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Autore: Anna Pia Fantoni
Io sono la preda
Noir
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Io sono la preda
Si sveglia all'improvviso. È fradicia di sudore, Giuditta. Annientata dall'ansia. Ha fatto uno dei soliti sogni. Stavolta era imprigionata in una ragnatela che occupava tutto lo spazio di un'enorme stanza. Una lama affilata di luce proveniente da una persiana accostata fendeva il buio. Era nuda, con uno straccio in bocca che la strozzava, in preda a un terrore devastante. Mentre si divincolava inutilmente tra i fili che la avviluppavano, è comparso un ragno. All'inizio, piccolo come un puntino. Man mano che si avvicinava, diventava gigantesco. Camminava adagio, muovendo le zampe pelose al rallentatore, una alla volta, facendo vibrare i fili. Avanzava fissandola con occhi enormi e inespressivi, simili a bottoni, neri come la morte. Sulle zanne e sulla testa i peli fremevano. Lei, impotente, cercava di chiedere aiuto, ma emetteva solo un flebile gracidio. Alle spalle del ragno, all'improvviso, è sbucato un uomo muscoloso, il viso in ombra e una lancia con la punta infuocata tra le mani. È rimasta immobile. Incredula, speranzosa. L'uomo, con forza, ha conficcato la lancia nella testa del ragno, che ha iniziato a bruciare e a stridere con un crepitio raccapricciante che perforava i timpani. Poi, quella bestiaccia orribile ha piegato le zampe rotolando a pancia in su, squassata dagli spasmi. Il puzzo di strinato era rivoltante. Lo schiocco di un riflettore. Una luce sfolgorante quasi l'ha accecata. L'uomo ha squarciato i fili, l'ha raggiunta, le ha sfilato lo straccio dalla bocca. L'ha visto in faccia. E di fronte al viso dai lineamenti fini come quelli di un angelo e agli occhi celesti e vacui ha iniziato a gridare di orrore. 12 Afferra il cellulare. Spento. Cerca di accenderlo senza successo. Ora ricorda: è scarico, e ha perso il caricabatteria. Lo riappoggia stizzita sul comodino sgangherato. Sarà l'alba, come al solito. E come al solito non riuscirà più ad addormentarsi. Si gira e si rigira, Giuditta. Alla fine sbuffa e ci rinuncia. Scende dal letto e si dirige in bagno con lo stomaco chiuso dall'inquietudine. Compie i soliti, meccanici gesti e va in cucina reggendo un flacone di Xanax. Fa scorrere dal rubinetto un paio di dita d'acqua in un bicchiere, vi fa scivolare alcune gocce oleose e beve d'un fiato: disgustoso, come sempre. Infila in bocca il gastroprotettore. Con un altro goccio d'acqua lo inghiotte. Si prepara in fretta, estraendo a caso dal cassetto dell'armadio un perizoma bianco e un reggiseno nero. Dalla montagna di abiti appoggiati sulla sedia sfila un paio di jeans beige e una maglietta verde muschio. Inforca i Ray-Ban, prende la borsetta ed esce di casa. Scende la rampa di scale in pietra e lascia il palazzo storico di via Lepanto, accompagnata dal fracasso di saracinesche sollevate dai negozianti ancora mezzi addormentati. Alza lo sguardo. Il cielo è accarezzato dai colori pastello dell'aurora e decorato da batuffoli di nuvole. Le narici solleticate dal profumo di pane appena sfornato e corasan, entra in pasticceria. Tramezzino e cappuccio in piedi, e poi via, in ufficio. Attraversa a passo svelto viale Santa Maria Elisabetta, l'arteria principale del Lido di Venezia, chiamato più semplicemente Gran Viale, ed entra nel palazzo rosso pompeiano dalla facciata impreziosita da eleganti bifore che ospita la sua agenzia di interpreti e traduttori. Sale due rampe di scale e apre la porta a vetri che reca la scritta Words around the World. Samuele, il suo socio, non è ancora arrivato. Un'occhiata allo Swatch, sorride. Starà ancora dormendo nella quiete della villa dei genitori, magari avvolto in lenzuola di seta blu come i suoi occhi. Fighetto. Giuditta entra nella sua stanza e osserva costernata la scrivania: incarti di merendine e di gomma da masticare, una buc- 13 cia di banana e un barattolo sporco di yogurt. Pratiche da archiviare. Quando libera il piano dai rifiuti e li butta nel cestino di metallo, ritrova il caricabatteria del cellulare. E pensare che la sera prima ha messo sottosopra tutta la casa. Deve ricordarsi di comprarne uno di scorta. Deve diventare più ordinata. Sfila il Samsung dalla borsa e lo mette in carica nella ciabatta appoggiata a terra da cui nasce un groviglio di fili. Accende il telefono, che riprende vita con un messaggio di Samuele della sera prima: “Domani sarò a Venezia tutta la mattina all'agenzia dell'entrate, ziocan”. Scoppia a ridere. Samuele sa che lei odia le bestemmie di cui, da bravo veneto, è campione mondiale e ha dovuto ripiegare su un innocuo ziocan, che invece le mette allegria. Effettivamente, però, la situazione è surreale. Continuano a ricevere una cartella delle tasse sbagliata, e telefonate e pec non hanno, fino a quel momento, avuto alcun esito. Ma poi chissenefrega, quelle sono cose del suo socio. Le risolverà lui. Tanto è come Mister Wolf in Pulp Fiction. Si siede sulla poltroncina nera con le rotelle, sospira. Non ha voglia di lavorare, vorrebbe solo riposarsi. Spalanca l'agenda: ha quattro appuntamenti, due lì al Lido e due, nel pomeriggio, a Venezia in zona San Marco. Apre la mail aziendale e fissa svogliata gli allegati delle traduzioni di prova da inglese, francese, spagnolo e tedesco da esaminare di persona. Inoltra ai collaboratori esterni le prove dalle altre lingue. Scorre il programma di posta: trecentomila spam e qualche curriculum. Un paio di clienti nuovi che hanno accettato le loro condizioni e chiedono un appuntamento per i giorni successivi. Sospira e si concentra sulle prove, per la maggior parte sciatte e imprecise. A volte si chiede cosa insegnino all'università. «Buongiorno!» La voce della sua segretaria la fa sobbalzare. Giuditta punta lo sguardo sull'orologio verde acido appeso al muro bianco, di fianco al suo diploma di laurea: le otto. 14 «Buongiorno, Betta!» ricambia il saluto con un sorriso, ringraziando il cielo per aver fatto un po' d'ordine e rivolgendosi con aria angelica alla signora cinquantenne con cui lavora da più di cinque anni e che, come Samuele, la sgrida sempre per il caos di cui si circonda. «Io devo andare all'Excelsior, poi al Des Bains e infine a Venezia. Mi dovresti fissare un paio di appuntamenti con due possibili clienti per la settimana prossima, okay? Ti inoltro le loro mail. Ah, se poi hai tempo, per favore archiviami queste carpette». Mentre batte veloce sulla tastiera, gliele indica con il mento. «D'accordo» risponde la donna con un sorriso bonario. Da quando hanno iniziato a lavorare insieme, Giuditta l'ha sempre vista curata alla perfezione. Dalla piega impeccabile dei capelli alle unghie dei piedi laccate, è l'esatto contrario di lei, che si veste a caso con quello che trova in giro e va dalla parrucchiera due volte l'anno. E l'ultimo smalto che ha usato era quello, amaro come la cicoria, con cui sua madre le ricopriva le unghie per farle perdere il vizio di mangiucchiarle. Betta si volta per uscire dalla stanza incrociando Katia, la segretaria di Samuele, che fa capolino dall'uscio. Ha lo sguardo vivace e i capelli biondi raccolti in una treccia. «Che giugno da incubo! Sono già sudata fradicia!» esclama sbuffando e spalancando gli occhi ambrati. «Già. Uno schifo» mugugna Giuditta afferrando il cellulare e buttandolo in borsa. Scatta in piedi. «Siamo a metà mese e sembra già agosto, che palle... Oh, io vado in giro per clienti, ci vediamo domani!» Esce dall'ufficio di corsa, scende i gradini in marmiglia rossa e rosa e si immerge nel traffico soffocante e umido del Gran Viale.
Entrando in calle Vallaresso, Giuditta freme come un cavallo da corsa alla vista di una carovana di turisti giapponesi muniti di cuffiette, che seguono – in fila per due, ubbidienti e silenziosi come formiche – una guida microfonata che mostra 15 loro i negozi e alterna spiegazioni a manate per scacciare i nugoli di zanzare tigre. Finalmente individua un varco nella calca e li supera a passo veloce, sbuffando. Gratta con forza un braccio su cui sta fiorendo un ponfo. «Bestiacce di merda!» impreca fermandosi di scatto. Si spruzza addosso una nuvola di Autan che la fa tossire. Emette un sospiro. L'ultimo appuntamento del giorno con il direttore di un albergo di lusso non ha avuto buon esito. Prezzi troppo alti, ha detto. E vaffanculo. Di interpreti Venezia è piena, e Samuele e lei ne hanno parlato mille volte: la qualità della loro agenzia non la svenderanno mai. E comunque non sarebbe nemmeno il primo che all'inizio li snobba e poi torna da loro con la cenere sul capo perché si è affidato ad agenzie economiche e pessime. Procede veloce, lo sguardo fisso a terra. Non vede l'ora di rifugiarsi in casa, al riparo da quell'inferno di afa e zanzare. Prossima vita: Islanda

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