Erano le sei del mattino, finalmente l'aereo stava atterrando. Dopo diciannove ore e trentasei minuti di viaggio le ruote toccarono terra. Un sollievo per i viaggiatori. Con un lacerante rumore, il capitano attivò i freni. L'aereo proveniva dall'Antartide. Per tanti era un viaggio di piacere e per la curiosità di vedere tanto ghiaccio. Mentre per molti era un viaggio da dimenticare. Lavorare a quelle temperature rigide era veramente una scommessa con se stessi. Il volo 1937, oltre centocinquanta passeggeri stanchi, si apprestava alla fine della corsa. L'aereo sulla pista proseguiva lentamente per raggiungere il suo parcheggio. Il sedile numero 22b della prima classe era parzialmente reclinato, anche se il capitano aveva annunciato le regole per l'atterraggio. Il passeggero era avvolto in una coperta della compagnia aerea, e respirava con fatica. Il suo volto era pallido come un bicchiere di latte. Un uomo giovane, sui trent'anni, con i capelli folti elegantemente pettinati di lato. Oltre all'evidente attrattiva fisica, aveva anche un'ineffabile qualità: fascino, carisma ed era un bravo seduttore. Era un famoso fotografo di un'importante agenzia di Milano: - Photo Home - . In quell'istante Max; questo era il suo nome, era in una condizione di malessere e aveva perso parte delle sue qualità, anche se aveva il volto abbronzato, quasi fosse bruciato, per il lavoro svolto all'aperto sui ghiacciai. I suoi occhi chiari, di un bel colore verde, rispecchiavano e brillavano più del solito. Sul viso, oltre alla barba appena cresciuta e non curata, si notava il suo malessere. Era stanco e aveva la febbre a trentotto. I brividi di freddo erano durati per tutto il viaggio. I suoi lamenti infastidirono la persona seduta vicino a lui. Per fortuna quel posto era occupato dal suo assistente: Roberto. E dietro erano seduti i loro due collaboratori. Avevano affrontato in quattro l'avventura dei ghiacciai. Max aveva accettato il lavoro con entusiasmo, anche perché quei soldi guadagnati aveva deciso di investirli in un suo progetto. Prima di partire parlò con il suo assistente per realizzare una mostra personale, con fotografie in bianco e nero. Il suo lavoro era di rappresentare le due cose più importanti della terra: la natura e la donna. Non aveva idea del titolo della mostra, ma per quello aveva tempo. L'entusiasmo di Max svanì appena mise piede all'Antartide. Lui non sopportava molto il freddo, a lui piaceva il caldo. Il mare era la sua passione. Sceso dall'aereo, subito avvertì un freddo fuori dal comune, rimpianse subito la sua scelta. Il progetto che gli fu affidato era importante. Una testata giornalistica aveva ordinato all'agenzia un reportage per realizzare un libro sui ghiacciai. Il compenso era molto remunerativo e Max, pensando alla sua mostra, aveva accettato l'incarico senza pensare alle conseguenze. Una volta che i suoi piedi toccarono l'Antartico, si trovò a tremare come una foglia. Nonostante tutto, il primo giorno lo affrontò con entusiasmo. Imbottito di maglione e pantaloni pesanti, uscì dall'hotel con l'adrenalina giusta. Dalla reception aveva prenotato una guida. Non voleva perdere del tempo a cercare sulle mappe le zone più ricercate. La guida fu puntuale, con sé aveva una Jeep. Max e i suoi collaboratori caricarono l'attrezzatura e si diedero il cinque per iniziare un'avventura strabiliante. La guida parlava poco, mentre loro quattro facevano commenti su ogni cosa che incontravano. Il viaggio durò circa un'ora. Fermata la Jeep in un parcheggio lontano dai ghiacciai, Max e i suoi collaboratori montarono gli zaini sulle spalle e cominciarono a seguire l'uomo davanti a loro. Il chiacchiericcio continuava, ma cominciavano a sentire la pelle seccarsi. Le labbra cambiavano di colore. La giornata era limpida, nel cielo splendeva un sole magnifico, ma il freddo era pungente. La luce che rifletteva sui ghiacciai era accecante. Loro strizzarono gli occhi e si trovarono davanti ad un paesaggio impressionante, si fermarono ad ammirare in silenzio. Le bocche erano rimaste spalancate. Mai visto uno spettacolo del genere. Max al volo fece degli scatti, anche se sapeva che non gli serviva a nulla, ma la voglia di vedere quella meraviglia nel mirino della macchina fotografica era travolgente. La guida distribuì a tutti della crema per le labbra e per la pelle. Sapeva che a contatto con i ghiacciai avrebbero avuto dei problemi. Max chiese ai suoi collaboratori di iniziare il lavoro. Cambiarono le scarpe, e utilizzarono quelli con dei chiodi alle suole, per avere maggiore aderenza sul ghiaccio. L'idea di Max era di fotografare i ghiacciai da vicino per cercare di trasmettere il più possibile le stesse emozioni che stava provando. Al primo contatto con un ghiacciaio caddero tutti e quattro. Scoppiò il primo divertimento tra di loro. Il lavoro proseguiva nel miglior modo possibile. L'ultimo sforzo per completare il reportage era scattare alcune immagini sul ghiacciaio Aaron, lungo circa 6,4 km e situato nell'entroterra della costa di Zumberge. Mancava ormai poco a terminare il lavoro, ma sentì sommergersi da un'angoscia e dalla paura. Tremava. L'aria fredda circondandolo gli aveva aumentato il tremolio. Strinse i denti e si catapultò nel lavoro per realizzare le ultime foto, il giorno dopo si rientrava in Italia. Anche se era l'inizio di maggio, si registrava una temperatura di meno cinquanta. L'ultimo giorno di lavoro gli fu fatale, il brivido di freddo si trasformò in febbre. La temperatura corporea arrivò a trentanove. Con l'aiuto della guida ritornarono nel loro hotel. Max rientrò nella sua camera, sperando che fosse solo un momento di panico, invece il termometro gli confermò che aveva trentanove di febbre. Max era ben coperto, indossava due pantaloni e cinque maglie di lana pesanti, cappello e i guanti. Giurò a se stesso di non accettare più un incarico del genere. Maledì la sua scelta. La mattina seguente partì ugualmente, aveva voglia di scappare da quel posto freddo. Oltretutto il caldo pesante della camera gli faceva venire l'asma. Decise di partire anche con la febbre a trentanove. Il suo assistente e i suoi collaboratori lo sostennero fino all'imbarco. Seduto in prima classe, Max prese a respirare meglio e la febbre cominciò a scendere lentamente. Le hostess gli diedero sostegno in tutto, gli portarono delle coperte per la notte e delle bevande calde ogni due ore. Lui inghiottì della tachipirina ogni sei ore, e cercò distogliere dalla sua mente il problema leggendo i suoi libri preferiti: i thriller. Leggeva i più classici come: Arthur Conan Doyle, autore di Sherlock Holmes; Agatha Christie; Simenon con il suo commissario Maigret. E i più moderni: Stephen King, Dan Brown e Richard Castel. Non partiva mai per un viaggio, senza avere nella valigia almeno tre dei suoi libri. Ai suoi piedi, un libro semiaperto. Stava leggendo Richard Castle: - HeatWave - . Durante il viaggio aveva letto le prime cinquanta pagine, poi era crollato in un sonno profondo. Quando l'effetto della tachipirina svanì, si svegliò e iniziò a lamentarsi. L'aereo era parcheggiato, la scaletta si avvicinò al velivolo, ormai era tutto finito. L'hostess aprì il portellone con forza, e l'aereo fu invaso da aria pulita e fresca. I passeggeri ebbero la sensazione di respirare meglio, tutti si apprestarono a prendere il bagaglio a mano e a dirigersi all'uscita. Max rimase avvolto nella coperta, aspettò che uscissero tutti. Nel frattempo Roberto e i collaboratori, presero le borse con l'attrezzatura fotografica e aspettarono di uscire con Max. Il corridoio si liberò ampiamente, con il portellone aperto l'aria viziata uscì, facendo spazio a quella nuova. Max respirando meglio, si accorse che i suoi brividi stavano svanendo. Si tastò la fronte, era fredda. Sorrise. Alzò gli occhi e guardò Roberto, che era rimasto al suo fianco. I suoi occhi verdi brillarono di nuovo. Roberto gli sorrise. A Milano si registrava una temperatura di diciassette gradi, era tutt'altra cosa. Max e suoi amici uscirono dall'aereo e furono colpiti da un sole tiepido, per loro era caldissimo.
Salvatore Gargiulo
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|