Dark and Light - Amore Impossibile
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Si diceva che l'isola fosse stata scoperta solo cent'anni prima e che le sue città fossero state rinominate nel tempo per un'ombra oscura che aveva iniziato a ricoprire tutto il suo territorio. Chi solitamente si trasferiva lì, lo faceva per stare lontano dal caos delle metropoli e non di certo per lavoro: come si poteva sperare di aver carriera in mezzo al nulla? Certo, nonostante la sua grandezza racchiudeva molte strutture di filiali importanti e abbastanza scuole, ma nessuno avrebbe mai scelto quella meta per migliorare la propria vita: a meno che non si avessero soldi a sufficienza per poter star bene ovunque. Ed era proprio grazie a quella fortuna che Monique Dupré, una vedova con una fruttuosa carriera da manager aziendale alle spalle, aveva deciso di abbandonare la chiassosa New York per trasferirsi a Shadow City in compagnia della sua unica figlia, Isabel. A un anno dalla dipartita di suo marito Michele McKansy, la donna aveva deciso di tagliare i ponti col passato e di ricominciare da zero. Nonostante l'ottimo lavoro che le occupava più della metà delle giornate, distraendola dalla sua vita di tutti i giorni, il dolore continuava a corroderla dall'interno e l'unica soluzione alla sua depressione fu quella di trasferirsi.
- Non vedo l'ora di rivederti, angelo mio! Vedrai che quando ti ritroverai davanti la nostra nuova casa, mi perdonerai di averti preceduta un mese prima per sistemare tutto. Chiamami quando sei all'uscita. Mamma. -
Isabel sospirò subito dopo aver letto ed aver risposto semplicemente con uno smile: l'aeroporto di Shadow City era accogliente, ma ai suoi occhi nulla avrebbe avuto la bellezza del luogo in cui era cresciuta. Quando sua madre aveva preso la decisione di trasferirsi su quell'isola sperduta, sarebbe stata una bugiarda a dire che dopo vent'anni di vita era indifferente all'idea di abbandonare casa, amicizie, abitudini e i sogni di frequentare un college degno di nota. Ma in fondo cos'altro poteva fare? Avrebbe potuto lottare per restare a New York, lo sapeva bene, bastava insistere un po' e sua madre avrebbe ceduto, ma non aveva avuto il coraggio di essere talmente egoista. Specialmente dopo quel principio di depressione che aveva minacciato di presentarsi per tutto l'anno di lutto in cui avevano costantemente vissuto. Si era presa un anno sabbatico prima di scegliere il college da frequentare, per stare vicino a sua madre, e poi avrebbe dovuto darle il benservito spedendola da sola su quell'isola? Suo padre era un uomo giusto, un marito amorevole e un genitore meraviglioso, ma il destino, o Dio, aveva deciso di portarselo via senza nemmeno dargli modo di dirsi addio. Avevano ancora un'infinità di esperienza da vivere insieme: insegnarle a pescare, andare in Grecia un'estate qualsiasi e... beh, dovevano vivere ancora a lungo insieme e basta. Mentre si muoveva in mezzo alla folla dell'aeroporto, le vennero alla mente, improvvisamente, i racconti di come i suoi genitori si erano incontrati: suo padre era andato in Francia per un lavoro di tre mesi in un cantiere nel centro di Parigi. Proprio mentre era lì a fare il suo dovere, una donna isterica per essere stata appena derubata gli era finita addosso, inveendo contro di lui perché le aveva fatto perdere di vista il ladro. Fortunatamente Michele McKansy aveva tanta, forse, troppa pazienza e l'aveva invitata a prendere un caffè per farla calmare... e da lì era iniziata la loro storia. I suoi pensieri vennero interrotti solo quando, ferma davanti al nastro dei bagagli, Isabel si accorse che la sua valigia fuxia era bloccata e non riusciva a raggiungerla. Scosse la testa e spalancò i suoi occhi azzurri accorgendosi che era tutta colpa di una ruota mancante, persa chissà dove. - Benvenuta, Isabel: tutto preannuncia una bellissima vita qui già dai primi minuti - sbuffò chinandosi sulle ginocchia per controllare che non fosse accaduto qualcosa di irreparabile. Fece forza per issare la valigia e appoggiarla accanto a lei e, nel momento esatto in cui stava ricomponendosi, qualcosa la urtò da dietro. Finì seduta a terra e il borsone che aveva in mano si aprì sparpagliando buona parte del suo contenuto sul pavimento. - Questa è una congiura! - si lamentò, massaggiandosi la schiena dolente, mentre si sbrigava ad alzarsi. - Non so se pensare che tu sia solo sbadata o che abbia i sensi di ragno pronti ad attaccare chiunque ti si presenti alle spalle - fu una voce dal tono divertito e dal timbro abbastanza maturo a rivolgerle quelle parole, quindi aveva urtato contro qualcuno e non qualcosa! Si fece forza e studiò lo sconosciuto che le si era fermato davanti: scarpe ginniche, jeans chiaro, camicia azzurro cielo e... sentì le gote arrossire nel preciso istante in cui i suoi occhi si posarono sul viso di quello che sembrava essere un suo coetaneo. La figura slanciata del giovane e la carnagione pallida facevano da contorno a quel viso né infantile né adulto, i cui occhi neri come la pece sembravano risaltare, nonostante alcune ciocche di capelli corvini, sfilzati poco oltre le sue sopracciglia, li coprissero appena. Lo vide chinarsi per raccogliere la sua borsa e le poche cose sparse sul pavimento, prima di gettarle al suo interno senza attenzione e soffermarsi su un romanzo che era scivolato fuori con le altre cose. Uno sbuffo di risata sarcastica accompagnò quanto le disse: - - Darkness: le 101 cose da sapere sulle creature della notte - - la risata fragorosa del ragazzo si fece più alta: - Che assurdità - . Isabel, ancora rossa in viso, gli strappò dalle mani il libro aggredendolo: - Ti hanno insegnato a deridere gli sconosciuti oppure la tua è solo una stupida tattica da ladruncolo? - Nervosa e su di giri gli diede le spalle per rimettersi la borsa chiusa sulle spalle e, afferrata anche la valigia fuxia, dirigersi verso l'uscita più vicina: ruota rotto o meno si sarebbe allontanata in fretta da lì. - Bisogno di una mano? - la voce beffarda dietro di lei la spinse a tornare composta con fare fiero. Determinata a non voler mostrare inefficienza senza l'aiuto di qualcuno continuò a camminare imperterrita. - Ce la faccio da sola, grazie - mosse qualche passo per poi superarlo e sperare che non le rivolgesse una parola di più. Bell'inizio per la sua nuova vita, davvero.
Non le ci volle molto a riconoscere la Renault di sua madre, parcheggiata poco distante dall'ingresso dell'aeroporto: a che ora si era avviata per trovare posto così vicino? Le venne da sorridere al pensiero che finalmente l'avrebbe rivista e il nervosismo di poco prima venne subito spazzato via. - Isabel! - la voce allegra di Monique le illuminò quella giornata grigia come il cielo di Shadow City. - Mamma! - corse ad abbracciarla immediatamente, dopo aver lasciato in un gesto spontaneo che le valigie cadessero a terra. Da quanto tempo non sentiva il suo profumo? Le era mancata talmente tanto da riuscire a capire ancor più quanto potessero essere belle e confortevoli le braccia della propria madre, non importava l'età, avevano sempre il potere di calmare qualsiasi nervo teso per un qualche problema. - Hai fatto buon viaggio? - Monique rise per la reazione della figlia, dandole un bacio sulla fronte prima di farle cenno di andare a prendere una delle due valigie - Oh, questa si è rotta? - - Non ne parliamo. Il viaggio è andato bene ma gli imprevisti devono sempre capitare - sbuffò, andando ad afferrare lei stessa quella danneggiata. Monique Dupré era una donna ancora giovane, con i fluenti capelli nocciola mossi in un carré e gli occhi verdi sempre vispi. Molti dicevano che Isabel avesse preso i colori di suo padre, ma avesse rubato il volto di sua madre. - Proprio ieri hanno portato la tua macchina a casa, sai? Così potrai raggiungere il college con quella. Mi sono assicurata di trovare una casa abbastanza vicina, così non ti sarà di peso non avere una stanza nei dormitori - sistemate le valigie nel cofano ben ampio, chiuso poi col pulsante automatico, Monique fece cenno a sua figlia di salire in auto. Isabel aveva una Smart a cinque porte, bianca col tettuccio nero. Quando i suoi genitori decisero di regalarle una macchina come premio per la patente presa, aveva scelto qualcosa di comodo e poco ingombrante. Era il suo piccolo gioiellino. Con poco più di cinquantamila abitanti e sita nel South Carolina, Shadow City vantava una grande città nella zona sud e sei province dallo stesso nome lugubre: Morke e Trube nella zona ovest, Duister e Zweem a nord e Schim e Nuance ad est. L'aeroporto si trovava nella zona est dell'isola ma non ci volle molto ad arrivare alla loro destinazione. Nonostante fosse un luogo sperduto in mezzo all'oceano, l'isola d'ombra – come alcuni la soprannominavano – vantava zone di bell'aspetto che facevano quasi credere ci si trovasse in una meta ricca di cose da vedere. Peccato non sembrasse di forte interesse turistico. Attraversato un viale alberato e apparentemente tranquillo, pieno di ville della stessa forma e tinta di colore, arrivarono al numero civico 707, dove si trovava quella che sarebbe stata la loro nuova abitazione. Quando la Renault attraversò il cancello automatico ed andò a parcheggiarsi nello spazio apposito dove già la Smart faceva da sovrana, Isabel poté notare una boscaglia più fitta al lato della strada dove si trovavano casa sua e quella dei loro vicini. Quando scese dalla macchina per un attimo rimase incantata dallo splendido villino, dentro il quale, da quel giorno in poi, avrebbero condiviso gioie e dolori, chissà per quanti anni. Perché la vita era così, no? Momenti di tristezza e di felicità, anche se di recente erano più le sofferenze che altro, ma lei sperava di non viverne più nessuna come quella della perdita di suo padre. Composta da due piani e dal color rosa confetto e panna, l'abitazione si presentava con un'entrata ricoperta da un bellissimo arco decorato, sui quali scalini – che conducevano alla porta d'ingresso – vi erano dei bellissimi vasi greci con all'interno fiori di ceramica di vari tipi. Le finestre erano composte da vetrate senza persiane, ricoperte solo dalle tendine che si intravedevano dall'esterno. La ragazza, vinta dalla curiosità, corse a dare un'occhiata nel retro e, superata una staccionata, si ritrovò dinanzi un bellissimo giardino ben curato con al centro una grande piscina da interno. Monique aveva fatto di nuovo le cose in grande. Tornò indietro e corse ad abbracciarla: - Mamma, questa casa è meravigliosa! Ma penso tu abbia speso nuovamente troppo - . La donna rise, accarezzando i capelli della figlia: avrebbe fatto di tutto pur di vederla felice, così come anche suo marito prima che le lasciasse sole. - Possiamo permettercelo. Sono riuscita ad affittare anche quegli appartamenti di famiglia che io e tuo padre avevamo fatto ristrutturare, quindi con la vendita della vecchia casa e questa nuova entrata, non avremo problema alcuno - . - Ma se possiamo risparmiare, non è meglio? Cioè, solo perché possiamo permettercelo non vuol dire che dobbiamo sprecare così - . - Sei sempre stata coscienziosa, amore mio, ma lascia che a queste cose ci pensi tua madre. Piuttosto, perché non vai a vedere com'è il resto della casa? Delle valigie me ne occupo io, dai - fece tintinnare una copia delle chiavi dinanzi agli occhi di Isabel: nel ciondolo a forma di cuore vi era una foto che ritraeva loro tre nella piccola vacanza fatta con suo padre l'anno prima che morisse. Gli occhi le divennero inevitabilmente lucidi, mentre sorrideva e decideva di lasciar perdere e afferrarle con una risatina che cercava di nascondere quel dolore così frastornante. - Manca anche a me - le disse, conoscendo bene quei pensieri uguali ai suoi e le sfiorò il viso con dolcezza - Ma so che lui adesso è felice per noi - . Come già immaginava, l'interno della casa non aveva nulla da invidiare all'esterno: le pareti color pesca e i mobili stile vittoriano la rendevano ancora più bella di quella dove vivevano prima. Diede un'occhiata veloce a tutte le stanze, esplorando per primo il piano inferiore: c'erano uno spazio ampio per l'ingresso, una cucina immensa con mobili dello stesso stile, ma fornelli e tavolo moderni, un bagno di servizio con doccia e un secondo con vasca idromassaggio e uno sgabuzzino ben fornito dove, accanto, si trovava la porta che portava alla cantina e al garage. Ogni stanza aveva un citofono e un cordless per permettere di poter rispondere a chiunque le cercasse, in ogni zona della casa in cui si potessero trovare. Stessa cosa per il piano superiore dove vi si trovavano anche una camera per gli ospiti e uno studio arredato a mini biblioteca per tutti i suoi amati libri, altri due bagni similari a quelli del piano inferiore, la camera di sua madre e la sua. Al centro del corridoio un bottone faceva aprire la botola che lasciava scendere la scala che portava alla soffitta. Ma la sua stanza era arredata in un modo ancora più dettagliato: le pareti rosa, come piacevano a lei, i mobili vittoriani con un grande armadio con specchio sulle porte e una libreria che prendeva buona parte della parete. Il letto a baldacchino faceva da sovrano e di fronte ad esso vi si trovava una scrivania con specchio che nascondeva un cassetto per il pc portatile e altri per le sue cose già sistemate. Sulla scrivania, poi, c'erano un piccolo router, un cordless e, attaccato alla parete accanto allo specchio, un video-citofono. Si chiuse la porta alle spalle, prima di avvicinarsi allo specchio dell'armadio e ravvivarsi i lunghi e folti capelli castani: gli occhi azzurri erano più luminosi del solito, forse dovuti all' armonia che stava finalmente sentendo sulle spalle. - Sì, forse andrà davvero tutto per il meglio - . Le poche settimane che la separavano dall'inizio dei corsi passarono in un lampo. Quella mattina non vi era il bel tempo che aveva accompagnato la cittadina per quasi tutte le giornate precedenti: al posto del sole c'erano ora dei nuvoloni grigi che ricoprivano il cielo, sebbene il meteo non portasse pioggia. Isabel sospirò chiudendo le tende della finestra, prima di avvicinarsi all'armadio per estrarne un jeans molto semplice e una maglia giallino chiaro per illuminare un po' quel tempo senza sole. - Perché lo vedo come un bruttissimo segno? - borbottò, prima di cacciare un ennesimo sospiro. Dopo una leggera colazione a base di cereali, salutò sua madre pronta per il lavoro ed uscì di casa.
Il tragitto verso il college fu migliore di quanto pensasse e, in verità, anche l'entrata in scena fra la folla che si divideva a destra e manca: nessun occhio puntato addosso, nessuno che la squadrava particolarmente dalla testa ai piedi per cercare di capire chi fosse il volto nuovo... niente di niente. Che fosse allora poco raro che si trasferisse gente nuova, su quell'isola? Scosse la testa pensando che in realtà quel giorno ci sarebbe stata solo la cerimonia di benvenuto e, quindi, erano un po' tutti nuovi. Il college distava poco dal suo quartiere, praticamente era alla fine del boschetto vicino casa sua, e da quel poco che poteva iniziare a vedere sembrava abbastanza curato, nonostante sugli edifici vi fossero i chiari segni del tempo e dell'aria di mare che corrodeva sospinta dal vento. Era un edificio di sette piani a racchiudere le facoltà di biologia e lettere, mentre era altro palazzo identico, ma più basso, a includere le facoltà di giurisprudenza ed economia e commercio. Si avviò, ancor più agitata senza un perché, per i corridoi affollati da tutti quei ragazzi emozionati forse quanto lei per quello che sarebbe stato il suo ultimo gradino da studentessa, prima di immergersi nel frenetico mondo del lavoro. Dopo la laurea Isabel avrebbe voluto fare la nutrizionista, quindi aveva deciso di frequentare la facoltà di biologia: sicuramente sarebbe stata una strada dura, con molto studio da fare, ma ne sarebbe valsa la pena. Sempre se poi non avesse usato la sua laurea per fare altro, in fondo l'essere umano cambiava idea quasi ogni minuto. Avendo già la posizione dell'auditorium dove si sarebbe svolta la cerimonia di benvenuto, per lei non fu complicato arrivare a destinazione. Prima di entrare appoggiò una mano sulla maniglia e sospirò, abbassandola l'attimo dopo. Il vociferare regnava sovrano dato che non avevano ancora iniziato: il piano prevedeva che alle undici il rettore coi rappresentanti del consiglio universitario avrebbero dato il benvenuto ai nuovi studenti e alle undici e mezza, a cura dell'ufficio orientamento e tutorato, ci sarebbe stato l'incontro - SOS Matricola - dove avrebbero scoperto i dettagli e le informazioni sull'organizzazione dell'anno accademico. Rossa come un peperone strinse la borsa sulla spalla e mosse qualche passo in avanti, mentre alcuni bisbigli iniziarono ad arrivare alle sue orecchie sotto forma di parole incomprensibili a causa del brusio delle persone e ciò la costrinse a voltarsi per capire cosa stesse accadendo. Le voci si acquietarono quando dietro di lei fece il suo ingresso il ragazzo dell'aeroporto. - Che coincidenza ritrovarci anche qui! - Per un breve attimo Isabel pensò che la giornata si fosse improvvisamente trasformata in un qualcosa di spiacevole.
Sabrina Pennacchio
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