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Autore: Mauro Zanetti
Il dipartimento dell'orso
Thriller Storico
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Il dipartimento dell'orso
Trento, 7 settembre 1808.

L'aria della mattina è fresca e scende dal monte Bondone incuneandosi tra le vie della città, il capo console si aggiusta sulle spalle il leggero mantello nero e osserva distrattamente la facciata della cattedrale di San Vigilio che si trova di fronte alla sua abitazione.
Nella piazza del Duomo alcune donne sono chine sui lavatoi, un uomo passa spingendo a mano un carretto colmo di verdure e due frati camminano confabulando tra loro a bassa voce. Scene di quieta e ordinaria vita cittadina che Zenatti guarda sospirando perché pensa di rimando alla giornata che invece lo aspetta, decisamente lontana da una serena normalità e con questi pensieri in testa si incammina verso il castello del Buonconsiglio, già intuendo quale sarà l'oggetto della discussione: un assassinio del genere deve aver turbato anche il capitano conte Welsperg che vorrà pianificare al meglio la gestione della faccenda.
Quando supera l'ingresso di quella che un tempo era stata la residenza del principe vescovo di Trento viene assalito da un sentimento misto di rabbia e malinconia, che però non ha tempo di elaborare perché è subito accolto dal segretario Bartolometti che si sbraccia concitato per attirare la sua attenzione.
Zenatti è già pronto al consueto scambio di frecciate velenose che da qualche anno caratterizza i dialoghi tra due uomini che un tempo erano stati colleghi e amici, ma lo sguardo preoccupato del segretario e la sua frase d'esordio gli fanno presagire una situazione diversa dal previsto.
«E'un disastro Manlio...», Zenatti non ricorda nemmeno l'ultima volta che Bartolometti lo ha chiamato per nome.
«Non stento a immaginare quali grattacapi vi stia procurando questo brutale ritrovamento...», dice fissando il suo interlocutore negli occhi, stanchi e solcati da profonde occhiaie.
«Ne hanno trovato un altro», aggiunge Bartolometti di getto, «ed è messo pure peggio del primo», aggiunge senza nemmeno guardarlo e avviandosi di gran passo verso il Magno Palazzo.
«Cosa diavolo hai detto?», il capo console è confuso e cerca di strappare delle informazioni aggiuntive ma il segretario cammina rapido attraverso le sale affrescate per raggiungere quella dedicata alle udienze.
«Seguimi, tra un attimo saprai tutto.»
In una manciata di secondi i due si trovano nell'ampio salone che già il principe vescovo Bernardo Cles utilizzava nel Cinquecento per ricevere i suoi ospiti, si tratta di uno spazio interamente affrescato dal pittore bresciano Girolamo Romanino, uno spettacolo per gli occhi e per l'anima.
Purtroppo, al di sotto dell'incantevole volta dipinta e ornata con stucchi si sta svolgendo un incontro tutt'altro che lieto: al centro c'è un tavolo in legno scuro con quattro sedute dagli alti schienali disposte tre su un lato e una su quello opposto, al centro è accomodato il capitano Welsperg e sulla sua destra un uomo sulla cinquantina, paffuto e con degli occhiali tondi calati sulla punta del naso. Nel posto alla sinistra si sistema Bartolometti dopo aver fatto accomodare Zenatti sull'unica sedia di fronte agli altri tre.
«Capo console Zenatti benvenuto», taglia corto Welsperg.
«Dovere e onore», risponde laconico Zenatti fissando tutti con i suoi occhi blu, magnetici e penetranti.
«Lui è Peter Gruber, di Innsbruck», dice Welsperg indicando l'uomo alla sua destra che accenna ad un saluto chinando appena il capo verso il basso. «E' il medico che ci sta aiutando in questa situazione complicata. Come vi ha anticipato Bartolometti questa notte è stato commesso un secondo omicidio e questo fatto cambia completamente la situazione, come può ben capire...», Zenatti si limita ad annuire muovendo il capo calvo e ossuto, così il capitano riprende a parlare.
«Io vi avevo convocato solo per invitarvi alla prudenza nel divulgare la notizia del primo rinvenimento e per cercare di capire assieme come comportarci nei confronti della cittadinanza ma adesso la faccenda è ben più grave», il capitano Welsperg si ferma massaggiandosi la barba bianca, ha il volto stanco e teso.
Approfittando di un attimo di silenzio è il medico ad intervenire nel racconto.
«L'uomo ucciso questa notte presenta delle profonde ferite sull'addome e gli squarci sono molto simili a quelli della prima vittima: si tratta di quattro lunghi tagli quasi paralleli che dal petto scendono sino all'inguine, apparentemente fatti imprimendo una forza notevole e con una lama molto tagliente», commenta il medico che parla con un forte accento austriaco ma in un ottimo italiano.
«Quindi sono stati uccisi entrambi dalla stessa persona», considera Zenatti pensieroso.
«A quanto pare direi di sì», risponde Gruber.
«Si conoscono i nomi delle due vittime?», il capo console gestisce da anni la vita cittadina e nonostante la situazione contingente sia eccezionale e mai vista, non vacilla un istante e rende subito chiaro ai suoi interlocutori di essere come sempre affidabile e pronto.
«Il primo è Carlo Merzi, un fabbro che aveva la bottega poco fuori le mura nella zona sud della città, abile e stimato perché forgiava le baionette per gli armigeri bavaresi, il luogo in cui è stato ucciso è un locale di sua proprietà che a detta dei famigliari Merzi usava come deposito», dice Bartolometti mentre sfoglia delle carte, «il secondo uomo si chiamava Luca Franchini di professione contadino e abitava sotto al Doss Trento, nel quartiere di Piedicastello.»
«Ho pensato che voi, Zenatti, potreste operare assieme al segretario Bartolometti in questa situazione così delicata, vi conoscete bene, siete entrambi molto esperti del contesto civico e sapete senz'ombra di dubbio come muovervi al meglio. Inoltre, il governo bavarese ripone in voi la massima fiducia», dice il capitano Welsperg.
Il capo console Manlio Zenatti deve mordersi le labbra per non rispondere in malo modo in un frangente che invece richiede la massima calma e professionalità, non può però fingere di non sapere che negli ultimi anni non si è vista traccia della fiducia di cui ora il capitano si riempie la bocca, né verso di lui singolarmente, né verso l'intero magistrato consolare.
«Sono sempre disponibile a collaborare per il bene comune della mia città», risponde Zenatti mettendo l'accento sul senso di appartenenza, «spero solo che sarò davvero libero di muovermi sul territorio senza sentire sempre sul collo il fiato bavarese», prosegue con fermezza. La faccenda si preannuncia lunga e difficile e il capo console preferisce rischiare subito lo scontro piuttosto che trovarsi invischiato in qualcosa di impossibile da gestire.
«Non fingerò di non sapere che i rapporti tra il nostro governo e il magistrato civico non sono stati facili e non lo sono tutt'ora», dice Welsperg con tono sereno, «ma credetemi che personalmente ho sempre apprezzato la vostra dedizione e il vostro lavoro, ricordatevi che io mi limito ad applicare le leggi e le disposizione che arrivano direttamente da Monaco e dal re Massimiliano I», il capitano appare sincero e per nulla indispettito dalla frecciata, e Zenatti è quasi imbarazzato.
«Vi credo e lo apprezzo, ad ogni modo adesso la cosa più importante è lavorare assieme per far luce sulla tempesta che si è abbattuta in città», risponde di conseguenza.
«Vi do la mia parola da uomo di onore che voi e Bartolometti sarete liberi di agire senza ingerenze, ho già provveduto ad avvisare il giudice Carpenteri che presiede il giudizio distrettuale e il capo delle guardie bavaresi, così come il comandante della guardia civica. Vi chiedo solo di riferire ogni scoperta in merito alle ricerche anche a Carpenteri, col quale poi mi confronterò personalmente, ora la lascio da solo con Bartolometti per pianificare le indagini», chiude Welsperg alzandosi e allontanandosi seguito dal dottor Gruber.
Rimasti da soli i due si fissano per qualche istante in silenzio, nell'aria aleggia una densa cappa fatta di sentimenti contrastanti: la preoccupazione per una situazione complessa e pericolosa, l'orgoglio per essere stati scelti e anche, forse soprattutto, il disagio per il loro rapporto personale che si era congelato negli ultimi anni e che ora dev'essere per forza sbloccato, in un modo o nell'altro.
«Sai bene Massimo che non ho mai capito né approvato la tua scelta di collaborare in modo così repentino coi governi stranieri, sin dalla prima invasione dei francesi, ma so quanto sei valido e mi fido del tuo intuito, quindi accantoniamo il passato e cerchiamo di sbrogliare questa diabolica matassa», come sempre Zenatti non si perde in inutili giri di parole e centra il punto con la precisione di un arciere provetto.
«La stima è reciproca Manlio e per quanto riguarda le mie scelte avremo modo di parlarne. Ma sono d'accordo con te, ora dobbiamo concentrarci sull'orrore che ci è piombato addosso», replica Bartolometti.
«Direi che sarebbe il caso di tornare sul luogo dell'ultimo ritrovamento», taglia corto il capo console ricevendo un cenno di assenso dal collega.

Mauro Zanetti

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