I fantasmi non esistono, tranne, forse, quelli dentro di noi.
«50... 49... 48...» Mentre sua sorella iniziava il conto alla rovescia, Sara si guardava intorno freneticamente. Dove posso nascondermi? pensò. Il primo posto in cui l'avrebbe cercata sarebbe stato in soffitta, che era la parte che preferivano della casa dei nonni. La mente di Sara si soffermò su tutti quegli oggetti antichi con cui erano solite giocare e lasciar volare la fantasia: le vecchie porcellane, con cui fingevano di fare una cerimonia del tè come signore altolocate, i libri di scuola della mamma, con cui giocavano a fare le maestre, e quel vecchio divano polveroso su cui si accoccolavano per leggere i fumetti dello zio: Dylan Dog, “l'indagatore dell'incubo”. Le gemelle, di dieci anni, erano consapevoli che la madre avrebbe disapprovato le loro letture, destinate probabilmente a un pubblico più adulto come lo zio, venticinquenne, che aveva da poco riposto quei fumetti in soffitta. Tuttavia, non si lasciavano facilmente impressionare da quei racconti un po' horror sul paranormale e mantenevano una sicurezza incrollabile nella non-esistenza di fantasmi, mostri e simili. Entrambe grandi lettrici fin dall'infanzia, avevano sempre saputo distinguere tra realtà e fantasia. Anche se ancora bambine, quando avevano letto storie come Alice nel Paese delle Meraviglie, non si erano mai illuse della possibile esistenza di mondi segreti o personaggi magici. Si sentivano troppo sveglie e intelligenti per credere alle favole. «37... 36... 35...» La voce della sorella, impegnata nel conteggio, la distolse dai suoi pensieri. Doveva cercare un nuovo nascondiglio, stavolta non si sarebbe fatta trovare tanto facilmente. Decise di scendere al piano terra, dove tra gli attrezzi del nonno, i sacchi di mangime per i polli e la cantina dedicata alla stagionatura dei formaggi, non mancavano certamente validi nascondigli. Optò per rannicchiarsi dietro alle damigiane contenenti il vino fatto dal nonno, dove la fioca luce del tardo pomeriggio faticava a intrufolarsi. Ma, all'improvviso, cambiò idea: in un angolo prossimo alla porta, appoggiate al muro, giacevano le canne da pesca dello zio. La sua mente si volse immediatamente al fiume, poiché il terreno circostante la casa confinava con il corso d'acqua. Bastava attraversare i vigneti del nonno e scendere leggermente per raggiungerlo. Sua sorella avrebbe impiegato parecchio a trovarla lì. Appena raggiunto il fiume, iniziò a scrutare attorno: numerosi massi spiccavano nell'acqua, e lei era abituata a saltare da uno all'altro per attraversare. Spesso lo zio portava le nipotine con sé durante le sue sessioni di pesca. Proprio di fronte a lei, sulla sponda opposta, individuò un'enorme roccia che si presentava come il nascondiglio perfetto. Quel giorno il vento soffiava deciso, l'acqua scorreva più impetuosa del solito scagliandosi con forza tra le pietre. Sara notava chiaramente che le rocce erano bagnate e, con le sue ballerine ai piedi, avrebbe rischiato uno scivolone. L'acqua era abbastanza bassa in quel punto, ma se si fosse bagnata... già le sembrava di sentire i rimproveri della mamma. Guardò intorno alla ricerca di un altro nascondiglio, ma non trovò nulla di meglio: il punto perfetto era proprio quello di fronte a lei. Doveva solo attraversare il fiume per raggiungerlo. Diede un'occhiata rapida al suo orologio, quello con il cinturino di gomma rossa che lo zio aveva regalato a entrambe. A parte quell'accessorio, le due gemelle non avevano molto in comune. Sara aveva i capelli chiari e gli occhi azzurri ereditati dalla mamma, con lineamenti dolci, una predilezione per i vestitini rosa e le ballerine che la facevano sembrare una bambola. Al contrario, sua sorella aveva i capelli e gli occhi castani del padre, un viso più spigoloso e preferiva vestire con jeans e scarpe da ginnastica. Neanche il carattere le accomunava: nonostante le apparenze, la dolce Sara era il vero maschiaccio tra loro: avventurosa e intraprendente, era sempre lei a finire nei guai, mentre sua sorella, più timida e introversa, era la più saggia e prudente delle due. Nonostante ciò, la accompagnava nelle sue avventure e la difendeva in ogni situazione, arrivando persino a prendersi la colpa per le idee strampalate che erano sempre di Sara. Era nata solo pochi minuti prima di lei, eppure si comportava da sorella maggiore in ogni aspetto. A quel punto, il conto alla rovescia era quasi sicuramente terminato e sua sorella probabilmente la stava già cercando in soffitta. Ho ancora un po' di tempo prima che arrivi fino qui, pensò tra sé. A circa una ventina di metri sulla sinistra, poteva vedere il piccolo ponticello di legno dove il corso del fiume si allargava e l'acqua diventava molto più profonda. Guardando verso il ponte, si rese conto che il livello dell'acqua era notevolmente più alto del solito. D'altra parte, era il primo giorno di sole dopo una settimana di pioggia. Decise di fare una veloce corsa, attraversare il ponte e poi raggiungere la roccia dove si sarebbe nascosta prima che sua sorella potesse vederla. Non appena si avvicinò al ponticello di legno notò il fiume ribollente sotto di lei, ma, armata di tutto il suo coraggio, con determinazione iniziò ad attraversare. A ogni passo, percepiva la forza della corrente e il legno vibrare sotto i suoi piedi. Poi, in un istante, il ponte cedette con un fragore assordante, trascinandola nella tumultuosa danza dell'acqua alta. Sara chiuse gli occhi e subito pensò a sua sorella: cercami, sussurrò mentalmente, come se potesse in qualche modo raggiungerla telepaticamente. Poi, tutto ciò che sentì fu il fragoroso suono dell'acqua.
“Sognai l'altra notte che tornavo a Manderley. Mi pareva di essere al cancello che dà sul viale d'ingresso, e non potevo entrare: la via era sbarrata...” Laura chiuse gli occhi per un istante... poteva quasi vedere il cancello di Manderley. Era la terza volta che si apprestava a rileggere quello che era sempre stato il suo libro preferito: Rebecca, la prima moglie di Daphne du Maurier. Fin da quando ne aveva memoria, era stata un'avida lettrice. La maggior parte dei libri che aveva letto da ragazza li aveva trovati nella soffitta della casa dei nonni paterni, in una piccola cittadina veneta. La madre, invece, era originaria delle Marche, ma non tornava mai volentieri nella casa dei suoi genitori. Tuttavia, una volta, quando Laura aveva circa quindici anni, lo zio era venuto a far loro visita e, su sua richiesta, le aveva portato i libri che la madre leggeva durante la gravidanza, tra cui Rebecca, la prima moglie. Forse aveva ereditato da lei l'amore per la lettura. Lavorando nella piccola libreria in centro, dove l'afflusso di clienti era abbastanza limitato, non le era difficile trovare il tempo per leggere. Adorava il suo lavoro, amava il profumo dei libri e il suono sommesso dello sfogliare delle pagine. A diciannove anni, Laura si era diplomata all'Istituto Tecnico Economico perché suo padre, operaio in un'acciaieria da diversi anni, era convinto che un giorno avrebbe potuto lavorare come impiegata nella sua stessa azienda. Nonostante non amasse particolarmente la contabilità e le materie economiche, non se l'era sentita di deludere le aspettative del padre, a cui era molto legata. Appena diplomata infatti, grazie alle sue raccomandazioni, era stata assunta nell'ufficio amministrazione dell'acciaieria, dove si occupava di compiti che le risultavano noiosi e ripetitivi, come registrare fatture e stampare documenti di trasporto. Tuttavia, il suo lavoro lì non durò molto a lungo. Ad appena un anno dalla sua assunzione, un terribile incidente sul lavoro causò la morte di suo padre, di soli quarantacinque anni, a seguito delle ustioni riportate dal rovesciamento di una siviera piena di acciaio fuso. Dopo cinque anni, il processo si era concluso stabilendo che la disgrazia fosse dovuta a una terribile fatalità e che nessuno potesse essere ritenuto responsabile. Nonostante Laura e sua madre avessero ricevuto un ingente risarcimento, i soldi non riuscirono a lenire il dolore per quella tragedia e la loro prematura perdita.
Margherita Gagliardi Tonin
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