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Autore: Sonia Alcione
Dove inizia il male
Thriller
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Dove inizia il male
27 gennaio 1990.
Romina Gagliardi, ventiquattrenne, uscì elettrizzata dal negozio di oggettistica. Sua madre Noemi le era accanto e ridacchiava fra sé e sé.
“Beh, che hai da ridere?” Le chiese, conoscendo già la risposta.
“Mi sbaglio o eri tu quella che non voleva il fidanzamento ufficiale? Aspetta, come avevi detto: è antico!”
“Sono sempre dell'idea che sia una ricorrenza antica. Chi si fidanza più oggi giorno con tanto di scambio di anelli davanti alle famiglie, torta, brindisi e quant'altro? Nessuno! Solo quella tradizionalista della mia futura suocera poteva ambire a tanto. Però devo essere sincera, alla fine questa cosa mi ha conquistata, forse per tutto ciò che ci gira intorno. Una bella tovaglia ricamata, un bel centrotavola, quell'alzata per la torta in cristallo magnifica. Tanto paga lei.”
Romina e sua madre risero di nuovo, poi proseguirono con i loro acquisti.
Lei e Fabrizio erano fidanzati da un anno e mezzo e avevano iniziato a frequentare le rispettive famiglie dopo alcuni mesi, come ormai era consuetudine fare, anche se l'iniziativa era partita dal suo fidanzato. Lei avrebbe atteso ancora qualche mese, ma non si era tirata indietro.
Non c'era niente di male nel conoscere i rispettivi genitori e non sarebbe certo stata quella conoscenza a porre ostacoli, se mai le cose non fossero andate come dovevano.
Ma quando Romina aveva conosciuto i suoceri si era dovuta ricredere, aveva subito capito che in quella casa vigevano ancora delle regole e avrebbe dovuto adattarvisi.
Danila Milleri e Guglielmo Colli, rispettivamente cinquantadue e cinquantaquattro anni, sembravano essere stati prelevati da un film di inizio secolo e catapultati negli anni novanta.
Abitavano nella classica villetta bifamiliare anni settanta, su due piani, una piccola resede all'ingresso e un giardinetto sul retro, con annessa una stanza con tanto di forno a legna per le lasagne della domenica.
Sì, perché la domenica la lasagna era una consuetudine e, diventando la fidanzata di Fabrizio, Romina sarebbe entrata a far parte di quella tradizione.
Inizialmente era stato per lei anche divertente, ma col passare del tempo quella situazione era diventata un po' pesante. Anche perché in quella famiglia alzarsi dal tavolo dopo pranzo per uscire non era considerata una buona abitudine.
Così ne aveva parlato con il suo fidanzato e dopo qualche discussione erano arrivati a un compromesso: avrebbero pranzato a casa di lui una domenica al mese, un'altra domenica a casa di lei e le altre due si sarebbero ritenuti liberi.
In realtà i pranzi in casa Gagliardi avvenivano solo quando ai ragazzi faceva piacere, sia Noemi che Ernesto, il padre di Romina, erano di vedute ben più moderne e non volevano vincolarli in alcun modo. Erano giovani e dovevano fare ciò che si sentivano. Fabrizio e Romina però rimanevano spesso con loro, forse proprio per quel non obbligo nei loro confronti.
Su una cosa Romina era stata perentoria: il matrimonio, per cui la futura suocera stava scalpitando con la speranza di avere a breve dei nipotini. Romina stava studiando per diventare veterinaria, aveva quindi messo in chiaro che prima di sposarsi avrebbe voluto laurearsi.
A dire il vero non aveva tutta quella fretta di fare il grande passo, era innamorata di Fabrizio ma era troppo presto per prendere un impegno del genere.
Si era augurata che la scusa della laurea fosse servita a far desistere la suocera dalle mille iniziative a tal riguardo, invece aveva solo spostato la sua attenzione.
Da quel momento infatti, Danila Milleri aveva iniziato a tartassare la futura nuora, chiedendole di continuo notizie sull'andamento dei suoi esami.
Era stato durante il pranzo di Natale, svoltosi a casa dei Colli, che Danila se n'era uscita con la storia del fidanzamento ufficiale, affermando che era giunto il momento di dare una svolta seria, così l'aveva definita, a quel rapporto che non poteva essere considerato un fidanzamento in regola.
Romina aveva dovuto sforzarsi per non riderle in faccia e si era dovuta mordere la lingua per non suggerirle di farsi gli affari propri. Forse era stato lo sguardo ormai arreso del suo fidanzato a fermarla e si era limitata a dire che ne avrebbe parlato con Fabrizio per poi tornare sull'argomento.
Quel tentativo di cambiare discorso in modo elegante non era però stato recepito, o forse, cosa più probabile, Danila non si era curata delle parole della futura nuora e aveva iniziato a ipotizzare varie date in cui festeggiare l'evento.
Il culmine era stato raggiunto al momento dei regali. Romina aveva ricevuto dai futuri suoceri una scatola molto piccola, impacchettata con una carta natalizia e un fiocchino color oro, che scartò con curiosità.
Sebbene non avesse la tipica carta da gioielliere, considerate le dimensioni aveva pensato di trovare una collanina, un paio di orecchini o un braccialettino. Forse sua suocera aveva preferito incartarlo nuovamente per lasciarle la sorpresa fino in fondo.
Invece aveva trovato una scatolina di cartone anonima, all'interno della quale c'era una sorta di buono spesa del valore di un milione di Lire, da spendere presso un rinomato negozio di oggettistica per la casa.
Prima che Romina potesse dire qualsiasi cosa, Danila era intervenuta.
“Puoi comprare ciò che vuoi per la vostra festa di fidanzamento: una tovaglia per l'occasione, dei bicchieri, un centro tavola, posate... insomma quello che preferisci. È la vostra festa e non voglio interferire.”
Di nuovo Romina si era dovuta trattenere. Quella donna interferiva sempre. Aveva però apprezzato il regalo, Danila e Guglielmo avevano chiarito che il fidanzamento si sarebbe tenuto a casa loro, e grazie a quegli acquisti, l'apparecchiatura sarebbe stata più moderna.
Finalmente arrivò il tanto atteso 4 febbraio 1990, giorno del fatidico fidanzamento, e alle dodici e trenta in punto i Gagliardi si presentarono a casa Colli.
Quando entrò Romina si guardò intorno. Sua suocera si era davvero superata. Nella sala da pranzo c'erano grossi vasi colmi di rose bianche appoggiati ovunque e i divani laterali, di ottima fattura ma ormai desueti, erano stati coperti da dei copri divano damascati color panna.
Danila andò incontro a Romina e la salutò calorosamente.
“Complimenti per la scelta dell'apparecchiatura” le sussurrò, “credo che presto mi avvarrò dei tuoi consigli per rimodernare un po' questa casa.”
Romina gli sorrise, Danila era un po' impicciona, ma era una brava donna. Col tempo aveva capito di essere stata un po' invadente e aveva cercato di cambiare atteggiamento e Romina aveva fatto altrettanto, cercando di assecondarla senza farlo pesare troppo.
Romina guardò la tavola. Ora che ogni pezzo era stato assemblato era davvero stupenda.
Aveva optato per una tovaglia color panna con minuscoli inserti color oro, sottopiatti bianchi in abbinamento con i piatti, con il bordo leggermente ondulato, calici da acqua e vino leggermente stilizzati, il tutto con il bordo color oro.
I tovaglioli erano piegati a forma di ventaglio, il cui fondo era tenuto stretto da una sorta di anello color oro e al centro della tavola tre splendidi vasi in vetro erano colmi di rose bianche.
Anche la posateria era dorata, una novità per quel periodo in cui le tavole eleganti venivano ancora allestite con posate in argento.
Dalla cucina arrivava un ottimo profumo e non si trattava di lasagne. Danila era casalinga e dedicava molto tempo alla cucina, sfornando sempre ottime pietanze.
Non appena i sei commensali furono seduti, prima di iniziare a servire gli antipasti, Danila si fece il segno della croce.
Romina ebbe un inspiegabile brivido e nel giro di pochi attimi avvertì come una sensazione di pericolo. Non sapeva spiegarsi cosa le stesse accadendo e con gran fatica riuscì a mantenere la calma. Si era però assentata mentalmente dal resto del gruppo e solo la voce del fidanzato la riportò alla realtà.
“Romina? Ci sei?”
Lei gli sorrise.
“Scusatemi, avevo qualche pensiero in testa e mi sono distratta.”
Si fece servire l'antipasto e il pranzo ebbe inizio, anche se quel lieve turbamento l'accompagnò per il resto della giornata.
11 febbraio 1990
Per quanto Romina avesse sperato di potersi esimere, visto che la domenica precedente era stato festeggiato il fidanzamento, la suocera aveva preparato la lasagna, quella domenica era il turno di quella pietanza.
Aveva anche insistito molto, affermando di avere in serbo una sorpresa per loro.
Quando Romina entrò in casa notò subito la tavola apparecchiata per cinque persone. Non trascorse molto tempo, prima che il quinto invitato si presentasse.
Era Don Raffaele, il parroco che celebrava la messa nella Chiesa frequentata dai Colli. Romina dovette fare appello a tutta la sua buona volontà per non prendere la borsa e tornare a casa, aiutata anche da Fabrizio, il quale si era dichiarato ignaro di quella presenza, e che la sosteneva in pieno.
Come il pranzo iniziò, i discorsi caddero inevitabilmente sulla festa della settimana precedente.
Danila non smise neppure un minuto di parlare di quanto quella festa di fidanzamento l'avesse resa felice e di come si fosse vantata con le amiche sugli acquisti fatti dalla futura nuora, rendendo Romina comunque felice per la sua considerazione.
Passare dall'allestimento della tavola all'argomento matrimonio fu un attimo.
“A questo punto non resta che fissare una data!” Se ne uscì Danila sotto lo sguardo meravigliato di Fabrizio e Romina e sostenuta dal sorriso di Don Raffaele.
“Beh, che c'è da guardare in quel modo? Ormai siete fidanzati ufficialmente. Secondo me il miglior periodo sarebbe la primavera...”
“Mamma ne abbiamo già parlato diverse volte” la interruppe Fabrizio ignorando completamente il prete, “Romina vuole prima laurearsi e non c'è tutta questa fretta. E poi ritengo che dobbiamo essere noi ad affrontare il discorso.”
Romina gli sorrise con riconoscenza, non voleva rispondere in modo sgarbato a Danila ma non voleva che interferisse anche nel loro matrimonio.
“Era tanto per parlare... e comunque se il vincolo è lo studio, può continuare a farlo anche dopo le nozze.”
“Vedremo” Romina non poté fare a meno di intervenire, dopo che la suocera si era rivolta direttamente a lei.
Danila sembrò accusare il colpo ma non si fermò.
“Ma voi avete idea di quanto tempo occorra per organizzare un matrimonio? Fai in tempo a laurearti di sicuro. La figlia di una mia amica si è sposata e ha fissato quasi due anni prima. Le location, quelle belle, sono molto richieste, e poi va scelta la Chiesa, si deve parlare col parroco, vanno scelti i fiori, l'abito, le bomboniere e mille altre cose. Don Raffaele vuoi provare a convincerli tu?”
Al prete non occorse tempo per comprendere che i due ragazzi erano all'oscuro della sua presenza e che l'idea di fissare quella data era partita da Danila.
Don Raffaele aveva sessantacinque anni e conosceva Danila ed Ernesto da quasi trenta. Lei era una bravissima donna, ma era anche davvero molto entrante. Dopo aver notato un certo imbarazzo in Fabrizio e Romina, Don Raffaele si alzò, si avvicinò dietro le loro sedie e mise una mano sulla loro spalla, in segno di abbraccio.
“Non vi preoccupate, sono d'accordo con voi che non ci sia alcuna fretta, ma non dimenticate le parole di Danila, è vero, per organizzare un matrimonio com'è di moda ora, ci vuole del tempo...”
Romina si accorse che la voce del parroco andava via via sbiadendo. D'improvviso aveva sentito il sangue ribollirle nelle vene e il tremito pervaderle tutto il corpo.
La gola le si era seccata, il respiro iniziava a farsi affannoso, e le parole di quell'uomo continuavano a essere distanti, come se qualcuno parlasse sottovoce mentre si allontanava.
Attese ancora qualche istante nella speranza che quella sensazione sparisse, poi senza dire niente, si alzò e corse in bagno, si chiuse la porta alle spalle e si bagnò il viso con la spugna inumidita. Nel giro di due secondi qualcuno bussò alla porta. Era Fabrizio.
“Solo un attimo.”
Di nuovo passò la spugna sul viso, doveva fare attenzione a non sciuparsi il trucco per non dover dare troppe spiegazioni e soprattutto doveva calmarsi. Quando aprì la porta, Fabrizio si accorse subito del suo sguardo.
“Che ti succede? Sei sbiancata, sembrava avessi visto un fantasma.”
Romina abbozzò un sorriso, ciò che aveva provato quando il parroco aveva toccato le loro spalle le aveva fatto lo stesso effetto di un fantasma, forse anche peggiore, ma non poteva dirglielo, anche perché non avrebbe saputo neppure spiegare di cosa si era trattato.
“Scusami ma il nervoso ha avuto il sopravvento. Non sopporto questo lato caratteriale di tua mamma e trovare quel prete mi ha infastidito.”
Fabrizio l'abbracciò sorridendo e lei si augurò di averlo convinto.
“Ti capisco, purtroppo mia mamma si è fissata con questo matrimonio. Stasera quando saremo soli vedo di parlarci. Grazie comunque per la tua pazienza.”
I due tornarono al tavolo e Romina cercò di nascondere quell'agitazione che ormai si era impadronita di lei, mentre Danila e Guglielmo le chiesero cosa fosse accaduto.
Farfugliò la prima cosa che le venne in mente, poi cercò di calmarsi e proseguire il pranzo, che le sembrò più lungo del solito.
Danila continuò imperterrita la sua tiritera sul matrimonio e quando, a metà pomeriggio, quel supplizio ebbe finalmente fine, Romina chiese a Fabrizio di accompagnarla a casa, millantando un'emicrania improvvisa.
Solo quando poté chiudersi in camera sua diede sfogo a tutto ciò che aveva represso fino a quel momento.
Quando Don Raffaele le aveva poggiato la mano sulla spalla aveva avuto un brivido e qualcosa di sinistro si era insinuato nella sua mente.
Aveva avuto paura, nella sua testa era apparsa una visione che oltre a incuterle paura, le aveva quasi fatto provare un dolore fisico. Davanti ai suoi occhi erano passati una casa, dell'acqua, una bambina che piangeva e un adulto vestito di scuro che la strattonava per un braccio. Tutto pareva molto confuso, tranne il volto di una donna, nitido al punto da non lasciare dubbi su chi fosse: sua madre.
La sua figura era ricurva su quella bambina e lo sguardo era severo. Romina aveva quasi udito la voce di sua madre che raccomandava a quella creatura di non dire niente al padre, altrimenti si sarebbe arrabbiato.
Si coricò con quel pensiero e quando alle sette e cinquanta la sveglia suonò, dovette aggrapparsi a tutte le sue forze per alzarsi.
Aveva trascorso la notte in bianco nel ripensare a quelle sensazioni alle quali non sapeva neppure dare un nome. Potevano esserci diverse spiegazioni, forse era stato un sogno inquietante che aveva fatto nei giorni precedenti e del quale, al mattino, si era scordata. Ma in quel caso, perché quell'angoscia, perché quei sentimenti poco piacevoli che avevano pervaso il suo corpo? Sicuramente non erano ricordi, per quanto in quella visione ci fosse il volto di sua madre, quella piccolina non le ricordava nessuno.
Ripensò anche a quel lieve disagio durante il pranzo del fidanzamento... era suonato strano. Tutto sembrava strano.
Si rese conto che lei e Fabrizio non avevano mai approfondito l'argomento matrimonio. Era scontato che quell'unione fosse sul loro cammino perché a volte ne avevano parlato e sapeva che Fabrizio sarebbe già stato pronto. Aveva comunque sempre assecondato le priorità di Romina e l'aveva sempre sostenuta con sua madre.
Romina sapeva che Danila avrebbe desiderato una cerimonia religiosa e il giorno prima gliene aveva dato conferma. Lei invece avrebbe voluto sposarsi in comune ma aveva deciso di discuterne col fidanzato una volta arrivati al dunque.
Né lei né la sua famiglia frequentavano la Chiesa, fino a quel momento non ricordava di esserci mai andata e non erano mai stati affrontati argomenti religiosi.
Piano piano riuscì ad allontanare quei pensieri, forse non trovava alcuna spiegazione perché spiegazioni non ce n'erano.
Si fece una doccia rigeneratrice e andò all'università.
22 febbraio 1990
Alle sedici Fabrizio chiamò Romina.
“Mi ha appena telefonato Cecilia, martedì c'è una grande festa per l'ultimo di carnevale in un locale del centro. Che dici, andiamo?”
“Se non dobbiamo mascherarci sì, altrimenti così a ridosso non saprei cosa inventarmi.”
“Hai ancora quel vestito blu che mi hai fatto vedere in foto?”
Romina rise.
“Quello da puffo?”
“Si, proprio quello.”
“Non se ne parla, non me lo metterei neppure se mi pagassero!”
“Ma dai che ti importa? È giusto per fare due risate.”
“No, non mi convinci” proseguì Romina “non voglio passare da ridicola. Tu invece cosa ti metti?”
“Non so, ci penso un attimo.”
“Mancano pochi giorni, senti andiamo vestiti normalmente, non saremo certo gli unici.”
Fabrizio non fece in tempo a replicare che Romina riprese la parola.
“A meno che...”
“A meno che?” Ribadì lui.
“Credo di avere l'abito giusto. Qualche anno fa andai in Marocco con i miei genitori e ricordo che partecipammo a una serata tipica. Ci comprammo dei vestiti marocchini, dovrebbero essere in soffitta.”
“Bene, allora direi che è fatta.”
“Se mi sta ancora.”
“Beh, dalle foto che mi hai fatto vedere sei sempre rimasta la stessa. Allora vedrò come organizzarmi io.”
“Ti prendo quello di mio padre, a lui sicuramente non serve. Vado a dare un'occhiata e ti richiamo.”
I due parlarono qualche minuto al telefono, poi Romina salì in soffitta. Quella degli abiti marocchini era una bella idea e avrebbe lasciato prendere un po' d'aria fresca a quei due capi d'abbigliamento.
Lei e i genitori abitavano al Galluzzo, a due passi dal centro di Firenze, in una casa a due piani oltre una soffitta che correva sopra tutta la casa.
Per quanto suo padre si fosse ingegnato per illuminarlo il più possibile, quel soffitto a travi color marrone scuro la rendeva buia. Romina non c'era mai entrata, sia perché non ne aveva mai avuto motivo, sia perché era piuttosto timorosa. Ma la festa di carnevale era alle porte, così si fece coraggio e salì.
Lo scricchiolio del pavimento l'accompagnò per tutto il tragitto fino al vecchio armadio, posto dal lato opposto dell'entrata.
Romina cercò di non farsi intimorire, era solo legno.
Rimase affascinata dalla quantità di oggetti presenti in quella soffitta. C'erano due armadi vecchi ma di buona fattura, delle scatole accatastate con cura e tre cassettiere alte, oltre a vari oggetti piazzati in terra con sopra dei teli per evitare che si impolverassero.
Trovò gli abiti nel secondo armadio, ben riposti sotto un cellophane, e tirò fuori le grucce alle quali erano appesi.
Estrasse sia il suo, sia quello che aveva acquistato sua madre, chiuse l'anta e se li appoggiò davanti per guardarsi allo specchio esterno. Preferì il suo, in un brillante color verde con inserti bianchi e panna.
Romina aveva capelli e occhi neri e quel colore avrebbe dato gran risalto al suo viso.
Inoltre sarebbe stato un bell'abbinamento con quello di suo padre, che aveva fondo nero e dei disegni damascati color oro.
Portò giù il tutto e mise i vestiti in giardino, in modo da dare una rinfrescata a entrambi.
Solo allora si ricordò di aver acquistato anche dei turbanti e degli accessori, così tornò in soffitta e si mise alla ricerca.
Dopo aver a lungo controllato di nuovo due armadi, pieni di cose vecchie e ormai inutilizzabili, passò alle cassettiere, quella volta con successo.
Durante quella ricerca si era resa conto che in quella soffitta c'erano molte più cose di quanto pensasse. I timori erano scomparsi, così Romina iniziò a curiosare fra le tante cose presenti: in una scatola trovò un giradischi arancione, di gran moda negli anni ‘70, una macchina fotografica usa e getta, un'altra istantanea ma di buona qualità, un vaso da notte di metallo, un telefono grigio con la rotella trasparente.
Decise di approfondire quella ricerca e trovò molti altri oggetti ad alcuni dei quali non riuscì a dare né un nome, né un utilizzo.
Dopo quasi mezzora trascorsa a scoprire varie cose del passato, si diresse verso un baule, posizionato al lato, proprio sotto la parte più bassa della soffitta. Era coperto da un bello strato di polvere, così diede una soffiata e alzò leggermente il coperchio.
In quel momento il suono del campanello la distolse dalla ricerca. Scese e andò ad aprire, per poi dimenticarsi della soffitta e del baule.
Noemi Fallaci ed Ernesto Gagliardi erano proprietari di un importante negozio di scarpe nella periferia di Firenze. Ernesto rincasava sempre intorno all'ora di cena mentre Noemi arrivava a casa poco dopo le diciotto per preparare la cena. Durante il periodo Natalizio o durante i saldi era Romina che se ne occupava, dato che i loro orari si allungavano.
Quella sera sua madre rincasò alle diciotto e trenta e come mise piede in casa notò gli abiti marocchini che Romina nel frattempo aveva rimesso in casa.
“E questi?” chiese Noemi con aria incredula.
“Sono i vestiti che abbiamo acquistato in Marocco, ricordi? Sono andata a prenderli in soffitta...”
Sua madre non la fece neppure finire.
“Non devi andare in soffitta da sola!”
Noemi la guardò ridacchiando.
“Mamma! Sono paurosa ma non fino a questo punto!”
“Non è una questione di paura” aggiunse subito, cercando di mostrarsi calma “ma potresti scivolare, sentirti male. Insomma se hai bisogno di salire è meglio se lo fai quando ci siamo anche noi.”
“Dai mamma smetti, non mi devo mica arrampicare su una scala retrattile. C'è una rampa che va in soffitta esattamente come quella che va in camera mia. O devo aspettare voi anche per salire in camera?”
“È una cosa diversa, in soffitta non c'è telefono, se ti dovessi sentire male cosa faresti?”
Romina aveva quasi deciso di non dare seguito alle parole di sua madre, poi prese la palla al balzo.
“Motivo in più per comprarmi un cellulare.”
Sua madre alzò gli occhi al cielo, poi andò a cambiarsi prima di mettersi intorno ai fornelli.
Romina aveva approfittato di quella frase per lanciare un nuovo attacco. Da tempo desiderava un telefonino che i genitori, fino a quel momento, le avevano negato. Erano ancora abbastanza costosi e ritenevano che lei non ne avesse bisogno.
Comprese che anche quel tentativo era fallito e andò in camera sua a chiamare il fidanzato dall'apparecchio fisso.
7 marzo 1990
Alla festa di carnevale gli abiti marocchini avevano riscosso enorme successo ed erano risaltati in mezzo a tante maschere improvvisate. Il giorno successivo Romina li aveva portati in lavanderia e dopo averli ritirati decise di riporli nell'armadio in soffitta.
Se sua madre avesse avuto da ridire avrebbe atteso il rientro del padre e sarebbe tornata sul discorso cellulare, quella volta con un po' più d'insistenza.
Sistemò i due vestiti con cura nell'armadio e mentre usciva qualcosa catturò la sua attenzione.
Il vecchio baule era stato spostato in un angolo e un lucchetto lucido spiccava alla chiusura a cerniera.
Rimase a fissarlo alcuni istanti. Ricordava molto bene che quel baule era aperto la settimana precedente, anche perché aveva alzato leggermente il coperchio prima di essere interrotta dal suono del campanello.
Si chiese cosa potesse custodire per essere stato serrato così gelosamente. Forse qualche segreto appartenente ai suoi genitori?
Quel pensiero la attrasse, provò a muoverlo energicamente ma il lucchetto era nuovissimo e le speranze di scardinarlo erano pari allo zero.
Quel pensiero buffo, che all'interno si celasse qualche segreto di famiglia, divenne improvvisamente reale. Doveva aprirlo, a tutti i costi. Magari avrebbe trovato solo qualche sciocchezza, ma ormai la curiosità le era entrata addosso.
Scese al piano terra e iniziò a frugare nel mobiletto dove erano riposte le varie chiavi, però non ce n'erano di nuove.
Tornò su, aveva dato per scontato che si trovassero insieme alle altre, ma potevano anche essere state messe in uno dei cassetti in soffitta.
Fu anche quella una ricerca inutile, di quelle chiavi non c'era traccia.
Di colpo qualcosa iniziò a non tornare. Ripensò alle parole di sua madre e il modo in cui l'aveva redarguita per essersi recata da sola in soffitta. Noemi non era la classica madre apprensiva, non ricordava lo fosse mai stata e quel comportamento fin troppo protettivo non era da lei.
Andò in camera dei genitori e cercò nei cassetti, facendo attenzione a non lasciare niente fuori posto, si spostò anche nello studio del padre e controllò nella libreria e nella cassettiera, di nuovo senza successo.
Alla fine si arrese, forse ricordava male.
Eppure era convinta di aver aperto quel baule prima di scendere.
Non appena la cena con i genitori ebbe inizio, Romina tirò fuori l'argomento per portare la conversazione sull'acquisto del cellulare, rivolgendosi alla madre.”
“Oggi sono tornata in soffitta e come vedi sono viva e vegeta.”
Ernesto le guardò entrambe, poi si rivolse a sua figlia.
“Pensavi di trovare qualche fantasma come si vede nei film?”
“No, la mamma temeva per la mia salute” rise Romina guardando sua madre con tono canzonatorio.
“Tua figlia fa la spiritosa perché giorni fa le ho suggerito di non andarci da sola” intervenne a quel punto Noemi. “Ma forse sono stata esagerata, ora me ne rendo conto.”
L'uomo sembrava non comprendere quel colloquio fra moglie e figlia, fino a quando Romina raccontò ciò che si erano dette.
“Mi pare esagerato” disse infine Ernesto a sua moglie “non ci sono pericoli ad andare in soffitta. E poi credo che Romina sia sufficientemente grande.”
“E infatti oggi c'è tornata e non ho detto niente.” Il tono di Noemi non passò inosservato a Romina, lei però preferì lasciar perdere e i discorsi sulla soffitta lasciarono presto spazio ad altre argomentazioni.
A fine cena, dopo essersi chiusa in camera sua, nella mente di Romina iniziarono però a frullare delle idee.
La sera in cui aveva cercato gli abiti marocchini era andata a cena fuori con Fabrizio ed era uscita prima che suo padre tornasse a casa, evidentemente sua mamma non lo aveva informato sulla loro conversazione.
In effetti, ci sarebbe stato poco da dire, ma dall'agitazione mostrata da Noemi in quell'occasione, le era anche sembrato strano che si fosse tenuta per sé quella preoccupazione.
Però poco prima aveva notato che sua madre aveva cambiato atteggiamento. Cos'è che l'aveva fatta calmare in quel modo?
No, c'era sicuramente un'altra spiegazione e ora non aveva più dubbi, la settimana precedente lei quel baule l'aveva aperto e doveva capire perché era stato messo quel lucchetto.
Romina trascorse il giorno successivo a cercare quelle chiavi. Ormai era diventato un punto d'impegno e dovevano saltare fuori. Non comprendeva neppure il motivo per cui non si trovassero nello stesso posto dove c'erano tutte le altre.
Quel pomeriggio attese che sua madre entrasse in doccia e guardò nella sua borsa. Dentro la zip laterale trovò tre piccole chiavi raccolte in un anello di metallo. Emise un sospiro. Erano sicuramente quelle del lucchetto, ed erano nascoste nella borsa di sua mamma.
D'istinto le estrasse, poi le ripose dopo qualche istante. Aveva un'unica carta in mano e doveva giocarla bene, se sua madre si portava dietro quelle chiavi c'era un motivo e per nessuna ragione doveva accorgersi che erano sparite.
10 marzo 1990
Alle dieci e dieci Romina entrò nel negozio dei genitori, di tanto in tanto si fermava da loro, quindi non si sarebbero meravigliati della sua presenza.
Appoggiò la borsa sotto il banco, vicino a quella di Noemi, e si sedette sullo sgabello, in attesa dell'arrivo di qualche cliente che distraesse i genitori.
La sua attesa non si protrasse a lungo, poco dopo entrò una signora per provare alcuni modelli.
Romina approfittò del momento in cui sua madre era intenta a parlare con la cliente e suo padre si era recato sul retro a prendere le scatole con le scarpe nella misura richiesta. Fingendo di prendere un fazzoletto dalla sua borsa, aprì quella di Noemi e tirò fuori il mazzetto di chiavi, attese qualche minuto e uscì, con il cuore che le andava a mille.
Si recò in un negozio di ferramenta a far fare una copia, poi tornò al negozio con la scusa di volersi provare un paio di scarpe della nuova collezione, che aveva visto sul retro poco prima.
Durante una nuova distrazione dei genitori rimise a posto le chiavi originali, salutò e tornò a casa.
Finalmente avrebbe scoperto cosa nascondeva quel baule.
Come entrò in casa non si tolse neppure le scarpe, salì velocemente in soffitta e inserì la chiave nel lucchetto. La serratura si aprì senza alcuna difficoltà.
Romina sorrise e alzò il coperchio quasi in preda all'emozione, chissà cosa avrebbe trovato dentro.
Ma il suo entusiasmo si placò non appena il contenuto fu visibile. Quel contenitore era quasi vuoto, sopra c'erano dei grembiulini da scuola, probabilmente i suoi, e una cartella con il pelo di cavallino sulla patta.
Quel dettaglio la fece sorridere, lei non sarebbe mai andata a scuola con un oggetto del genere. Ma non poteva escludere che fosse la sua, non ricordava niente di quegli anni. Non capiva però perché quelle cose fossero state rinchiuse in quel modo.
Alzò alcuni vecchi giornali, erano davvero tanti, per vedere se sotto si celasse altro. Trovò tre mazzi di chiavi, sembravano tutte uguali e un peluche sporco. Mentre riponeva i giornali, da uno di essi sbucò fuori una busta di carta, nella quale c'erano due foto che catturarono la sua attenzione.
Di nuovo si sentì pervadere da una sensazione nota. Paura, dolore fisico. Cercò di calmarsi ma le mani avevano iniziato a tremare e non rispondevano più agli impulsi che lei tentava di inviare.
In una era raffigurata una casa che si rifletteva nell'acqua, probabilmente un lago perché intorno c'era molto verde. L'edificio era identico a quello presente nella breve visione avuta pochi giorni prima.
Nell'altra si vedeva una tavola apparecchiata vicino a una balaustra e dietro spiccavano dei palloncini colorati e uno striscione con su scritto: buon compleanno Romina. Sul retro, scritta a penna, la data: 4 marzo, il giorno della sua nascita, e l'anno, 1973.
In quel momento iniziò di nuovo a tremare, a provare quella paura e quel dolore fisico. Adesso quel visino non le era nuovo, perché somigliava molto a quello della visione.
Si asciugò la fronte, nonostante quella soffitta fosse gelida sentì le gocce di sudore scivolare sulla fronte. Quella paura incontrollabile e quel dolore fisico si erano nuovamente affacciati. Ebbe come l'impressione di avere fra le mani la tessera di un puzzle che le era stato nascosto.
Scese di corsa le scale e andò in salotto. Nei mobiletti bassi della libreria c'erano diversi album di famiglia. Li tirò tutti fuori e iniziò a sfogliarli velocemente.
Erano indicate diverse date, la più vecchia risaliva al maggio del 1978, all'epoca lei aveva 12 anni.
I suoi le avevano sempre detto che le fotografie della sua infanzia erano andate perdute in occasione del trasloco, avvenuto molti anni prima.
Romina non poteva escludere che ciò fosse avvenuto, ma quelle due foto non potevano essere finite in mezzo a quei giornali per puro caso. Anche perché non ci sarebbe stato motivo di chiudere a chiave quel baule in fretta e furia.
Rimise tutto a posto, doveva però scoprire dove avesse abitato prima di trasferirsi, forse sarebbe riuscita a capire qualcosa in più.
Tornò in sala e continuò a guardare gli album, cercando in ogni persona di riconoscere quell'uomo vestito di scuro. Nella sua visione non lo aveva visto in volto e non avrebbe saputo dargli un'età, ma era convinta che in qualche modo appartenesse a quel contesto.
Passò il resto della giornata a rimuginare. Era ormai abbastanza chiaro che quella visione non fosse un sogno ma un breve ricordo. Doveva solo capire perché le avesse provocato quei sentimenti poco piacevoli e perché quel disagio fosse sfociato in lei quando il parroco si era avvicinato.
Si rese conto di essere tormentata da mille domande e riuscì ad allontanare quei pensieri solo nel tardo pomeriggio, quando andò a prepararsi per uscire.
Quella sera Romina e Fabrizio trascorsero la serata in un locale dove, oltre a cenare, potevano ballare. In più di un'occasione Fabrizio aveva dovuto spronarla a rispondere, lei pareva assorta in altri pensieri.
E in effetti era così, la sua mente era altrove.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma qualcosa le faceva associare quell'incontro con il parroco a quelle foto ritrovate, anche se aveva la sensazione che mancasse qualcosa. Il parroco... l'uomo vestito di scuro... che fosse stato un prete la figura che le era apparsa? Forse la lontananza dalla Chiesa della sua famiglia aveva a che fare con il mondo religioso?
“Romina insomma, stiamo parlando con te!”
La voce quasi perentoria di Fabrizio l'allontanò di colpo da quei pensieri.
“Scusa avevo la testa altrove.”
“Lo vedo. Ti va domani una gita al mare insieme a Cecilia e Leandro?”
“Sì, mi va bene qualsiasi cosa.”
Anche se aveva risposto la prima cosa che le era venuta in mente, era vero che le sarebbe stato bene qualsiasi programma. Danila era influenzata e la domenica di turno della lasagna era saltata. Lei era stata ben chiara che non sarebbe stata sostituita con quella successiva ma che avrebbero seguito il calendario e Fabrizio le aveva assicurato che avrebbe fatto il possibile, anche se Danila aveva già messo le mani avanti per la domenica successiva.
Cecilia e Romina si erano conosciute all'età di undici anni e da quel momento erano state inseparabili. Anche se si era fidanzata prima di Romina, non si erano mai perse di vista e l'una sapeva tutto dell'altra. Oltretutto abitavano nella stessa strada e spesso la sera, quando non uscivano, si vedevano a casa di una di loro.
Cecilia aveva captato una nota stonata nell'affermazione della sua amica e si era ripromessa di chiederle cosa la turbasse. Sapeva che l'ultimo pranzo con la futura suocera l'aveva molto infastidita e si era augurata che non avesse influito negativamente nel rapporto con Fabrizio.
Romina cercò di dedicarsi alla serata anche se non fu facile, aveva però notato un certo nervosismo nel suo fidanzato che non voleva alimentare.
Era stata indecisa fino all'ultimo momento se parlargli o meno di quelle foto.
Da quel punto di vista erano diversi, lei, molto attenta e pignola, doveva trovare una spiegazione a tutto ciò che le ruotava intorno e amava avere il controllo delle cose. A volte aveva perso nottate di sonno a inseguire qualche pensiero che poi si era tradotto in una perdita di tempo. Ma era il suo carattere e non poteva farci niente.
Fabrizio invece era l'esatto opposto. Era distratto nei confronti di ciò che il resto del mondo faceva, “non mi interessa ciò che fanno gli altri...” era la frase più ricorrente, e non amava fare progetti troppo a lungo termine.
Inizialmente Romina lo aveva quasi ritenuto un tipo superficiale, ma con l'andare del tempo, e soprattutto dopo aver conosciuto sua madre, aveva iniziato a capire e condividere il suo modo di pensare. Non doveva essere semplice vivere con una donna che intendeva gestire la vita del marito e del figlio e che non perdeva occasione per ficcare il naso nelle decisioni altrui.
Quella differenza caratteriale però si era rivelata vincente e ognuno di loro era riuscito a smussare qualche angolo e li aveva resi una coppia solida.
Era però convinta che in quell'occasione lui non l'avrebbe capita, così non gli aveva detto niente.
In fondo si stava scervellando per trovare un nesso fra una sensazione e quelle due fotografie. Perché qualcosa le diceva che un nesso esisteva, ma avrebbe potuto sbagliarsi col rischio di fare una figuraccia.
Il giorno successivo, domenica, Fabrizio e Leandro erano intenti ad ascoltare la telecronaca della partita alla radio e Cecilia ne approfittò per chiedere a Romina di fare una passeggiata sulla spiaggia.
“Vuoi dirmi che ti succede?”
La domanda di Cecilia colse Romina alla sprovvista. Se glielo avesse chiesto qualche ora prima forse si sarebbe aperta con lei e le avrebbe raccontato cosa l'affliggeva.
Ma in quelle ultime ore ai suoi pensieri se ne erano aggiunti altri che le avevano ulteriormente dato da pensare. Prima di confidarsi con lei voleva fare chiarezza e voleva farlo da sola.
“Niente, tranquilla, devo ancora digerire la bella sorpresa di Danila.”
Cecilia rise.
“Avrei voluto essere lì e godermi la scena. Alla prossima lasagna ti farà trovare fioraia e musicista.”
Romina rise, Cecilia aveva creduto alle sue parole e dopo aver scherzato ancora un po' su Danila, l'argomento fu chiuso.
Ma non per Romina, la quale al rientro dal mare si trovò a fare i conti con la realtà. Una realtà che altro non era che una conferma che dietro a quella foto e quelle sensazioni doveva esserci altro.
L'immagine che la ritraeva nel giorno del suo settimo compleanno era stata scattata sulla riva di un lago ed era evidente che non si trattasse di un ristorante.
I suoi le avevano raccontato di aver abitato in campagna ma non le avevano mai parlato di laghi.
Inoltre anche la storia delle foto perse durante il trasloco iniziava a non quadrare.
Le avevano detto di aver traslocato quando lei aveva sette anni, ma se gli album della sua infanzia erano stati persi in quell'occasione, dov'erano quelli dei successivi cinque anni? Di sicuro non erano stati perduti e trovava impossibile che non le avessero scattato altre foto.
Di colpo si accese una lampadina nella sua testa. Come aveva fatto a non pensarci prima? Noemi era nata a Barberino di Mugello, e se quelle foto fossero state scattate sul lago di Bilancino?
Le risuonarono in testa le parole di sua madre, preoccupata che fosse salita in soffitta. Forse la sua preoccupazione era rivolta al contenuto di quel baule, per quel motivo si era prodigata per chiuderlo con un lucchetto.
Quindi c'era un motivo per cui quelle foto erano state nascoste e messe sotto chiave e Romina decise che lo avrebbe scoperto.

Sonia Alcione

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