É nel “modo” che esiste il “mondo”.
Quando il carico d'una imbarcazione sta per essere completato, sovviene l'imbarazzo. La piena consapevolezza sul da farsi cede il posto al timore di aver dimenticato qualcosa o qualcuno. Questa sensazione va mitigata. Meglio concentrarsi sull'affresco degli alberi e della rigogliosa macchia che nascondono e che accompagnano fino a ridosso della banchina. Alcune mimose marine sono cullate da un venticello che spira a tratti; gli arbusti rustici di medie dimensioni, salutano al passaggio, agitandosi lievemente con le foglie ovali strette e lunghe, quasi dita d'elegante pianista. Sopportano, più delle altre mimose, i venti salsi. Piacevole la loro fioritura gialla in marzo, quando s'avverte il cambio di temperatura. Approssimandosi al molo, come in una parata, si inchinano un poco le conifere, come i pini d'Aleppo che in questo ambiente ideale raggiungono una ventina di metri d'altezza. Il loro tronco, sovènte contorto, color bruno rossiccio, protende verso il viandante aghi lunghi e sottili. Diffuso nella costa mediterranea rende gradevole il caldo e la siccità che sopporta bene e rende invitante, non solo per la temperatura che riesce a mitigare, ma anche per il pigmento, i luoghi dove ha radici; è utile circondarsi di tali pini perché possono essere impiegati per frenare l'erosione dei suoli, anche in scarpate, e come frangivento. Camminare attorniato da quella florida vegetazione, inalare intensi e differenti olezzi ed apprezzare la variegata gamma di verde, non agevola un distacco netto da quei luoghi, soprattutto quando sono diventati un ricettacolo di remoti e stratificati ricordi, e nondimeno, si è deciso di non voltarsi indietro. Disposti a caso si fanno notare dei cespugli globosi con foglia piccola lanceolata appuntita color verde scuro che ricorda la foglia dell'olivo selvatico. Produce piccoli fiori giallo verdi in febbraio marzo quasi a ricordare la vitalità d'una sua rusticità che consente di vivere in terreni poveri, sabbiosi anche frontemare. Portare con sé alcuni arbusti, conservandone le radici liberate dalle formiche è un modo come un altro per non dimenticare. Quando si sta per salpare, è buona cosa imprimere negli occhi questo paesaggio essenziale. Colori e forme, ma anche odori. Rassicurante, all'orizzonte, gli aranci con le chiome dense di foglie e sempreverde. Il fogliame caratteristico, di forma ovale o lanceolata, di colore verde, lucido e dalla struttura consistente, in primavera s'arricchisce quando spuntano fiori bianchi e profumati, detti “zagare”. Qui, l'arancia, il suo frutto, conserva le genuine tonalità di verde brillante, per quanto sia conosciuto ed apprezzato, specie nella stagione invernale, nella sua artefatta colorazione arancione. È un albero che racconta storie, essendo originario della Cina, l'arancio è stato portato in Europa nel 1300 dai marinai portoghesi. In Italia ci è arrivato via terra dall'Europa e veniva coltivato in Sicilia, e solo dopo qualche tempo arrivò nelle altre regioni meridionali, come la Puglia, la Calabria e la Campania, esplorate tutte per via dei legami, di conoscenze mai superficiali. Sovviene la terra di Sicilia, ove le arance rubiconde copiosamente gustate sono una prelibata varietà dalla polpa rossa, a indicazione geografica protetta, ma non profuma come quella verde e quel primo canovaccio d'emozioni, di calcoli e di previsioni nell'immaginare quel viaggio concepito dapprima come abbandono. Subire un abbandono, molto spesso, è perdita, una sconfitta irreparabile con la lacerante certezza che, in questo caso, l'abbandono possa ripetersi. Il rischio è la sofferenza per il ripudio possa evolvere in un cronico timore, che si trasformi in una pericolosa profezia e che non ci sia possibilità di consolazione, di rimarginare il tormento. Esso può generare la terribile inclinazione all'ambiguità del concedersi per istanti di “inebriante felicità“, ma anche la meccanica risposta a difesa della alla fuga. Per prevenire altra afflizione. L'abbandono subito da vita alla doppiezza, quasi Frankenstein; or, The Modern Prometheus , del tornare per meriti altrui alla cognizione ed agli affetti, e, al contempo, l'essere refrattari ad ogni possibile dipendenza sentimentale. L'agitazione, la paura della solitudine, dell'azzeramento d'una relazione, del vuoto fino ad allora sconosciuto, così come l'interrogarsi ed il tumulto emotivo di prepararsi ad un viaggio possono portare all'ansia che paralizza, ad un'arida palude. Persone destinate a deludere, incapaci di stare in una relazione, che riportano dentro alla ferita, in un gioco crudele e perverso. Un gioco che nasconde spesso, a chi viene abbandonato, la stessa incapacità a stare in una relazione.
Intraprendere il viaggio Una buona idea, le immagini immagazzinate ed i “reperti” naturalistici da conservare, compresa un'arancia verde, rende fruibile quell'aria che, fino ad allora, stagnava pesando su colui che s'apprestava a diventare un viandante, come un manto senza vita. L'ambivalenza del partire e ricordare comprime un poco nel petto l'onda nervosa che scaturisce dal maturare stesso degli avvenimenti, frutto d'eccezionale decisione della quale sono, finalmente, protagonista. Una figura si fa strada fra i pensieri, resi opachi da tenzoni cruente e dal sentore di domande non più rinviabili. Tutti conosciamo l'imbarazzo nel quale ci si viene a trovare quando il solito profano chiede: “cos'è la vita ?”. Una domanda del genere mette imbarazzo, sempre. Molto più di quando ci chiediamo cos'è la filosofia, la matematica, il diritto, oppure, cos'è l'arte, la poesia, il romanzo ... Molte accezioni possiamo permetterci, di natura biologica o culturale. Con il trascorrere del tempo si potrebbe sostenere che siano centuplicate, esponenzialmente accresciute con l'aumentare dei punti di vista e della capacità di argomentazione di ciascuno. Perché ? Perché quello di “vita” è un'idea di tipo familiare. Ci riguarda da vicino. L'idea di vita non può fare a meno di noi, membri d'una comunità, colti o meno non importa, vissuti in epoche differenti e successive della storia comune, tragica o entusiasmante, contigui l'un l'altro, eppure lontanissimi agli estremi nel giudicarla, nel valutarla, nel definirla. Probabilmente, la nozione di “vita” non è data da alcuna plausibile esplicitazione concettuale intelligente e valida universalmente fino ad oggi, bensì dall'intero complesso di “vite” che si intersecano, si implicano, si generano e si negano. La vita è afferrabile dallo svolgersi stesso. Come fotogramma o come sequenza, la vita si dipana, non è configurabile a priori e nemmeno a posteriori. Riferendoci all'oggi è più semplice venire a capo del dilemma ? Non è possibile rispondere: troppa stantia tradizione confluisce dal passato e pesa sul presente. Certo è che avvertiamo che la “vita” sta mutando profondamente di senso nei confronti di tutte le circoscritte definizioni affastellate, si sente che la “vita” sta diventando un'altra cosa.. Come atteggiamento razionale nei confronti delle credenze ingenue e dei costumi che ad esse si ispirano, la “vita” conserva aspetti tradizionali ed emozionali, ma pare aver perso la precisa identità di atteggiamenti umani, in simbiosi perenne, alcuni rivolti alla conoscenza disinteressata, alle verità e, gli altri, rivolti alla saggezza, ad un equilibrio pratico, vitale, ad una sistematicità nelle faccende della prassi esistenziale, al conseguimento del bene. Nulla di tutto ciò alberga nella “vita” attuale. La vita è uscita fuori di sé. L'uomo non è più capace di teoresi improduttiva, tanto meno di sapienza utile al bene comune. Nessuno pensa ad instaurare un rapporto privilegiato con un maestro di vita. Nostalgia per la metafisica ? Tutt'altro. Una conoscenza generale dell'universo, incluso il destino dell'uomo, certo non manca. Resta la inutile possibilità di fare nebulosi discorsi sostenendo che dalla metafisica non si può prescindere. Del resto, in crisi è entrata anche l'idea della vita come saggezza applicata alle necessità umane. Questa società non sa che farsene dei saggi. Lo scetticismo odierno riguarda soprattutto la negazione della possibilità stessa di una norma razionale di vita e forse, proprio per questo, lo scetticismo dilaga, diffida della vita stessa. La legge morale non è forse scolpita nel cuore di ogni uomo ? Più che a trovare delle presunte certezze sulla vita, rilevandone le reali incertezze, mi oriento con agio nella effettiva pluralità di mondi, di destini, di valori e di beni perseguibili, senza selezionare e creare gerarchie, rendendo degno di attenzione tutto l'esprimibile, il senso della vita in quanto scopo e criterio delle attività umane. La temporalità della storia e della verità come temporalità umana, dell'uomo in carne, ossa e sangue, legato alla terra dai bisogni e dal lavoro che compie per soddisfarli. Che altro, se non questa narrazione dal vivo è la “vita” ? Una sconcertante varietà di punti di vista, di problemi, di soluzioni. Apparentemente, campo di conflitti senza fine, serie di stili tanto discordanti da far sospettare giustamente che siano privi di senso. Il materiale buono è costituito dai fatti d'esperienza umana, fino agli estremi risvolti, nella sua complessità, sia essa la vita tecnicamente intesa o quel “più-che-vita” che è la cultura nei suoi diversi strumenti, nei suoi piani di costruzione e di astrazione. La chiarezza dell'aria, resa dalla domanda sulla “vita”, rende possibile un'agevole navigazione, un'impresa, certo, non scevra di pericoli. Una gara di coraggio e di abilità che ha come posta la vita stessa.
Lei La notizia trapela e bisogna stare in guardia. Come in un gioco infantile all'aria aperta. Sul seggiolino del dondolo, s'avvicina irruenta svettando in alto. Si ritrae e s'allontana. Repentinamente. Si muove in qua ed in là, oscillando. Il moto non ha mai fine. Altrettanto insondata e misteriosa l'origine di questa presenza che diviene ombra. Sta di fatto, che ora offre alla vista di lui la sua intimità più sincera, ora, indietreggiando con la stessa veemenza dell'avanzata, la più introversa delle oscurità. Lui, fermo, calmo, pare attenderla per rapirla definitivamente tra le sue braccia - soave dono della vita – per poi accettare, immoto, la rinnovata lontananza di lei. Così trascorrono, secondi, minuti, giorni, mesi ed anni. L'andamento è altalenante, è anomala scansione d'una storia lanciata nel vorticoso vento dei balzi, a più riprese effettuati in avanti, e nella tempesta del risucchio dissolvente all'indietro. Acqua piovana, neve, sudore sui loro corpi scolpiscono i cambiamenti che il tempo procura, mentre le fattezze mutevoli brillano, sollecitate dal freddo penetrante e dal caldo avvolgente di ignare stagioni. Giocano alla vita. Tempi dilatati, l'attesa dell'incontro, tempi compressi, veloci nel concedersi il piacere. Repentini baci ed eterne argomentazioni. Fugaci sorrisi e ridondanti convinzioni. Sguardi spietati e definitivi e ricordi ingombranti. Questa l'altalena tra loro. Con i piedi piantati in terra – sempre in bilico tra il tuffarsi deciso incontrandola ed il voltarsi per andar via senza rituali saluti -, saldo come una quercia strapazzata dall'acquazzone, lui osserva le sue volute disegnarsi nell'aria. Attende d'essere svegliato all'alba ed ancora cercato al tramonto. Attende. Lei, gustoso miele che cola in bocca, si diletta un poco come fanciulla, eccitata e smarrita, che ha appena intuito la libertà. Cerca la libertà di movimento, prigioniera del suo scherzo. Continua l'altalenante movimento. Incerta sul da farsi. Continuare il dondolio. Fermarsi per poi riprendere. Scendere. Allontanarsi da sola. Accettare l'abbraccio dell'uomo che l'attende.
Giovanni Dursi
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