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Autore: Thomas Pedretti
La Luce e le Tenebre
Poesia
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La Luce e le Tenebre
Sei appena salito a bordo di quell'ultimo treno, in attesa di partire: è quello conduce ai sentimenti. Il viaggio inizia al calar della sera, al tramonto della società. Essa ha plasmato le nostre coscienze e i nostri caratteri, distorcendoli e adattandoli alla modernità del Mondo Nuovo.

La maggior parte dei tuoi compagni di viaggio sono scesi alle fermate precedenti, più accattivanti solo all'apparenza. Colorate d'arcobaleno e scintillanti, niente grigi cementi, ma dipinti murali sulle altrimenti asettiche pareti di quelle stazioni brulicanti di genti di ogni dove. Alieni. Esseri dalle sembianze vagamente umane, appena discesi sulla banchina hanno trovato il venditore ambulante che ha alienato la sua merce a prezzo d'occasione. È frutto di affari loschi, rovina con la sua spietata concorrenza sleale i gestori di quelle botteghe che hanno ereditato dai padri e dai nonni. Le botteghe dove intere e meravigliose saghe famigliari sono state vissute, quando ancora si sapeva vivere.

Mi sembra ancora di vederlo, là, dietro il bancone in legno massiccio, l'anziano uomo dagli occhiali spessi. Hanno una bella montatura dorata, fatta bene come le cose di una volta, bella come le cose di una volta. È appena entrato l'ultimo cliente della giornata, l'amico affezionato, uno dei pochi che nel quartiere brulicante di modernità preferisce ancora affidarsi al suo negoziante di fiducia, amico di una vita, persona d'altri tempi.

Ha bisogno solo di un cartone di latte, l'affezionato cliente. Potrebbe attendere l'indomani, non ne bisogno oggi. Ma quell'insignificante cartone di latte è più un pretesto che una reale necessità: il pretesto per scambiare due chiacchiere col vecchio negoziante, di cui conosce tutto tranne il nome. Ha forse importanza? In paese è per tutti il droghiere, o sarebbe meglio dire era.
Non è che un fantasma. Fantasma di tempi andati, in cui anche un semplice acquisto nel negozio di paese era occasione di convivialità, di socializzazione, molto più di quanto non lo sia nella società fintamente connessa di oggi. Connessa a cosa poi? All'etere e niente più.

Lo vedo ancora l'anziano droghiere. Sa che quell'ultimo cliente della giornata è entrato solo per un cartone di latte, ma sa anche che il venerdì si concede il lusso di comprare una fetta di quella torta di mele che gli piace tanto, e gliel'ha tenuta da parte. Gli chiede come stia la moglie e se la figlia abbia passato quel tremendo compito di matematica; poi racconta della signora che quel pomeriggio è entrata a chiedere informazioni e, nel mentre, ne ha approfittato per comprare un barattolo di marmellata alle pesche, quella che prepara la moglie con le sue mani, come si faceva cent'anni fa.
Sospira l'anziano negoziante, portandosi una mano alla bocca; e gli spessi occhiali s'appannano. Sa che non tornerà quella donna, era solo di passaggio. E poi manca poco alla fine del mese, dopodiché dovrà chiudere bottega. Al posto del suo negozio – seconda casa di una vita – aprirà l'ennesimo supermercato, del tutto simile a quello che si trova appena un isolato più in là.
Eh sì, l'Uomo moderno non ha più tempo da perdere per negozi, vuole tutto subito. Vuole un assortimento completo di prodotti tra cui scegliere, uno in fila all'altro nelle labirintiche corsie d'un supermercato. Non riesce più ad accontentarsi di scegliere tra due varietà di mela: ne vuole venti!

Se chiudi gli occhi puoi vederlo l'attempato droghiere. Puoi addirittura sentire il rumore di quella cigolante saracinesca che ha immancabilmente aperto e chiuso per cinquant'anni, e che ora chiuderà per sempre. Divorata dal famelico mondo moderno, dal consumismo esasperato e dalla spietata concorrenza di una società i cui incravattati dirigenti, pur non avendo mai gestito un negozio, ne hanno già aperti cinquanta, cento, mille. Nella tua strada, nella tua città, nel tuo Paese. Nel mondo intero, tutti la copia esatta l'uno dell'altro.
Sono le logiche del mercato: o ti adatti o soccombi. È la legge del pesce grande che mangia il pesce piccolo, cane mangia cane, con l'accondiscendenza di una politica che sempre più fa gli interessi del grande e sempre meno quelli del piccolo. Debole coi forti e forte coi deboli. Tartassa il povero negoziante e chiude un occhio quando si tratta dei venditori abusivi nelle stazioni, sui marciapiedi, persino fuori dalle chiese la domenica, dopo la messa settimanale. Li senti? Parlano lingue sconosciute. Apri gli occhi e sono lì, davanti a te, sul tuo stesso treno: non ti sei mai mosso.
Sono saliti all'ultima stazione, e il controllore ha fatto finta di non accorgersi che non hanno il biglietto. “Com'è umano lei!”. Poi si dirige verso l'anziano seduto due file di sedili davanti a te, estrae il suo blocchetto e gli fa la contravvenzione: “Questo biglietto non è timbrato”, dice con voce stentorea il grugno di ferro, porgendogli il verbale. “Vorrà dire che per oggi non mangerò”, pensa l'attempato signore nell'atto di racimolare qualche stropicciata banconota e una manciata di monete dal suo sgualcito portafogli. Tu assisti alla scena, vorresti intervenire, ma poi pensi che è così che funziona il mondo, che non ci puoi fare nulla, che, in fondo, è stato il vecchio a sbagliare. E volgi lo sguardo altrove.

Ecco che finalmente il capotreno fa cenno di partire al macchinista: inizia il viaggio. Attraversa paesaggi confusi da una foschia palpabile, umida e gelida come il respiro d'uno spettro. S'insinua subdola tra i finestrini del fatiscente vagone e ti inebria del suo odore pungente, ma non sgradevole. Sei ormai assuefatto a quell'aria viziata, di vizi e depravazioni; di sentimenti ingarbugliati, di ideologizzate propagande che confondono l'Uomo di questo strano ventunesimo secolo. Ha più nozioni di quante ne abbiano mai ricevute tutti i suoi antenati messi insieme, eppure è smarrito come l'ultimo dei figli della Società: non s'azzarda a fare un passo senza aver prima consultato il suo Grande Fratello, che lo sorveglia e si assicura di non fargli correre pericoli, gli racconta la sua versione della vita, lo redarguisce quando fa qualcosa che ritiene sbagliato e lo premia quando fa il bravo.
Gli racconta un mucchio di storie, ma il giovane Uomo è confuso: ne ha ascoltate talmente tante che non è più in grado di stabilire quale sia il confine – sempre più labile – tra il vero e il falso.

Passati gli anni e scaltrito da esperienze negative passate, l'Uomo inizia a diventare sospettoso, a non fidarsi più di nessuno, nemmeno di suo fratello, col risultato che instaurare un vero e duraturo rapporto sentimentale o anche solo di amicizia diventa estremamente difficile. Passeggia in mezzo a tanta gente e piomba in una sorta di sindrome di Fregoli, teme che un suo conoscente si possa mimetizzare tra la gente comune e perseguitarlo al fine di osservarne le azioni, per poi criticarle o parlare alle sue spalle; evita il contatto con altra gente per paura di cadere nella trappola dell'illusione.
L'Uomo d'oggi è cinico, indifferente a tutto, non ha stima di nulla, è propenso alla facile ironia, deride tutti e disprezza tutto, convinto dell'infinita vanità di ogni cosa. Discutere di temi importanti è diventato quasi un privilegio di cui si può godere solo con alcune persone che hanno scelto, in un mondo di rovine, di ergersi a pensatori e di elaborare una propria visione delle cose, giusta o sbagliata che sia. Ma, quantomeno, frutto del proprio intelletto e non di quello altrui. Così la conseguente penuria di idee costruttive spinge gli uomini a far notare gli errori del prossimo, senza che ciò sia preceduto da un sano esame di coscienza. E la sempre più diffusa presunzione fa sì che si guardi in casa altrui prima che nella propria, trasformandoci in ottimi maestri, ma pessimi allievi. Sappiamo cosa fare nei panni d'un altro e mai cosa fare nei nostri; abbiamo soluzioni e ottimi consigli per il nostro vicino, ma non per noi stessi.

La mancanza di autocritica, che va di pari passo con la carenza di idee costruttive, è un altro dei mali di questo mondo moderno. Una cultura volta sempre più all'anarchia e all'inclusione ha reso insopportabile e addirittura intollerabile qualsiasi critica negativa ci venga rivolta. Tutti devono avere una possibilità, poi una seconda occasione, una terza e così via. Persino i peggiori criminali. Ma mi sia concesso di dire che, contrariamente alla direzione che ha preso questo folle mondo guidato dalla troppa indulgenza, credo nel valore punitivo della condanna più che in quello rieducativo: raramente, assai raramente l'Uomo è in grado di redimersi dai suoi peccati. E allora quale miglior disincentivo può esistere di una punizione esemplare che induca a non commetterne ancora?

Contro il peccatore non può esserci comprensione ne' compassione, o egli sarà nuovamente tentato: la vita non perdona la debolezza. Ma, per quanto la società possa essere responsabile del decadimento dei valori, nemmeno se essa incentivasse apertamente a compiere reati sarebbe da ritenere colpevole più di quanto non lo sia il singolo individuo, cui spetta il compito ultimo di discernere cosa sia giusto da ciò che è sbagliato, indipendentemente dai cattivi esempi che possa aver ricevuto.

Ad ogni modo, è indubbio che la distruzione dei valori e della moralità classica abbia avuto conseguenze nefaste sui costumi, perché l'agire umano si è trovato privo di fondamenti, di motivazioni alte e profonde, di senso del limite. Così la società ci ha infine trasformati in ciò che siamo: esseri apatici che non sanno più ragionare con la propria testa. Uomini che vivono in un mondo meschino, dove ognuno fa il proprio interesse e ai deboli non pensa più nessuno. Siamo uomini che vivono in un mondo di sogno e di sogni, di cui subiamo l'immaterialità: non possiamo toccarli perché sono fatti di etere, come i rapporti che abbiamo gli uni con gli altri.

Come può questa società insegnare ai suoi figli l'autocritica se essa stessa si esime dal criticarli e dal rimproverarli quando necessario? Se l'alunno manca di rispetto al suo insegnante? Se vi è questo evidente sminuimento della morale tradizionale, distrutta dagli intellettuali e dalle sette illuminate che hanno liberato il popolo dai suoi principi tradizionali con la promessa di una vita migliore, ma hanno generato solo una nuova inciviltà?

Ti stupisce dunque, caro lettore, che in una siffatta modernità non siamo più in grado di provare sentimenti puri come l'Amore, l'affetto, l'amicizia o la riconoscenza? Noia, solitudine e rassegnazione hanno preso il loro posto.

La società ha plasmato l'Uomo a sua immagine e somiglianza: la metamorfosi si è completata.

Thomas Pedretti

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