Fatamorgana.
Fata Morgana, nella mitologia celtica, ingannava i marinai facendo loro vedere castelli in aria per attirarli verso di lei e condurli alla morte. In tempi più recenti, questo nome è stato utilizzato per descrivere un'illusione ottica per effetto della quale una nave sulla linea del tramonto sembra volare sospesa qualche metro sopra l'acqua. Il curioso fenomeno è probabilmente alla base della leggenda dell'Olandese Volante, il vascello fantasma che solca i mari in eterno, senza una meta precisa, al quale un destino avverso – punizione per la cupidigia del suo capitano – impedisce di tornare a terra. Una versione della leggenda vuole che i marinai di questa nave fossero stati colpiti dalla peste e perciò interdetti allo scalo in qualsiasi porto, da cui la condanna a solcare le acque in cerca di uno scalo sicuro: una bella metafora di una società che costringe i suoi componenti, malati di cupidigia, a vagare incessantemente alla ricerca di qualche bene materiale di cui, probabilmente, non hanno alcun bisogno. Ma che conferirà loro la sicurezza di essere accettati dagli altri, e in assenza del quale essi saranno etichettati come retrogradi, quindi emarginati. Perché, oggi, conta più l'apparire che l'essere.
Più in generale, in sostanza, Fatamorgana è un'illusione che distorce le immagini all'orizzonte, in mare come sulla terra ferma (sebbene quest'ultimo caso sia più raro); metaforicamente parlando, ella è la perfetta rappresentazione di una visione corrotta della realtà, indotta da una società che mira a offuscare le nostre menti e a infiacchire i nostri animi. Fatamorgana è bella, seducente. L'Uomo ne subisce il fascino e, insieme, teme d'incontrarla. È un sogno fuggente, inafferrabile.
Riesci a immaginare quante fate, quante tentazioni al giorno d'oggi possano attirare a sé l'Uomo, ignaro, per poi condurlo alla morte? La morte del suo libero pensiero; il trionfo del pensiero unico.
Al calar del sole, sulla riviera, sbatteva stanca l'onda spumosa sulla spiaggia bianca, e d'oboe e clarinetto s'udiva un bislacco concerto d'albatri stonati e stridenti gabbiani che il loro verso emettevano sovrani.
S'alzava intanto tiepida la brezza e suonava ancor più forte l'orchestra; danza macabra della Natura, compositore di sinfonici poemi ispirasti?
E poi la nave che all'orizzonte veleggiava, grandi ali candide dispiegava e sulla macabra danza, danzava e danzava.
Avvolta nella seta della foschia, abito opulento con aria di civetta portava oppressa e soave colle sue sgualciture, che l'eterno ballo dell'Olandese Volante non poteva finire, non poteva finire e giammai la costa osava sfiorare.
Il tramonto sul curvo dorso suo del veliero aveva la marcescente chiglia, navigava sospeso e l'orizzonte dominava fiero, portato da freddi venti e spettrali correnti.
Fatamorgana tu sei incantatrice d'incantati castelli e volanti vascelli, conducevi alla morte ignari marinai, orgogliosa dell'aspetto tuo sublime.
Sogna di trovarti per mare. Ascolta lo sciabordio delle onde e il verso stridulo degli albatri e dei gabbiani: la loro è una sinfonia d'oboi e clarinetti, come quella che compone l'organico del poema La danse macabre (1874) di Camille Saint-Saëns. Ma è anche lo stridente suono d'un violino, quel canto stonato d'uccelli; il violino che, in una versione cantata dell'opera, il compositore immagina suonata dalla Morte, mentre gli scheletri di un vicino cimitero ballano sulle sue funeste note.
Fu il Poeta francese Henri Cazalis, amico di Saint-Saëns, a comporre un poema il cui contenuto ispirò, sei anni dopo, la Danse Macabre:
“I raggi della Luna filtrano a intervalli fra nuvole a brandelli. Dodici cupi rintocchi risuonano dal campanile della chiesa. Svanito l'ultimo di essi, si odono strani rumori dall'attiguo cimitero, e la luce della Luna investe una fantomatica figura: la Morte, che suona il violino, seduta su una pietra tombale. Si odono strida dai sepolcri circostanti e il vento ulula fra le cime degli alberi spogli. Le note sinistre dello scordato violino della Morte chiamano i morti fuori dalle tombe; e questi, avvolti in bianchi sudari, volteggiano attorno in una danza infernale”.
IL FUOCO DI SANT'ELMO
Navigando per mari, l'Uomo ha scoperto quanto essi possano essere ingannevoli, quanto i segnali dati dagli azzurri abissi possano essere trascurati: sono presagio di tempesta o di chissà quale atrocità l'oceano riservi. Fatamorgana non è che l'inizio di un tragico viaggio nelle acque, lo scorgersi dalla riva della sua pericolosità. Ma l'Uomo, da sempre, prova una certa attrazione per l'ignoto e per il pericolo, come a voler dimostrare che può resistere a tutto: e allora s'addentra, s'addentra sempre più nelle torbide acque confuse della società. E ne diventa vittima.
Sul pennone d'una mesta nave, che il pacifico atollo bramava, stanca di veleggiar per l'amare acque, s'infiammò un pallido fuoco blu, freddo come l'opposto suo ghiaccio.
E nell'aria d'elettricità sovraccarica bruciava l'albero come una torcia; ardea d'un rogo grande sulla cima e di tre fiammelle sull'altre estremità.
Sinistra premonizione d'un Santo martire, la tempesta con sé portava maledetta, mentre i navigatori tutti, un poco inquieti, s'apprestavano ad attraversar la feroce burrasca.
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Bianchi flutti s'abbattevano sulla prora, le esuberanti schiume gridavano, e il timone, indemoniato, ballava.
Su sé stesso vorticosamente roteava l'imponente veliero senza controllo Nettuno lo conduceva, Eolo soffiava, e le grida del capitano, prepotenti, dall'onde ingorde venivano divorate. Spaventosa danza senza musica, ipnotica come delle sirene il canto, come del cielo grigio il lampo, rapiva spietata l'inerme equipaggio.
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Viola scintilla fausta o nefasta se del temporale è triste presagio? Tempesta ostile, tempesta crudele, nemica di coloro che van per mari sfidando il misconosciuto azzurro.
Accompagna Sant'Elmo un sibilo acuto nella sua celestiale ascesa, come urla di dolore del poveretto che sulla pira fu arso vivo; acerrima condanna, perpetua esecuzione, soave illusione del santo protettore che degli equipaggi è patrono.
Quando Sant'Elmo martire venne arso vivo, secondo il folklore, sopra il suo rogo si accese un fuoco blu. Era forse la sua anima che s'innalzava al cielo? Anima, anima... il grande quesito che dalla notte dei tempi l'umanità si pone, riguardo la sua esistenza. Nelle calde sere d'agosto, nei cimiteri, talvolta si possono scorgere le anime dei defunti brillare bluastre sopra le lapidi. Danzano i demoni, e tremolano sopra i morti. Sono i fuochi fatui, fenomeni che si presentano sotto forma di fiammelle bianche a livello del suolo, specialmente nei pressi di cimiteri o nelle brughiere come risultato della reazione tra metano e fosfano dovuti alla decomposizione di materiale organico. In passato erano considerati la dimostrazione dell'esistenza dell'anima, mentre nella mitologia nordica si credeva che seguendo questi fuochi si sarebbe trovato il proprio destino. Seguendo le anime, le storie, le vicende dei nostri antenati possiamo infatti trovare una guida per il futuro, un monito per gli errori che sono stati commessi e che non dovremmo più ripetere, perché la storia si ripete. Sempre.
Oggi con il nome di fuoco di Sant'Elmo si indica un fenomeno di natura elettrica e, come Fatamorgana, è la rappresentazione dell'inganno al quale siamo costantemente sottoposti. Si presenta come una fiamma dallo spettrale colore blu-violaceo, solitamente visibile sulla cima di alberi delle navi, di ciminiere o di guglie ed è spesso premonitore di un temporale. Ma degli equipaggi è patrono il martire di Formia, benché il fuoco che porta il suo nome sia foriero di sciagura: è la dualità positivo-negativo che ci accompagna costantemente nella vita. La menzogna che, sotto lo stesso nome e lo stesso aspetto, cela due cose ben distinte. Appare come una maschera, esattamente come quella che indossano talune persone cui abbiamo accordato tutta la nostra fiducia e che, d'un tratto, si rivelano essere spregevoli. O, ancora, come situazioni o scelte che ci apparivano positive e ragionevoli in un primo momento, salvo rivelarsi deleterie in un secondo.
Thomas Pedretti
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