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Autore: Mauro Pergolini
I cannibali della montagna
Horror
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I cannibali della montagna
Voci.

Il fitto buio di quella sera rendeva la carreggiata pressoché imperscrutabile. Ciononostante, la BMW grigia con all'interno un gruppo di quattro giovani all'avventura procedeva spedita come nulla.
«Va' piano», si sentì raccomandare, per l'ennesima volta in poco tempo, Manolo Garavi, alla guida della vettura.
Al solito, questi cadde dalle nuvole: «Com'è...?» chiese, voltandosi verso il fautore della predica e così deviando l'attenzione da quanto aveva davanti. «Oh!» dovette perciò esclamare spaventato, lui e non solo, passando sopra un dosso che ne spinse l'esile corpo in alto, quasi rischiando di fargli perdere il controllo dell'auto.
«Al prossimo che prendi ad almeno settanta all'ora, ci vinci un cazzo di premio!» commentò, sarcastico, Federico Raucasi dalla sua destra.
«Se non era per la tua insistenza, mo lo facevo...»
«Shì, shì, continuate a sottovalutare la cosa, continuate...» rispose Federico, tornando a fumarsi la sua sigaretta beato, con il braccio sulla portiera dal finestrino aperto.
«E t-tu sottovaluti la p-possibilità di finire dentro una b-bara», contrappose, dalle sue spalle, il sempre irrequieto Piero Noranni, vedendo man mano incrementare sia lo scetticismo iniziale che la sua cronica balbuzie.
«Pie-Pie-Pie-Pierino caro, tu tieniti pronto co' la telecamera e non scocciare. Devi riprendere ogni secondo di quello che succederà, è chiaro?»
«Sì...» rispose Piero mestamente, toccato da quel dileggio.
«Certo che pure l'oscurità fa il suo effetto, eh...» considerò Manolo. «Proprio stasera, i lampioni non dovevano funzionare?»
«Le strade di provincia...» evidenziò Federico altezzoso, carezzandosi il lato sinistro inferiore della testa, sulla cui parziale rasatura correvano tre linee vuote orizzontali da un capo all'altro dell'orecchio. «Le piccole realtà che tanto vi piacciono. Ess...»
«Cavolo, non si vede quasi altro che tutta questa erbaccia sull'esterno.»
«Meglio. Così meno gente di mezzo a romperci le palle.»
«Forse potevamo pure lascia' perde'...»
«Aaa... che cazzo di palle, che siete...!»
«N-Noi?»
«Ma perché, ci credete pure?»
«A loro? Ai... Ai cannibali?»
La citazione del termine, da parte di Manolo, fu seguita da un breve silenzio generale.
«Eh.»
«Scusa, ma se sei proprio tu a non crederci, allora che ci stiamo andando a fare a... com'è che si chiama...? Ah, a Valle dei Gigli?»
«Guarda avanti, t'ho detto. Che sennò finiamo prima di cominciare.»
«Ho dovuto quasi litigare con mio padre, eh, per farmi prestare ‘sta macchina. È pure nuova, tra l'altro.»
«C'avete proprio la coccia dura, ah?»
«S-Senti chi-chi parla», bisbigliò Piero tra sé, completando la preparazione della sua telecamera.
Tra una soffiata e un'altra di fumo, il proclamatosi leader del gruppo spiegò: «Ve l'ho già detto, ed è semplicissimo. Se li troviamo, facciamo la storia, e questo lo arrivate a capire pure voi...»
«Mh», mugugnò Piero, contrariato.
«Se non li troviamo...» Federico alzò le spalle, «la facciamo lo stesso, perché saremmo stati i primi ad averci provato; ma provato sul serio, intendo.»
«Sì, sì, c-c-come no...»
«Poi lo sapete come funziona coi social, quando ne parleremo-parlerò, cioè: le visualizzazioni, i like, e tutta ‘sta roba.» D'un tratto, Federico sentì vibrare la tasca sinistra della felpa, al che inserì la mano libera in essa, estraendone il cellulare. «L'ho preso qualche giorno fa, è l'ultimo modello», evidenziò, prima di osservare quanto sullo schermo. «Ecco, appunto.»
«L'Horror corner?» gli chiese Manolo.
«Eh.»
«Il tuo amato blog... Ti è arrivata una notifica?»
«Una? Qua ce ne shtann' a decine! E mica solo dal blog, pure dalla mia pagina su Instagram. Tutti utenti entusiasti.»
«Ah, quindi hai detto che venivamo qui.»
«No, no, ma ho promesso ‘na frega di contenuti seri, in una località mooolto particolare. “Giglia!”, ha commentato uno, col punto esclamativo.» Federico sorrise e scosse la testa. «‘Sti qua si aspetteranno davvero della gente che mangia altra gente, cadaveri lungo la strada... Ma mica siamo in America! Queste so' cose che succedono sol' allà.»
«E poi come ti giustificherai, alla fine?»
«Tu non ti preoccupare, che ci penso io, a queste cose. Tu pensa a gui--»
Effettuando una curva, Manolo si avvicinò troppo a un palo baluginante sull'esterno, fin quasi a sfiorarlo.
«Attento!» esclamarono Federico e Piero all'unisono.
«Scusate...» disse il guidatore, a pericolo scampato.
«Eh, scusate il cazzo! Ci riusciamo, almeno ad arrivare, o ci dobbiamo prima sfracella' da qualche parte?!»
«Esagerato... Come sempre.»
Bestemmiatogli contro nella propria mente, Federico compì un profondo respiro al fine di tenere a bada il proprio nervosismo. Dopodiché si girò. «E tu, là dietro...? Che, hai perso la parola?»
«No», lo rassicurò sua sorella Andrea, in tono sostenuto e con le braccia conserte, sopra una delle quali spioveva la coda ondulata dei suoi capelli castani. «Non l'ho persa.»
«Te ne stai lì tutta sulle tue...»
«Non sto, sulle mie», precisò la ragazza, brevemente rivolgendo lui lo sguardo. «Sono... pensierosa.»
«Eh, ma è da quando siamo partiti...» le fece notare il fratello maggiore. «Dilla, qualcosa, no?» le suggerì, tornando in una posizione pressoché corretta.
«Se uno non ha niente da dire, è inutile che spreca fiato», puntualizzò lei, poi aggiungendo sottovoce: «Soprattutto quando parli ai mulini a vento.»
«Com'hai detto?»
«Niente.»
«Sai che è, Andre'? Mi sa che c'hai ragione. Magari pure questi, fossero come te...»
«Ma magari fossi come lei...» ribatté Manolo, a un volume di voce ingenuamente alto.
«Ancora parli? Tu zitt' e penza a guida'», rimarcò quindi Federico, prima di guardare davanti a sé con espressione decisa e spavalda. «Che manca poco, ormai.»

Qualche minuto dopo, la curiosità del gruppo venne catturata dalla presenza di un edificio in lontananza sulla sinistra, parzialmente celato da uno stuolo di alberi dai tronchi spessi attorno ad esso.
«Mo che cazzo che mi rappresenta quella casaccia?» domandò Federico, seccato dall'aver dovuto distogliere l'attenzione dal cellulare.
Procedendo, capirono trattarsi di un piccolo casolare, in pietra nuda e a due piani, con un balcone al primo.
In prossimità di esso, Piero domandò: «S-Siamo entrati a... a-a Gi-Giglia?»
«Mi sa di no,» rispose Manolo, «dovremmo ancora essere a Rionna. Aspe', mo controllo sul cellulare.»
«Che cazzo controlli, se stai guidando?!» subito lo riprese Federico. «Cujò!»
«Tranquillo, so quello che facc--»
«Fermo!»
SCREEE!!!
L'improvviso intervento di Andrea provocò l'immediata frenata di Manolo e il conseguente sbalzo in avanti di ognuno dei presenti nella vettura, non solo di quest'ultimo, stavolta.
«M-Madonna-Ma-Madonna s-santa!!!» Spaventato, Piero era stato anche costretto a vedere la telecamera sfuggirgli dalle mani e cadere assieme al resto dell'attrezzatura.
«Cristo!» esclamò Federico, il quale, ancora prima d'indagare sul gesto compiuto dalla sorella, rimproverò il guidatore con ferocia: «Ma come cazzo ti viene in mente???!!!»
Manolo, i cui occhiali da vista, per via dell'improvvisa frenata, gli erano scivolati sul naso, sentì la necessità di appoggiare la fronte sul volante. «Oddio...» boccheggiò. «Se ammaccavo la macchina, mio padre mi ammazzava...»
«Gli do un bacio in bocca, se lo fa! Giuro! Ma pecché non ti dai alla tecnologia e basta, che tanto ti piace?! Non ho mai visto nessuno guidare come te, porca puttana!»
«E allora perché non ci sei venuto con la tua?» protestò Manolo con coraggio, pur mantenendo la consueta pacatezza di tono.
«Ma impara a guida', ‘ndundi'!»
Andrea, che dall'inizio del viaggio era certamente stata la più quieta del gruppo, si adoperò per sedare gli animi. «Okay, ragazzi, adesso calmatevi, non è il caso di litigare.»
«Ma perché l'hai fatto?!» gli domandò il fratello.
Portatasi al centro dell'abitacolo posteriore, la ragazza indicò davanti a loro. «Guardate...» semplicemente motivò.

Al centro esatto della carreggiata, a una decina di metri di distanza, qualcuno si agitava, producendosi in frenetici e scoordinati movimenti delle braccia rivolti all'apparenza verso il nulla, in ogni direzione.
Rialzata la testa, Manolo domandò stupito: «Ma chi è...?»
«U-Una... d-donna...?!»
«Una vecchia», lo corresse, sprezzante, Federico, il quale, scorti i lunghi capelli grigi e lisci, la mantellina marrone di lana sopra una maglia invernale viola e la gonna nera che le arrivava poco sopra le caviglie, infierì: «Una lurida vecchiaccia pazza.»
Accortasi della presenza dei giovani, l'anziana indirizzò loro lo sguardo.
Andrea, sicché, sporse ulteriormente il busto e, con timore contenuto, avvertì: «Si avvicina.»
«E mo che cazzo vuole, shta vecchia di merda?»
Muovendosi a velocità frenetica, superiore rispetto a quella che l'età avrebbe lasciato ipotizzare, l'anziana si diresse verso di loro. Nel farlo, continuava ad agitare le braccia in maniera scoordinata, in più gridando qualcosa che non riuscirono a decifrare nell'immediato.
Manolo si allarmò. «Che facciamo???»
«Mettila sotto», la proposta di Federico, accompagnando l'idea con una risata e un attimo prima di mettersi nuovamente in bocca il poco che restava della sigaretta.
«Scemo», lo apostrofò Andrea, senza però distogliere da lei l'attenzione.
«Se le punto gli abbaglianti addosso...?» propose Manolo.
«Ma se so' già accesi!» gli ricordò Federico.
«R-Ragazzi, p-pe' favore, a-a-andiamocene!»
«Calmo», Andrea disse a Piero, ponendogli una mano sulla più vicina spalla.
L'anziana, nel frattempo, si avvicinava sempre più, così palesando le sue parole: «Li cannibbal'!» gridava. «Li cannibbal'! Li cannibbal'!» Nel mentre, teneva entrambe le braccia sollevate per indicare, ripetutamente, dietro di lei, dove il gruppo era diretto.
«Stiamo tutti calmi...» ripeté Andrea, malgrado, lei stessa, calma non lo fosse affatto.
Manolo, nel momento in cui vide l'anziana dirigersi verso la sua postazione, si affrettò a chiudere tutti e quattro i finestrini.
«Li cannibbal'! Li cannibbal'!» reiterava la donna ossessivamente, come se a conoscenza di quei due termini soltanto. Giunta dunque sull'esterno della portiera, cominciò a battere i pugni sul finestrino. «Li cannibbal'! Li cannibbal'!» Avvicinò poi il volto al vetro fino ad attaccarsi ad esso.
«AH!!!» gridarono Manolo e Piero all'unisono, con il primo che, indietreggiando verso l'amico, portò via il piede dal freno, involontariamente facendo sì che anche la macchina indietreggiasse.
«OH!!!» lo richiamò Federico, al che Manolo allungò la gamba e premette il pedale del freno, così arrestando la marcia; spegnendosi, il motore provocò l'ennesimo sbalzo di corpi, con Federico stesso che, sfuggitagli la sigaretta sul tappetino, si prodigò a schiacciarla per non causare un potenziale incendio.
Il gruppo, nonostante si fosse distanziato da lei di alcuni metri, venne seguito dall'anziana, la quale, imperterrita, riprese da dove aveva lasciato, appiccicandosi al finestrino con il volto.
«Ancora!» esclamò Andrea, sorpresa.
Scandendo le parole, l'anziana aprì la bocca fino a palesare la completa mancanza di dentatura, eccezion fatta per l'incisivo superiore destro e il molare inferiore sinistro; proprio dalla bocca cominciò a colarle della saliva, che andò dolcemente a rigare il finestrino.
«‘Ngulo, che schifo...» commentò Federico.
«R-Riparti! DAI!!! R-R-Riparti, c-cazzo!!!»
«Ma chi--» stava per domandare Andrea, quando due mani tozze spuntarono da dietro l'anziana, cingendole gran parte del busto a tenaglia.
«Mamma!!!» gridò lei la figlia, una donna tarchiata di mezz'età, dai capelli marroni cotonati. «Ma che shti ‘ffa'???»
Sebbene fatta arretrare, l'anziana continuava nella sua litania, dimenandosi quasi al pari di un'indemoniata per liberarsi dalla presa ferrea in cui si trovò avviluppata.
«Andiamo a casa!!!» la invocò la figlia, incontrando non poche difficoltà nel portare a termine l'obiettivo, nonostante la corporatura circa due volte maggiore.
Intanto, i giovani assistevano all'evolversi della scena senza dir nulla. Tra loro, soltanto Federico non appariva più di tanto preoccupato da quanto stesse accadendo, anzi ostentando la sua classica sicurezza in presenza d'altri.
Adoperandosi per riportare la madre all'ordine, la figlia, già sudata, malgrado i finestrini chiusi si rivolse al gruppo. Nessuno, tuttavia, riuscì a sentirla, sicché Federico comandò: «Apri un po'.»
Manolo eseguì, leggermente abbassando il suo finestrino.
«Si era allontanata...» tentò di spiegare, affaticata, la donna. «Non riuscivo più a... a ritrovarla!» Non soltanto la fatica, nella sua espressione si evinceva, chiaro, il timore. Più di una volta, infatti, aveva guardato, anche lei, verso nord, dove si trovava Valle dei Gigli.
L'inconcepibile insistenza dell'anziana sfiancò la figlia, al punto da farle mollare la presa e costringerla a fermarsi, appoggiandosi con le mani sulle ginocchia e boccheggiando. L'anziana terribile poté così approfittarne per tornare dai giovani, sempre con quella corsa innaturale e inquietante nel suo rapido ticchettare.
«I cannibbali!» pronunciò per l'ennesima volta, nell'occasione però aggiungendo: «Se lo sono preso!» La donna si voltò a metà verso nord, estendendo il braccio e l'indice raggrinzito.
«Chi hanno preso...?» domandò Andrea.
Con il dubbio se l'avesse davvero udita, l'anziana specificò: «Mio marito! Se lo sono mangiato...!!!» La donna scoppiò in un pianto a dirotto.
«Vuagliù, que' è roba forte», sottolineò Federico, con un certo entusiasmo.
«Smettila», lo invocò sua sorella.
La tristezza, frattanto, aveva improvvisamente avvolto anche la figlia dell'anziana, la quale si riavvicinò alla madre e le appose le mani sulle braccia.
In lacrime, questa volta la donna non oppose resistenza.
«Vieni, ma'...» la invitò la figlia, portandola via con delicatezza.
«Mio marito...» citò ancora l'anziana, con le mani davanti al viso a tamponare le lacrime. «Se l'hann' magnat'...»
Le due donne si diressero verso il casolare sulla sinistra, qualche metro più dietro.
«Ah, dunque ‘sse due, ci abitano», Federico realizzò.
Attraversata la carreggiata, la figlia fermò la madre; mentre quest'ultima piangeva, indirizzò ai quattro uno sguardo adesso più che intimorito. Non fatelo... sembravano voler comunicare i suoi occhi.
Dall'interno della vettura, il gruppo seguì le due donne finché l'anziana non venne fatta rientrare nell'abitazione. E, per la seconda volta in poco tempo, sua figlia indirizzò loro il medesimo sguardo, scuotendo lievemente la testa.

Mauro Pergolini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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