squarcina
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