Nausea, vertigini, sudore freddo, dolore alle ossa, dolore muscolare, disorientamento....sembrava di essere finiti in una lavatrice con la centrifuga azionata. Passare per il portale non era stata una passeggiata ma nonostante tutto Amina e Arès arrivarono a Tollgwill mano nella mano, come sempre. Un enorme e millenaria quercia nodosa aprì un varco celeste e sputò letteralmente fuori i due ragazzi. Ci volle qualche secondo per riprendersi, gli sembrava di aver camminato per ore, si sentivano stremati e soprattutto non capivano dove diavolo fossero. Si guardarono intorno alla ricerca di quel buffo individuo che li aveva catapultati lì, pensarono addirittura di essersi immaginati tutto. Amina non credeva ai suoi occhi, intorno a lei c'era una distesa verde, ovunque si girasse vedeva la natura. Niente case, palazzi, smog, traffico. Forse erano in un bosco, faceva caldissimo, il sole brillava come non mai, il naso le pizzicava per l'aria rarefatta, il cielo era di un azzurro cristallino, nell' aria si sentiva un profumo mai provato prima. Era forse quello il paradiso? Il portale si trovava a un livello rialzato rispetto a tutti gli altri alberi. Da lassù Amina si accorse che c'erano alberi a perdita d'occhio, erano di tutti i tipi. Non era un'esperta di botanica ma riconobbe pini, salici, faggi e abeti. Non vedeva l'ora di tuffarsi in tutto quel verde. Poi guardò il fratello che ancora non si era ripreso dal «viaggio», cercò di non sorridere, di non fargli capire che quel posto per lei era stupendo perché magari lui la pensava diversamente. «Come stai?» gli chiese. «Come vuoi che stia? Come uno che è stato mangiato e poi vomitato da un cazzo di albero... e tu?» chiese cercando di calmarsi. «Bene, credo!» «Ma che posto è questo?» «Benvenuti a Tollgwill, figlioli» disse il vecchio che si era cambiato e ora appariva ancora più strano di prima. Vestito di bianco almeno sembrava umano, ora assomigliava più a un pezzo d'albero. Completamente vestito, con quelle che sembravano foglie, l'uomo finalmente si presentò. «Mi chiamo Gilam e ho una lunga storia da raccontarvi. Bentornati a casa gemelli della profezia!». I due si guardarono dubbiosi, se fossero già stati in quel posto di sicuro lo avrebbero ricordato. O no? «Vi vedo senza parole e poi starete morendo di caldo e di fame, venite con me» gli diede le spalle e iniziò a camminare. Dopo una ripida discesa si lasciarono la quercia alle spalle. In pianura il panorama era ancora più incredibile. I ragazzi si sentirono per un attimo in un libro di favole, c'erano colori formidabili e fiori ovunque, migliaia di alberi di varie dimensioni ma non c'erano tracce di nessun essere umano. Arès decise di evitare altre domande, la situazione era già bizzarra di per sé. Mentre i due si guardavano intorno, il vecchio si fermò di fronte ad un ulivo particolare, sembravano due alberi intrecciati tra loro, era bellissimo. Un'unica chioma verde sopra due tronchi grigiastri forti e robusti, quasi uniti tra di loro. «Eccoci arrivati, entriamo» disse sorridendo Gilam. «Eh no, un altro viaggio come quello di prima io non lo faccio». Stavolta la sorella gli diede ragione, aveva ancora la nausea. «Tranquilli figlioli, questo non è un portale, è una casa!» per dargli conferma di quello che diceva aprì una porta rotonda di legno ed entrò. «Ok Arès, andiamo, dobbiamo fidarci non abbiamo altra scelta» si presero per mano e entrarono letteralmente nell'ulivo. Tra le tante cose che si aspettavano di trovare Amina e Arès, niente era paragonabile a quello che invece si trovarono davanti. Era una casa, una vera casa, completamente fatta di legno. Bella, accogliente, calda, luminosa, profumata, ogni dettaglio era perfetto. Sul pavimento di legno c'era un tappeto rosso, a sinistra un tavolo di legno, a destra del tappeto crepitava il fuoco nel camino, e davanti a loro c'erano una ventina di persone, a dir poco stravaganti, mai viste prima. Amina e Arès furono accolti da baci, abbracci e bentornati e i due fratelli si sentirono più smarriti e confusi che mai. Guardando Arès, e trovando nei suoi occhi solo rabbia e confusione, Amina decise di prendere lei la parola, anticipandolo. «Ciao a tutti, noi vi ringraziamo per il vostro caloroso benvenuto o bentornato ma come potete immaginare siamo un po'...come dire...smarriti?! Ecco non sappiamo dove siamo, non sappiamo nemmeno più chi siamo a questo punto. Vediamo voi così contenti ma non sappiamo perché, a dire il vero non sappiamo più nulla ormai. Per favore potete spiegarci qualcosa?» Amina stava cercando di rimanere calma ma le veniva da piangere, aveva dentro di sé mille emozioni contrastanti: rabbia, paura, meraviglia, confusione. Sapeva che anche Arès si sentiva come lei ma lui non sarebbe rimasto calmo ancora a lungo. A quel punto le si avvicinò una bellissima donna dai capelli bianchi raccolti in una treccia e gli occhi grigi, con un viso di una dolcezza disarmante. «Hai ragione cara, io sono Erova, la moglie di Gilam. Abbiamo tante cose da spiegarvi, ci siamo fatti tutti prendere dall'entusiasmo, vi aspettiamo da diciotto anni. Venite, sedetevi» e fece cenno a tutti di andare via e lasciarli soli. Poi spostò delle sedie dal tavolo per farli accomodare. Arès continuava a rimanere in silenzio, anche se avrebbe voluto urlare per la frustrazione, mentre lì erano tutti così calmi... Erova prese la parola mentre suo marito la guardava con ammirazione e amore. Amina, per un attimo, li invidiò. «Non so da dove iniziare, in qualsiasi modo lo dirò vi cambierà la vita. Noi non siamo umani, siamo driadi.» «Umm e quindi?» brontolò Arès quasi annoiato ormai. «Ok, non sapete cosa sono le driadi, vero?» i due fecero segno di no col capo ed Erova continuò. «In parole povere le driadi sono come delle ninfe dei boschi. Ogni volta che nasce una driade nasce anche un albero, a seconda del carattere che avrà quella driade, nasce un tipo di albero. Quest'albero cresce con lei e poi diventerà la sua futura casa quando essa raggiungerà l'età matura per vivere da sola. Se l'albero viene ucciso morirà anche la driade. Possiamo vivere anche migliaia di anni. Ognuno di noi nasce con un dono. Io ad esempio sono una guaritrice, mio marito invece governa l'aria. I vostri genitori, Leeko e Minea, governavano l'aria e il fuoco... » Arès si alzò in piedi e batté il pugno sul tavolo. «Cosa diavolo sta dicendo? Mia madre si chiama Anna ed è un'infermiera e mio padre, Lorenzo, è morto anni fa. Amina andiamocene!» Arès era davvero intenzionato ad andarsene, anche se non aveva la più pallida idea di come ritornare a casa, forse stava sognando, forse con un pizzico abbastanza forte si sarebbe svegliato. Amina lo raggiunse e lo prese per mano. «Arès ascoltiamo tutto quello che hanno da dire, forse si è sbagliata, ci stanno confondendo con qualcun altro. Per favore». A quello sguardo Arès non poteva resistere, avrebbe ascoltato tutto e poi si sarebbe fatto riportare a casa sua. Si sedette di nuovo. Erova continuò «Vi racconto una storia: tanti secoli fa una profezia è comparsa sull'antico salice al cospetto dell'oracolo Obe e sappiamo che questa profezia parla di voi. Quando nasce una driade sulla sua fronte compare per pochi istanti il simbolo del suo dono e sulle vostre sono apparsi due simboli che non avevamo mai visto ma che temevamo, perché la profezia parlava proprio di luce e ombra. Inoltre non sono mai nati due gemelli, mai e lo so perché li faccio nascere io qui i bambini. Così appena siete venuti al mondo abbiamo dovuto mettervi in salvo, e i vostri genitori hanno deciso di mandarvi nel mondo umano per proteggervi, almeno finché non vi foste svegliati al vostro diciottesimo compleanno. Giorno che coincide con l'equinozio d'autunno del 2003 esattamente alle 10 e 47 del mattino. Purtroppo Deja ha scoperto della vostra nascita per via di questo ulivo che si è formato con due tronchi intrecciati tra loro ed è venuta per prendervi. Non trovandovi ha dato fuoco agli alberi dei vostri genitori che sono morti.». Scossi com'erano Amina e Arès non si erano accorti delle copiose lacrime sul volto dei due vecchi. Il silenzio regnò per qualche istante, Amina sentiva dentro di lei che quella era la verità, la risposta alle sue mille domande, la cura alla sua sensazione di inadeguatezza con la quale viveva da sempre. Arès, di contro, era arrabbiato, non poteva accettarlo e se era vero, allora, odiava che qualcuno avesse scelto il suo destino al proprio posto. «Scusatemi ragazzi, non sono io quella che dovrebbe crollare, ma vedete Leeko era nostro figlio!». Amina ebbe un brivido, quindi se Leeko era suo padre e loro i suoi genitori quelli erano i loro nonni. I gemelli non avevano mai avuto dei nonni, non che fossero morti ma erano spariti dopo la morte di Lorenzo, mentre Anna era orfana. «Quindi voi ci state dicendo che la nostra vita è una bugia, che siamo stati adottati, che abbiamo dei poteri e voi siete i nostri cazzo di nonni magici» Arès rise di gusto e si alzò per andare davanti al fuoco. «Ehi ragazzo, non rivolgerti così a mia moglie» scoppiò Gilam, poi si calmò e aggiunse: «Lo so che sembra assurdo ma è la verità. Non ti sei mai sentito fuori posto? Non ti accorgevi che non somigliavi a nessuno, non hai mai sentito di essere diverso?». «Si ma sono un adolescente cazzo, tutti si sentono così.» «Ma nessuno va in giro a sparare fasci di luce o ombre che escono dal proprio corpo Arès» lo rimbeccò Amina. «Si, siamo sconvolti ma ammettilo che vita stiamo facendo? Quante domande e dubbi avevamo e quante paura? Ora abbiamo delle risposte!» «Risposte assurde Amina, o crederai che esistano davvero queste diadi o driadi o come si chiamano loro, svegliati sorella, sei maggiorenne e credi ancora nelle favole!» Amina scoppiò in lacrime e si sedette di nuovo, forse il fratello aveva ragione, era un'illusa, aveva così bisogno di avere delle risposte da credere a tutto, anche alla magia. «Figlioli state calmi, capiamo che è difficile da digerire ma dovete restare uniti ora più che mai. Avete molto da imparare e ... Arès per la cronaca anche tu sei una driade!» disse Gilam sorridendo. Erova guardò i suoi nipoti, Arès era uguale a suo padre e Amina era stupenda come la madre. Avrebbe voluto abbracciarli forte e recuperare il tempo perduto ma non era il momento. Nella migliore delle ipotesi ora la odiavano e le venne un nodo in gola. «Questa è casa vostra, quest' ulivo è nato quando siete venuti al mondo e noi lo abbiamo protetto e arredato sperando vi piacesse. Nell'armadio ci sono i vestiti che indossano le driadi, metteteli non sentirete né caldo né freddo. Sono ignifughe e idrorepellenti. Si adattano al vostro fisico, li ho fatti io. Noi vi lasciamo soli!» Prese il marito per mano e uscirono lasciando i due ragazzi soli, spaventati, impauriti e più confusi che mai.
Barbara Busiello
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