
Agamennone Tullio Ascanio.
Beep, beep... lo schermo dello smartphone personale s'illumina. La schermata è chiara, limpida e soprattutto porta una bella notizia. “In data odierna sono stati accreditati € 25.000”. Da qualche anno capita spesso di ricevere queste belle notizie. In fondo essere l'amministratore delegato (o come piace dire oggi alle nuove generazioni il CEO) di una società di marketing che opera in tutto il mondo ha i suoi vantaggi. Ma logicamente non è stato sempre così. Il tempo è trascorso lento. Le stagioni si sono avvicendate e il lavoro è stato tanto e soprattutto duro. Seduto sulla veranda della mia piccola casetta di montagna. Qua mi rifugio appena mi è possibile. Rigorosamente da solo. Anche perché è veramente una piccola casetta. Un soggiorno con camino, una piccola camera da letto e un bagno. Ma ho preferito così. È stato il primo regalo che mi sono fatto anni fa. È il mio piccolo rifugio, quasi segreto, dove vengo a rinchiudermi per festeggiare un successo ma anche per riflettere su qualche delusione. E oggi si festeggia una vittoria professionale e personale. Seduto sui gradini. Il mio classico sigaro Italico (rigorosamente ammezzato) acceso in bocca. Due dita di Jack Daniels' (in bicchiere di vetro squadrato) a inebriarmi la mente mentre osservo nuvole scure addensarsi oltre le cime di vecchie querce con il sole che ogni tanto ha il coraggio di farsi vedere come se giocasse a nascondino con la natura. Quando salgo su queste montagne porto solamente il necessario. Lascio tutto quello che uso per la vita quotidiana nella casa di città. Tablet, pc, telefono aziendale. Solamente tre persone hanno il numero dello smartphone personale. Mia moglie Elisabetta, la mia segretaria Lucia e il direttore della banca Massimo (nonché il mio più grande amico). E sanno che dovranno contattarmi solamente per emergenze. Qua non voglio essere assolutamente disturbato. Nessuno deve rompermi le balle. Voglio godermi ogni attimo di questa pace. Voglio credere che tutto il mondo che mi circonda possa essere in pace con sé stesso come questi luoghi. Ma so che non è assolutamente cosi. Tutti corrono. Tutti hanno uno scopo (molte volte subdolo e sporco). Tutti vogliono avere successo, fama, denaro. La vita si basa solamente su quanti soldi hai accumulato. Su come ti vesti. Con quale auto vai in giro. Ho capito che il denaro, la fama, il successo sono importanti. Non ho mai creduto alla storiella di due cuori e una capanna. Alle storielle che l'importante è la salute. Sono cinico? Non lo so...ma se hai denaro, se hai potere tutto si sistema. Con il denaro, spesso (anche se non sempre) anche la saluta ritorna... Ma ho capito anche che la vita va goduta. Tanto lavoro. Tanti sacrifici (purtroppo anche familiari) devono portare a farti sentire felice. A goderti di tutti quegli attimi che la vita può regalarti. Perché il denaro risolve tutto...ma la morte puttana non guarda in faccia nessuno... Mi chiamo Agamennone Tullio Ascanio
Lampedusa
Io e Massimo avevamo sbagliato a farci i conti. Una vacanza in qualche isola greca andava ben oltre le nostre possibilità. Massimo, al contrario di me, ero molto attaccato allo studio. Anche in estate lui stava sempre sui libri. Gli piacevano i numeri e soprattutto l'economia e la sua ambizione era poter lavorare in qualche istituto bancario. Logicamente già da tempo aveva deciso che dopo la maturità si sarebbe iscritto a Scienze Bancarie. Ma rimanendo sempre sui libri, anche durante le vacanze estive, non poteva certamente pensare di lavorare per poter mettere da parte qualcosa per le vacanze. Il suo badge era quello che i suoi genitori potevano regalargli. Di conseguenza niente isole greche. Per necessità abbiamo optato per la più vicina ed economica Lampedusa. E devo dire che è stata una meravigliosa scelta. Un clima spettacolare. Spiagge meravigliose. Le persone del luogo affabili e sempre disponibili. E poi un giorno, spiaggia Dei Conigli: una ragazza distesa al sole. Il corpo abbronzato e contemporaneamente bagnato dalle acque cristalline. Folti capelli neri che incorniciavano un perfetto viso ovale. Due occhi verdi. Una bellezza mozzafiato. A diciotto anni non pensi al futuro. Non credi che una donna (o meglio una ragazza) possa sconvolgerti la vita. Pensi solamente a divertirti. A farti una bella scopata e via. Credi che tutto ti sia dovuto e che il futuro sia lontano, imprevedibile, oscuro. Eppure quello sguardo, quegli occhi verdi mi fecero venire i brividi. La sua presenza mi intimoriva. Avevo paura anche ad avvicinarmi. Sembravo uno squalo che si aggira attorno alla sua preda. Ma qualcosa mi impediva di fare il primo passo, di conquistarla. I giorni passavano. Ma di quella ragazza non sapevo assolutamente nulla. Come si chiamava. Quanti anni aveva. Cosa faceva nella vita. Se era una del posto o anche lei era lì in vacanza. Ma tutti i giorni era lì, in quella spiaggia. Alcune volte da sola, altre volte con delle persone adulte (i genitori?). Alcune volte i nostri sguardi si incrociavano. Sentivo i suoi occhi su di me. Sapevo che mi guardava con aria interrogativa. Sicuramente si aspettava una mia mossa. Ma io ero bloccato. Massimo, logicamente mi prendeva in giro per questo mio comportamento. Non era da me. Ero stato sempre estroverso. Non mi ero mai spaventato a farmi avanti di fronte a una bella ragazza. Avevo un bel fisico. Non avevo mai fatto sport, ma avevo la fortuna di bruciare tutto ciò che mangiavo e non avevo un filo di grasso. E questo mi aveva sempre avvantaggiato nell'approccio con l'altro sesso. Ma con questa ragazza era diverso. Il suo aspetto. Il suo sguardo. Il suo portamento. Tutto di lei mi intimoriva. I giorni passavano. Mare. Falò sulla spiaggia. Serate al pub a bere sino a rimanere storditi. Mi ero imposto di non andare più alla Spiaggia dei Conigli. A Lampedusa c'erano altre decine di meravigliose spiagge in cui andare. Così avrei evitato di rivedere quella dea. La sua presenza mi faceva stare male. Mi intimoriva. Il non vederla mi faceva sentire sollevato. Ma la notte, poco prima di chiudere gli occhi, quel viso, quello sguardo mi apparivano davanti come un flash. Ma chi eri? Perché mi avevi preso in questo modo? Aeroporto di Lampedusa. Non so se lo avete mai visto? È un piccolissimo scalo. Sembra quasi qualcosa di familiare, di intimo. Nulla a che vedere con gli aeroporti di Milano, di Roma. Il volo è alla mattina presto e noi la sera prima abbiamo festeggiato alla grande. Alcool a fiumi. Qualche cannetta. I nostri occhi sono nascosti da occhiali scuri. I nostri riflessi sono simili a quelli di un bradipo. Con lo zaino in spalla ci avviciniamo all'imbarco. In fila, educati, come tanti piccoli soldatini. Una risata, allegra, gioviale, sfrontata, fresca mi giunge da dietro. Faccio l'errore di girarmi verso quel suono. Quegli occhi verdi mi abbagliano. Maledizione. La fata. La dea è proprio dietro di me. Lo stesso volo. La stessa destinazione...forse. Cerco di svegliarmi. Di darmi un contegno. Sento, so di essere inguardabile. Ancora l'alcool scorre dentro le mie vene. Il cervello è ancora un po' annebbiato dalle cannette. Mi vergogno. Mi giro di scatto. Vorrei sprofondare nel sottosuolo. Vorrei essere lontano anni luce. Vorrei essere nel grembo di mia madre, attaccato a lei con il cordone ombelicale. Non posso però scappare. Non posso nascondermi. Mi voglio girare. Guardarla. Chiedergli come si chiama. Chi è. Cosa fa....
Giada
I nostri sguardi si incrociano ancora una volta. I suoi occhi verdi mi scavano a fondo. La sua mente penetra nella mia. Così come era accaduto in spiaggia. Rimango senza parole. Senza fiato. Entro in apnea. Sono bloccato sulla porta. Io che devo uscire e lei che sembra voglia entrare. Ma come è possibile? La mia dea a un controllo della finanza. Ma il suo sguardo è sereno. Tranquilla. Non ha nulla da nascondere. Si vede. Sembra a suo agio in quel posto. Che sia anche lei una della finanza? Ma è troppo giovane. Avrà forse la mia età. “Ciao Giada. Entra pure”. La chiama il giovane finanziere che mia aveva perquisito prima. Mi giro. Lo guardo bene. Il cane ancora al guinzaglio ha un non so che di ostile nei miei confronti. Un lampo di lucidità. Una somiglianza tra lui (non il cane, il giovane finanziere) e la mia dea. Sono parenti? Forse fratello e sorella? Finalmente mi risveglio dal mio torpore. Anzi è lei che mi fa svegliare. Mi rivolge la parola. “Scusa, mi fai passare o vuoi rimanere sulla porta tutto il giorno?” Scoppia a ridere. Una risata allegra. Felice. Una bocca perfetta. Dei denti bianchissimi. Mi sposto di lato senza riuscire a dire una parola. Lei mi passa davanti ancora ridendo e poi corre felice verso il giovane finanziere. “Fratellone mio...quanto tempo...”
Marco Veriani
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