Chiara.
La farfalla bianca
Una farfalla banca entra dalla finestra, sollevo gli occhi al soffitto, la osservo volteggiare leggiadra nello spazio vuoto. Vorrei essere quella farfalla, libera di volare, libera di sollevarmi su ali di carta, sfiorare l'azzurro, calare lentamente su un petalo profumato, librarmi tra onde di un alito di vento, farmi trasportare senza freno nell'infinito silenzio della vita. Una piccola farfalla che gode di una goccia di rugiada, che segue il filo invisibile dei sogni, che sbatte le ali mute per colorare il mondo. Ignara di essere osservata, quella piccola creatura volante si poggia delicatamente sull'angolo del letto, sul lenzuolo, la osservo ferma immobile quasi a confondersi con il candido cotone, poi agita le ali, come per rendersi visibile, ma non lascia lo spazio conquistato. Sorrido alla dolce ospite, portatrice di buone novelle. Ricordo che mia nonna quando vedeva una farfalla girare intorno a noi diceva sempre: «Non mandarla via, è un'anima che porta buoni auspici, ti porta gioia e buone notizie. La piccola farfalla dopo un po' si solleva leggera e vola via dalla finestra aperta, la vedo disegnare giravolte come invisibili ricami, fino a baciare una rosa in boccio nel giardino sottostante. Mi volto e torno alle mie mansioni, lasciando la mente vagare tra sogni pindarici. Una voce mi riporta prepotentemente alla realtà. «Chiara! Hai finito?» È Federica, la mia collega. «Altre due camere ancora!» le urlo. «Ti aspetto alla sala ristorante.» E sento il rumore del carrellino allontanarsi. Quando ero bambina, correvo felice tra i prati in fiore nella casa dove sono nata, un piccolo pezzetto di mondo in una terra ancora adesso quasi sconosciuta. Il Molise. Lì dove il cielo si confonde con il mare e le montagne fanno da guardia a panorami mozzafiato: tutto in un pugno, tutto in una mano. Un solo sguardo e abbraccio la neve sulle cime morbide dei rilievi e la sabbia fresca lambita dalle onde. Se gli occhi voltano a est, davanti a me, non ci sono limiti, non ci sono muri che ostacolano l'infinito azzurro, solo una coperta di magici colori. Nessuna tavolozza di pittore potrebbe contenere le varie sfumature che si alternano durante le ore della giornata. Inizia il suo disegno con i primi raggi che si allungano argentei tra le increspature del mare, sfumando sulla tela le delicate pennellate, che a ogni batter di ciglia cambia e sorprende, fino a sera quando la palla dorata si adagia tra morbide curve montuose. Laggiù dove rincorrevo un passerotto affamato, o cullavo un micetto assonnato, lì sognavo di svegliarmi già grande, di fuggire lontana. Sognavo la città e i suoi rumori, la meraviglia di una metropolitana, o le corse ansimanti nei supermercati giganteschi, sognavo un lavoro importante, tanti amici, un caffè su un tavolo di un ristorante famoso e degli occhi che accarezzassero il mio sguardo. Quando vedevo un aereo volare sopra la mia testa immaginavo che un giorno i miei piedi si sarebbero sollevati su quelle ali, avrei avuto una divisa e un sorriso da riservare a ospiti bellissimi, avrei parlato tante lingue, e avuto casa in tanti luoghi. Ma come una falena ho bruciato le mie ali, sono distante dalla mia terra e dal mio mare, sono tra mura sconosciute e lontane, non ho niente di importante da raccontare, niente di bello da mostrare. Non ho occhi in cui specchiarmi, ma solo ferite da lenire, solo errori che non potrò mai cancellare. Come un'auto che ha sbandato a una curva correndo veloce, ammaccando le lamiere, riprendo la mia marcia lenta e dolorante, cercherò con il tempo di curare le ferite e lucidare la carrozzeria. Ho imparato che i lampi durano un secondo, che i sogni sono bolle di sapone che nell'aria lasciano una goccia di acqua per poi svanire nel nulla. Che l'amore è quella parola scritta nelle poesie, tra le righe di un romanzo, tra le idee assurde di ragazzine ingenue. Le farfalle volano nei giardini a primavera, nello stomaco ci sono solo crampi dolorosi che ti ricordano che devi sopravvivere. Sollevo lo sguardo sui vetri della finestra, strofino il panno morbido per togliere un po' di pulviscolo, ma è abbastanza pulito e vado oltre. Mi fermo un attimo a osservare i tetti della città che si srotola intorno a me, fiera e bellissima. Altra stanza, l'ospite che la occupava è andato via. Ogni volta che entro in una camera immagino chi possa essere. Perché è qui? Mi domando. Ogni stanza nasconde un segreto, il carattere dello sconosciuto ospite. Chi è così pudico da lasciare il letto composto, il bagno sistemato, gli asciugamani tutti piegati, nel cestino anche i rifiuti sono messi con cura. Qualcun altro la lascia come se ci fosse stata una battaglia. Una guerra immaginaria, dove coperte e lenzuola sono nemici da uccidere e lasciare esanimi a terra, il bagno è come devastato da un tornado, gli asciugamani sono diventati funi per incatenare avversari temerari. Inspiro i profumi che restano nell'aria: a volte dolci fragranze, altre volte latrine di bassi fondi. Sono tre anni che il cadenzare del tempo viene segnato dal numero di camere che ho sistemate e da quelle da sistemare. Ho una divisa come nei sogni, un camice blu con il colletto bianco, sempre turisti sono i nostri ospiti, ma se prima sognavo di lavorare tra le nuvole, ora i piedi li tengo ben ancorati a terra e le corse le faccio tra i corridoi e le sale ristorante. Le lingue diverse le ho davvero imparate, ma non incontro nessuno con cui scambiare parola. Mi passo una mano sui capelli legati a coda di cavallo, come per rimuovere i pensieri che mi distraggono dal lavoro, mi affretto a finire, oggi con Federica dobbiamo pulire la sala ristorante dopo le colazioni e gli uffici della reception. In questo albergo ci sono 50 stanze, e sono una delle cameriere ai piani, ogni giorno ci dividiamo con le colleghe equamente le stanze e le parti in comune, alternando ristorante e reception, uffici, corridoi e bar. Da tre anni questa è la mia casa, divido una piccola stanza con Federica, una ragazza siciliana, ci facciamo coraggio e sogniamo insieme di incontrare un giorno qualcuno che si accorga di noi e ci possa proporre un lavoro più qualificato, uno stipendio più adeguato e avere un tetto e una porta dove non ci siano chiavi universali che la aprono.
Marco
Un uomo in carriera
Scendo le scale di fretta tirandomi dietro il trolley con una mano, con l'altra sostengo il vestito nuovo, non amo molto le feste di lavoro, gradirei che le ore libere di cui dispongo fossero impegnate nel modo che più mi aggrada, ma questa non potevo rifiutala, infilo tutto accuratamente dentro la mia berlina blu. Sono un ingegnere e lavoro nella multinazionale “Landi componenti” che ha varie succursali dislocate nel mondo, di cui due in Italia, sono quasi dieci anni che lavoro nella filiale di Terni, la sede principale si trova nella zona industriale di Firenze. Dalle chiacchiere girate tra gli uffici sembra che tra sei mesi il nostro direttore generale andrà in pensione e il proprietario cerca un valido sostituto, sarebbe una buona opportunità per me. La festa dovrebbe essere un'occasione per conoscerci meglio, per valutare chi sia il miglior successore di Michele Bianchi. Dentro la mia vettura mi sento un re, mi osservo un attimo prima di mettere in moto, i capelli castani hanno qualche filo d'argento, ci passo la mano dandogli una sistemata, inforco gli occhiali da sole,
coprendo le mie iridi verdi, tutto sommato non sono niente male! So di piacere alle donne, ma nei miei calcoli, loro devono esserci per una notte, al massimo una breve relazione, non di più. Il mio lavoro è la moglie ideale, la mia compagna più fedele, la mia compagna per la vita. Mia madre, conta i miei anni, ma trentasette anni è la giusta età per godermi la vita, la giusta età per sognare alla grande una carriera e fiumi di denaro. Mentre l'auto divora strisce di asfalto, mi concentro a pensare chi potrebbe essere il prescelto tra i papabili: Giovanni Blasi nei suoi cinquant'anni suonati è molto in gamba, sempre attento in ogni suo progetto, sempre pignolo e preciso, ma il suo limite è non amare troppo gli spostamenti. Andrea Rossi, capo della qualità, anche lui ligio al dovere, è preciso e innovativo, ma dalla sua pesa la poca affabilità con i colleghi e con gli operai, troppo severo. Luigi Franchi, il secondo del capo, non lo conosco, viene poco a Terni, quindi sarà da tener d'occhio stasera. Mario Del Monte, questo è attaccato alla sedia dell'ufficio come una piovra, non si fida di nessuno e lavora come un somaro, non ha fiuto per le novità anche se quando presenta un progetto non trovi nulla da criticare, è sempre perfetto. Il suo cervello lavora senza sosta, come la turbina di un mulino. Giorgio Bassi il più giovane, se escludo me. Ha poco più di quarantadue anni, anche lui in gamba nel suo lavoro, anche se un po' superficiale, ma troppo pettegolo, troppo ruffiano, proprio un lecchino. L'unico con cui ho stretto amicizia. Per me gioca a favore il mio intuito, la mia disponibilità alle trasferte, non ho una famiglia e ho sempre la valigia pronta, faccio tutti gli straordinari possibili, sono preciso e ho voglia di fare, criticità? Forse la mia voglia di fare troppo. Per evitare di arrivare in ritardo mi sono premunito di prendere una camera in un albergo, a Siena, dove alloggerò anche stanotte, per ripartire domani mattina. Seguo il navigatore e mi ritrovo davanti all'edificio, un bello stabile di lusso appena dopo l'ingresso della città, posizione ideale per la quiete e perfetta se volessi fare una passeggiata, ma non ci penso neppure. Faccio il check in alla hall e salgo in camera. Una bella camera grande, pulita e nuova. Mi sdraio sul letto per riposare, odio avere le borse sotto gli occhi, per via delle troppe ore alla guida, poi farò la doccia all'ultimo minuto, mezz'ora e sarò alla villa del “grande capo”. Chiamo la reception e chiedo del servizio lavanderia, rispondono che manderanno qualcuno, mi distendo di nuovo sul letto accendo la TV e aspetto, sento picchiare alla porta. «Sì?» «Ha chiesto del servizio lavanderia?» domanda una voce femminile. Mi alzo prendo la camicia e apro la porta. «Stirare alla perfezione, non voglio pieghe sulle maniche. Ha come tempo un'ora.» Le tendo la camicia, chiudo la porta e torno sul letto. Sento un bip, prendo il cellulare e leggo un messaggio. «Figlio di puttana, cosa fai, ti sei avviato? Io aspetto mia moglie, una giornata a prepararsi e non è ancora pronta. Queste donne! L'avrei lasciata volentieri a casa.» «Perché te la porti dietro, sé ti dà tanto fastidio?» «Perché non possiamo andare da soli, non hai letto l'invito? Sono curioso di conoscere la donna che tieni nascosta.» «Che diavolo dici, quale donna? Io non ho donne!» «Ahahah davvero? Perfetto allora meglio così, un rompi coglioni in meno stasera.» chiude la chiamata. Decido di richiamarlo: «Cosa blateri, non possiamo andare da soli, perché?». «Come perché? Lo sanno tutti, lui pensa che un uomo debba avere una famiglia per poter raggiungere la perfezione anche nella carriera, essere completo. Se non hai una moglie, non sai che rottura di coglioni è?» ride beffardo e continua «Se non hai dei figli non puoi capire i problemi dei colleghi che li hanno? Insomma secondo il grande capo un direttore per essere perfetto deve capire i problemi degli altri e quindi averli!» conclude. «Ma che stupidata! Io devo essere bravo nel mio lavoro non fare l'assistente sociale!» ribatto stranito. «Tu puoi pensarla come vuoi, ma lui non ama le persone single. Ecco mia moglie che scende finalmente! No, dove caspita va? Torna indietro si sarà dimenticata qualcosa. Cosa dicevo? Ah sì! Secondo Andrea, il capo non ama le persone single, ho sentito voci che dicono abbia due bellissime figlie, forse gli scapoli possono creargli anche qui problemi. Ecco finalmente che arriva. Io chiudo, a stasera se verrai.» Mi alzo e prendo l'invito, sotto, ben in vista, c'è una postilla dove specifica solo accompagnati, in caso contrario, si chiede di non tener presente questa convocazione. Non ci posso credere! Passeggio nella stanza nervoso e arrabbiato, dove caspita la trovo una ragazza qui? Io voglio quel posto da direttore a ogni costo, sai cosa significa direttore di una grande società prima dei quaranta anni? E, ancora di più per il mio conto corrente! Guardo l'orologio ho due ore di tempo! Sono finito, guardo fuori dalla finestra, c'è un giardino e il sole inizia il suo declino. Se lo avessi letto prima in fabbrica avrei trovato un'operaia qualsiasi, ma qui?
Angela C
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