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Autore: Marialuisa Moro
Tara genetica
Thriller
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Tara genetica
Perth, dicembre 2017.

Colin Hogg entrò in casa in silenzio. Di solito lanciava un saluto al vento appena varcata la porta, giusto per capire se ci fosse qualcuno. Ormai erano rimasti in due: lui e la moglie Erin, dato che la figlia viveva altrove.
Quel giorno, niente. Non riusciva a pronunciare neppure un saluto, una parola. Un nodo in gola chiudeva il passaggio a ogni suono.
Erin, che era di sopra, sentì il clac del portoncino di ingresso che si chiudeva, seguito da uno strascichio di passi sul pavimento.
Scese le scale e lo vide. Incrociò per un attimo i suoi occhi e si raggelò: vi lesse dentro tutto il dolore del mondo.
Comprese e rimase in silenzio.
L'uomo andò a sedersi sulla solita poltrona in salotto senza accendere la luce, come sua abitudine, e rimase a fissare il vuoto davanti a sé.
Doveva essere arrivato il referto dell'autopsia su Rachel Hackett.
Era bene lasciarlo solo ad elaborare l'orrore. Quando se la fosse sentita, sarebbe stato lui a parlare.
Oppressa a sua volta, Erin andò in cucina e accese il bollitore per il the, sebbene non ne avesse voglia. Una banale azione quotidiana per non lasciarsi andare.
Quel suo silenzio la metteva a disagio e la faceva soffrire, ma sapeva che doveva rispettarlo.
Aspettando che l'acqua bollisse, si mise a riordinare alcune stoviglie negli armadietti della cucina, attenta a non far rumore. Altra banale azione quotidiana liberatoria.
Infine, giunse cupa la voce di lui dall'altra stanza.
“Erin?”
“Dimmi, Colin.”
“Mi hanno mandato il referto dell'esame autoptico sul corpo di quella povera bambina.”
“Lo immaginavo.”
“Quel bastardo l'ha stuprata con brutalità usando un bastone o qualcosa di simile, che non era presente sulla scena del delitto e non è ancora stato rinvenuto.” La sua voce tremava di rabbia e indignazione “Poi l'ha strangolata con le sue mani e le ha riempito la bocca di feci. Si è anche preoccupato di creare una sceneggiatura, mettendo il cadavere seduto contro la parete.”
Erin si portò una mano alla bocca e respinse un conato di vomito.
Solo un folle può fare una cosa simile.
Dopo la notte in cui il marito era stato chiamato a vedere il cadavere di Rachel, lo aveva sentito parlare di una scena raccapricciante come non mai, ma Colin aveva omesso i dettagli. Per rispetto, Erin si era astenuta da ulteriori domande.
Mai sentita una cosa simile; eppure, nei numerosi anni vissuti a fianco di un poliziotto si era fatta un ottimo bagaglio culturale in merito.
“Feci? Quelle dell'assassino?”
“Sì.”
“Non riesco a crederci. Perché?”
“Per spregio, per vilipendio, per vendetta. Non lo so!!” Urlò con quanto fiato aveva in gola, facendola sobbalzare.
Suo marito non alzava mai la voce. Doveva essere davvero fuori di sé.
“Ci saranno abbondanti tracce di Dna.”
“Infatti. Però quel fottuto Dna non corrisponde a nessuno di quelli in possesso della polizia, così come le impronte digitali lasciate sul collo della bambina.”
“Quindi quel mostro non ha precedenti penali.”
“Così pare.”
“Però, alla prossima impresa, sarà incastrato.”
“Vuoi anche che ci sia una prossima impresa? Quello va fermato subito, per tutti i numi! Quante bambine devono fare quella fine prima che venga preso? Senza contare che potrebbe sfuggire comunque alla polizia, alla faccia del Dna e delle impronte.”
“Forse è talmente folle che non si è posto neppure il problema di lasciare in giro il suo codice genetico. Oppure è così sicuro di se stesso che lo ha fatto intenzionalmente per sfidare la giustizia.”
“Parli come una criminologa.”
“Ho letto anch'io qualcosa in merito. Alcuni si suicidano dopo aver compiuto queste bravate, per cui non si curano delle tracce.”
Ci fu una pausa di silenzio così greve che parve avvolgere la casa intera.
“Tranne quel Dna, non abbiamo un solo elemento per organizzare una caccia all'uomo. Nessuno ha visto nulla. Non esistono telecamere nella zona intorno alla scuola, ma è abbastanza ovvio che l'incontro non sia avvenuto là, come è ovvio che il criminale l'abbia adescata e trasportata con un mezzo motorizzato in quella fabbrica abbandonata dove è avvenuto lo scempio. Un luogo dannatamente deserto, dove non passa mai anima viva, solo meta notturna occasionale di qualche gruppo di ragazzi strafatti che lo usano per i rave party. Appunto perché è isolato.”
“Infatti, mi hai detto che ha chiamato qualcuno con la voce di un giovane per dire che c'era una bambina morta. Sarà stato uno di quelli che andavano lì per quello scopo; vista la scena, sarà scappato a gambe levate. Se non altro, vi ha avvertiti.”
“Se fosse stata una persona pulita, non avrebbe riagganciato senza identificarsi.”
“Beh, almeno ha segnalato il fatto. Altrimenti, chissà quando l'avreste trovata!”
Colin si alzò e prese a misurare nervosamente la stanza a passi pesanti.
“Non è finita qui. Tu non le sai tutte. In città circolano sempre più rumorose le voci sull'inettitudine della polizia. Ci manca solo questo! Domani ci sarà una fiaccolata per Rachel. Non vorrei che finisse a parapiglia.” Si allentò il nodo della cravatta con un gesto brusco come se lo stesse soffocando “Ieri, un gruppo di persone si è piazzato davanti alla Centrale urlando in coro: Siete degli incapaci. Non sapete proteggere la gente. Per cosa vi pagano? Per tenere il culo a scaldare la sedia?” E altre offese simili.”
“Santo cielo! Come avete reagito?”
“Visto che l'episodio è durato pochi minuti e il gruppo si è dissolto da solo, abbiamo deciso di lasciar correre, ma qualora queste manifestazioni si facessero più imponenti, saremo costretti reagire. E non è bello. Ci scappa sempre qualcuno che si fa del male e ne esce un mare di guai.”
Erin ascoltava, senza parole. Non si erano mai verificati simili episodi da quando Colin lavorava a Perth.
“Il padre di Rachel, come sai, è un ufficiale della marina britannica; dopo il ritrovamento del corpo, è rientrato in gran fretta e ha fatto una scenata in Centrale minacciando di uccidere personalmente il responsabile di tanto scempio. Visto che la polizia non è all'altezza, diceva, si farà giustizia da solo.”
Erin cominciò a preoccuparsi sul serio. In tutta la sua vita accanto a Colin, non si era mai trovata in una situazione tanto drammatica e neppure di fronte a un delitto così raccapricciante.
Si insinuò in lei un'ansia vaga e indistinta per la loro incolumità personale e una morsa di paura le strinse lo stomaco, ma si guardò bene dall'esternarla al marito.
In quel momento suonò il telefono di Erin e lampeggiò sullo schermo il nome della figlia.
“Non raccontarle queste cose, per favore” ruggì Colin.
“Avrà letto i giornali.”
“Intendevo dire di non dirle i dettagli che ti ho appena rivelato. Rispondi tu. Io non me la sento.”
Erin si allontanò col telefono e tornò dopo cinque minuti.
“Voleva solo sapere come stiamo. Non ha neppure accennato al delitto.”
“Emily è speciale per vivere fuori dal mondo. In questo caso è meglio così.”
“A proposito, mi dicevi di quel berrettino per cui le amiche avevano preso in giro la piccola Rachel. Non si è trovato sulla scena del delitto?”
“No. C'erano tutti gli abiti della piccola, sistemati in un angolo. La madre ha confermato che erano gli indumenti indossati quella mattina prima di andare a scuola. Ma il berretto mancava.”
“Quindi il pedofilo l'ha portato via con sé. Cos'è per lui? Un feticcio? Che significato ha?”
“Non è detto. Potrebbe averlo perduto strada facendo e noi non lo abbiamo ancora trovato.”
Erin sbottò “La pista della vendetta. Ci hai pensato?”
“Non ha molto senso. La famiglia Hackett vive da poco a Perth. Due anni. Il padre è sempre per mare, si ferma qui solo pochi giorni e, quando è in licenza, passa il tempo con la famiglia. Conosce poca gente in città. Chi può avercela con lui? La madre, educatrice di scuola materna, trascorre la maggior parte del tempo libero in casa. Un tipo schivo; non frequenta amiche, se non un paio di colleghe ogni tanto. Gente molto riservata, che si fa i fatti suoi. Più banale di così!”

Marialuisa Moro

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