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Autore: Rossana Tescaroli
Anima diAmante
Biografia
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Anima diAmante
Amo un uomo che non conosco.
Amo la sua anima.
Il suo cuore è stato indissolubilmente e per lungo tempo legato al mio. Amo il suo viso, di cui conosco ogni singolo centimetro ed è per me una mappa incisa nel mio cuore.
Amo le sue foto.
Amo i suoi video.
Amo i suoi due figli, anche se scopro solo ora che ne ha tre... ma avrei amato anche il terzo e tutti gli altri di cui non ero a conoscenza, se ne avesse avuti.
Amo il suo Paese che non sapevo nemmeno qual era, che non conosco e non ho mai visto... e di cui non so niente. Non capisco la sua lingua. Non so nulla di quest'uomo. Non sapevo nemmeno il suo vero nome. E lui non sa nulla di me. Non sa nemmeno che esisto. Se mi vedesse mi ignorerebbe completamente perché non mi conosce.
Questa cosa fa male.
Terribilmente male.
Ha avvelenato la mia vita e le mie giornate, trasformato in incubi le mie notti.
Fa male molto più dell'indifferenza di cui mi lamentavo in casa prima di tutto questo, fa male più della mancanza di attenzioni che richiedevo insistentemente al mio compagno, più delle incomprensioni che avevo con mia figlia.
Non provo gioia per nulla, non provo desiderio per nulla.
Indosso la faccia migliore che ho e vado avanti. Credo si chiami istinto di sopravvivenza. E spero che non mi abbandoni mai.
Sono caduta in un baratro.
Mesi fa ero sul ciglio del precipizio e mi sono aggrappata a quella che sembrava una mano buona e tesa verso la mia anima. Sembrava una mano capace di dare solo carezze e amore, mi sono aggrappata e mi sono lasciata trasportare senza resistere, trascurando allarmanti segnali che in un momento diverso della mia vita mi avrebbero fatto collegare il cervello alla ragione e ai quali avrei reagito con la determinazione che da sempre mi distingue.
Ho volato in alto, fin su, sopra le nuvole, in una dimensione che non conoscevo e che mi ha dato l'illusione di essere invincibile.
Mi ha dato forza, gioia, voglia di vivere: ero vicina al sole e ne sentivo il calore inebriante, illuminata dal suo splendore.
E mi bastavo, non avevo bisogno di altro se non di lui e dei sogni che mi prometteva.
Non ho mai fatto uso di droghe, ma credo che la sensazione fosse simile a quella che descrivono con l'assunzione di cocaina, la droga più difficile dalla quale liberarsi perché causa dipendenza anche se il corpo non è più in astinenza.
La cocaina è stata prodotta dal mio corpo, quindi gratuita. A me è andata bene sotto il profilo economico. Mi sono fermata in tempo. Molte persone sono andate letteralmente in rovina per questo. Mi sembrava di volare, andavo in alto, sempre più su, inebriata da una tempesta di sensazioni nuove e meravigliose che mai avrei pensato di provare nella mia vita.
Ma ad un certo punto un po' di ragione è entrata in me, e ho mollato la mano che mi teneva e mi sono lasciata cadere... senza paracadute... senza protezioni...
Non sapevo di essere così in alto, non me ne rendevo conto, non me n'ero nemmeno accorta. Era il mio rifugio, la mia isola felice, la fuga ai problemi che mi circondavano e dai quali faticavo ad uscire.
Non c'era nessun cuscino ad attutire l'impatto. E io, non so volare.
Brutti pensieri mi girano nella testa, entrano e si infilano nelle pieghe della mia ragione solleticando in maniera provocatoria la mia sete di pace interiore. L'inferno dentro di me è in piena esplosione, si sta concludendo l'ultimo atto di una guerra che non riesco a combattere, battaglia dopo battaglia mi sento sempre più debole, la tentazione di lasciarsi andare e cedere alle lusinghe della mia pazzia razionale sono enormi.
Sono nella mia cucina e mi guardo intorno, il mio occhio cade sempre su due cose: gli affilatissimi coltelli in ceramica sopra il microonde e la boccetta di psicofarmaco in gocce che è dall'altra parte della stanza, sulla credenza dei bicchieri. Insieme ad un bagno caldo, immersa nelle mie essenze preferite, sarebbe il cocktail ideale per un trapasso veloce e indolore.
Mi soffermo e penso.
Mi dico che basta poco, devo solo prendere coraggio e farlo.
Non so come sarà, se doloroso o piacevole. Di certo ne sono attirata, come se fosse una bella sirena in mezzo al mare e io il marinaio completamente soggiogato.
Comunque sia sarebbe l'ultimo atto, forse il meno eroico ma di sicuro l'ultimo.
Alzare bandiera bianca e perdere la guerra, io che sono nata guerriera. L'unica cosa che mi frena, a parte la mancanza di coraggio, è mia figlia. La persona che amo di più al mondo e che non si meriterebbe di soffrire ancora, stavolta per colpa mia. Se mi trovasse lei, non si toglierebbe dalla testa per tutta la vita la mia immagine causata da una morte volontaria.
Ma penso anche che la libererei da una madre incapace e aggressiva, che negli ultimi mesi si è comportata in maniera imperdonabile. Se non mi perdono nemmeno io, come potrà farlo lei?
Non si merita un tradimento così.
Io l'ho provato due volte con mia madre, e mia figlia di certo non sarebbe degna di questo. Mai.
Forse io lo meritavo, ma lei di sicuro no.
Mi fermo e cerco di ragionare.
Forse ci sarà una via d'uscita da questo tunnel.
Forse ne uscirò.
Chiamo per l'ennesima volta la dottoressa Amalia Prunotto, psicologa di Acta, e ancora una volta con pazienza e comprensione mi supporta, mi spiega e mi infonde speranza.
Guardo lo smartphone nero che tengo fra le mani, chiudo gli occhi e respiro profondamente. Lentamente e profondamente.
Conto fino a dieci come in un mantra... uno... due... tre... lo stomaco mi si chiude... quattro... cinque... sei... le lacrime lottano per salire... sette... otto... nove... e si fanno spazio attraverso i miei occhi socchiusi... dieci... e lì, riesco a bloccarle.
Nessuno sa cosa mi sta accadendo.
Forse non lo so nemmeno io.
Una lunga lotta interiore si combatte nel mio corpo e nella mia anima. Il cuore manda messaggi criptati in una lingua a me sconosciuta, il cervello li elabora in un'altra utilizzando un idioma a me incomprensibile.
Sono in tilt.
In cortocircuito.
Dati non pervenuti.
Reset.
Alla fine, mi arrendo e prendo il telefono, lo apro e mi collego ad Instagram per visualizzare per la terza volta in poche ore la sua storia: lui è lì, bello come il sole, disteso su un'amaca che oscilla lentamente, con gli occhi socchiusi e un'espressione di beatitudine dipinta sul volto, mentre una canzoncina in sottofondo accompagna la ripresa. Vorrei essergli sopra: non ho mai desiderato un uomo come desidero lui. Non sto parlando solo di sesso, ma di comunione fra due corpi e due anime. Il suo sguardo si muove impercettibilmente per qualche frazione di secondo verso destra e io colgo la leggera asimmetria dei suoi occhi neri che ho imparato a conoscere e ad amare. In un video che mi aveva mandato il leggero strabismo era decisamente evidente, e io l'ho guardato e riguardato fino allo sfinimento, insieme a tutte le foto che ho analizzato fin nei minimi dettagli. Indossa la stessa maglietta che aveva nella foto pubblicata 10 ore prima. Una maglietta color carta da zucchero con una stampa fiorita, in stile hawaiano con il colletto a polo. Traspare in ogni angolo del filmato la sua agiatezza economica, piccoli particolari che mi sono diventati così familiari e che mi sembra strano non poter condividere con lui in un futuro. Il suo viso è completamente rilassato e i suoi occhi sono socchiusi mentre la musica continua a ripetere il nome di Giulia: sullo sfondo un filtro colora di viola gli alberi che circondano il suo giardino. Da lui è già buio mentre qui la sera sta ancora scendendo lentamente. Giulia... chissà chi è... inaspettatamente provo una fitta di gelosia, io che non sono mai stata gelosa di nessun uomo che ho avuto.
Respiro ancora più profondamente mentre un coltello sembra entrarmi nello stomaco trafiggendo il torace, mi si blocca il respiro, il cuore cambia ritmo e cerco di tornare alla realtà. Un senso di nausea e un grido di impotenza bloccato in gola mi assalgono e deglutisco a fatica. Guardo sul tavolo il plico di carta con la denuncia fatta alle forze dell'ordine poche ore prima: questo mi fa tornare di botto alla mia vita.
Una vita che non è più mia, una vita che a volte faticavo ad accettare prima di tutto questo ma che ora mi sembra al limite della sopravvivenza. Negli ultimi giorni mi sono chiesta spesso se è una vita che vale la pena di vivere. Devo ancora darmi una risposta.
21 giorni mi ha detto la psicologa. Tanto ci vuole perché la crisi d'astinenza faccia il suo corso.
Sono a metà.
Esattamente a metà.
Mi devo riempire la testa di altre cose, mi ha detto: distogliere il pensiero da lui, dal suo viso, dai suoi occhi, dalla sua bocca, dalla sua barba così particolare. Durante il giorno fra il lavoro e le mille cose da fare, o che mi trovo da fare, passa: è dura, ma sta diventando una cosa vagamente gestibile. Non posso fermarmi né con il corpo né con la mente altrimenti sono guai.
Il problema più grosso rimane la notte. Mi sento terribilmente sola e svuotata, il sogno di lui mi accompagnava tutte le notti da qualche mese a questa parte e lo sentivo costantemente al mio fianco, una presenza assidua e costante. Spesso mi sembrava di sentire il suo calore addosso: impossibile che fosse il mio compagno, dormivo sul ciglio del letto evitando anche solo di sfiorarlo per sbaglio.
Le chat si intensificavano prima di dormire, vivevo con il telefono sul cuscino e spesso venivo svegliata durante il primo sonno, quello più profondo, perché lui senza di me non sapeva stare, mi scriveva.
E alla fine ero io a non riuscire più a stare senza di lui.
Era una presenza virtuale ma reale da far paura.
Ne avevo paura.
Una terribile paura.
Mi rendevo conto che non riuscivo più a controllare le emozioni che provavo, ero preda facile nella fauci di uno sconosciuto. E questo mi destabilizzava oltre ogni cosa.
Una volta gli chiesi se mi avesse stregato. Mi rispose che era la stessa cosa anche per lui. Provavamo le stesse emozioni, le stesse sensazioni: mi descriveva spesso come si sentiva ed era la stessa identica cosa che provavo io. Allucinante.
Sembrava poter leggere nella mia anima. Mi sentivo vulnerabile. Gli ripetevo spesso che aveva il mio cuore in mano e che doveva averne cura. E lui mi rispondeva che si sarebbe preso cura del mio cuore, di me e di mia figlia.
Mi fido di te, gli dicevo.
Ma avevo paura di farmi male, molto male.
Come la cocaina, mi ha detto la psicologa. Una dipendenza come quella che dà la cocaina. 21 giorni perché il mio cervello superi la crisi d'astinenza.
Sono a metà.
Esattamente a metà.
Mi guardo allo specchio. Fino a 10 giorni fa mi trovavo bella, ero riuscita a riprendere il mio peso forma e mi sentivo invincibile. Ero alimentata da un fuoco interno che mi faceva vivere ad un metro da terra e che riempiva tutto il mio essere e tutti i miei sensi.
Una sensazione così forte ed appagante che mai avevo provato in tutta la mia vita. Non mangiavo e non dormivo, quello che mi dava lui annientava i bisogni primari. Avevo una forza mai avuta, vivevo di scariche di adrenalina e mi sembrava di essere in grado di volare. Ogni tanto pensavo che se fossi caduta mi sarei ferita in modo irreparabile, avevo intrapreso una strada senza ritorno. E glielo dicevo. Fidati di me, mi ripeteva: sono un brav'uomo e ti amerò per tutta la vita. Il suo unico desiderio era di stare con me e potermi amare, ero la madre che aveva sempre desiderato per i suoi figli.
Ringraziavo Dio di aver ricevuto in dono una cosa così grande. Ora passo davanti allo specchio e abbasso lo sguardo, vergognandomi di quella che sono. Mi vedo terribile: una banale donna di mezza età che non è riuscita a tenere la sua vita nei binari della rettitudine. Sono una donna fedifraga anche se non ho fatto l'amore con nessuno negli ultimi dieci mesi: l'ultima volta era stata con il mio compagno, ed era stato bello come non succedeva da tempo.
Almeno ho un bel ricordo.
Mi sento una madre incapace di mantenere un valore morale da trasmettere a sua figlia, un esempio da non seguire... una che predica bene e razzola male. Molto male.
Sono una donna frustrata nella sua parte femminile più intima perché ha provato una passione travolgente senza mai nemmeno aver avuto l'ombra di un rapporto sessuale o un bacio sulle labbra. Senza mai raggiungere la congiunzione e la comunione fra anima e corpo, pur credendo di amare oltre il limite della ragione un uomo.
Una sensazione terribile.
Un buco nell'anima.
Come superare un lutto, mi ha detto la psicologa. Per superare la prima fase acuta ci vogliono almeno 21 giorni.
Sono a metà.
Esattamente a metà.
Mi desto ben prima del suono della sveglia, mi alzo e mi preparo la colazione: l'aria è fresca per essere la metà di luglio. Sono intorpidita dalla notte insonne e spero di riprendermi in fretta con il caffè, il mio cuore fa le bizze stamattina. Sussulta, perde colpi e il ritmo è scostante... come il mio cervello.
Mi preparo, ed è difficile per me guardarmi allo specchio ignorando le tracce che questa cosa sta segnando sul mio volto: noto le occhiaie e le piccole rughe di espressione che stamani mi sembrano solchi profondi, come quelli che mi porto nel cuore.
Salgo in macchina per andare in ufficio e accendo i Rolling Stones a tutto volume.

Rossana Tescaroli

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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