La seconda vita di Daniel
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Feisal.
I signori Laurent sapevano della passione di Daniel per la scrittura; avevano letto con interesse il suo romanzo tanto da consigliarlo a dei loro conoscenti. Quando vennero messi al corrente dell'intenzione del loro ospite di lasciare l'appartamento, per la necessità di rientrare anche a notte fonda, si consultarono tra loro. La motivazione che Daniel aveva rappresentato, di volersi documentare sulla vita notturna della città per il suo nuovo romanzo, appariva perfettamente credibile, ma era solo una mezza verità: con loro, infatti, non aveva mai parlato di Chantal. Grazie all'ottimo rapporto che si era già istaurato, piuttosto che rinunciare alla sua presenza, decisero di affidargli una copia delle chiavi di casa, non prima, ovviamente, di aver ricevuto tutte le rassicurazioni del caso. Adesso Daniel era pronto a spalancare i battenti sul mondo del malaffare. Quella prima volta decise di viaggiare in metro, spostandosi senza una meta, dal centro all'estrema periferia di Parigi. Scelse come orario quello del ritorno a casa dei lavoratori, prima di cena, con i vagoni affollati, la gente in piedi, stretta l'uno contro l'altro, per proseguire sino all'ultima corsa, tra carrozze semivuote. Quando si liberavano dei posti a sedere metteva mano ai suoi appunti senza però smettere di tener d'occhio quanto accadeva tutt'intorno. In realtà, oltre la speranza d'incontrare Chantal, non sapeva neppure lui cosa aspettarsi da quel primo giro d'ispezione. Nei momenti di ressa fu testimone di un furto condotto con destrezza da parte di due loschi figuri ai danni di un turista distratto; ebbe l'impulso d'intervenire, ma non era l'unico ad aver visto e allora si trattenne, preferendo non farsi coinvolgere. Poco prima di tornare a casa, nella sua carrozza ormai quasi deserta, vide aggredire, senza apparente motivo, un giovane di colore, da parte di una squadraccia di skinhead. Non poté fare a meno di accorrere in difesa dell'altro ingaggiando una lotta furibonda fatta di pugni e calci. Due contro tanti, ma furono gli aggressori a darsela a gambe non appena, arrivati alla prima fermata, si spalancarono le portiere. A quel punto Daniel si ritrovò seduto per terra con diverse ecchimosi e un taglio nel labbro superiore. Ne aveva date tante ma le aveva anche prese, in compenso si era fatto un amico. Khaled, quello era il suo nome, ancora di traverso e con la spalla contro un montante per non cadere, l'aiutò a sollevarsi. Gli mostrò una mano in apparenza tutta inanellata ma che in realtà era stretta in un pugno di ferro: un'arma vera e propria che spiegava la fuga a precipizio degli skinhead. Tutti e due si scrutarono con espressione irridente per come erano conciati, poi scoppiarono a ridere. Ci fu subito intesa tra loro, così fu naturale che dopo essersi rassettati alla meglio, salendo in strada, decidessero di entrare in un bar per farsi compagnia e si raccontassero le loro storie. Khaled, proveniente dal Marocco, era entrato in Francia come clandestino e avviato dagli scafisti nel giro della droga come pusher, per poco tempo, però. Del tutto contrario a spacciare stupefacenti di cui non aveva mai fatto uso, lottò duramente per affrancarsi dal suo Caronte che esigeva un prezzo troppo alto e che per ritorsione l'aveva persino minacciato di morte. «È durato poco», disse a commento del tempo della droga; «ma abbastanza per conoscere l'ambiente della malavita». Aveva venticinque anni, di pelle non troppo scura, era magro e muscoloso e un po' più alto di Daniel. «Cerco una ragazza, di nome Chantal, che non vedo da più di un anno: forse è in un brutto giro, e forse non è neppure quello il suo vero nome», disse Daniel affrontando subito l'argomento che gli stava tanto a cuore. Al momento, preferì non accennare alla sua precedente vita, nel timore di non essere creduto. «Chi è, la tua ragazza? Non hai una sua foto?» «Sì, è la mia ragazza, ma non ho nessuna foto» «Quanti anni?» «Meno di diciotto» «Minorenne!» «Già!» «Senti, fratello, nella mala c'è gente che sa tutto di tutto: se è in un brutto giro, la troviamo. È una che si fa?» «No. Mai, quando eravamo insieme» «Meglio, molto meglio, ma potrebbe essere nel giro lo stesso, e io ne so qualcosa. Dammi tempo: conosco gente fidata che ci può aiutare» Con l'accordo di rivedersi non appena Khaled avesse allacciato i suoi contatti, i due si separarono per dirigersi ognuno verso la propria abitazione. Erano le tre passate quando Daniel giunse di fronte alla sua porta: l'aprì con la massima delicatezza per non far rumore, ma trovò la luce accesa e la signora Sylvie seduta in cucina che stava leggendo una rivista. Gli evocò sua madre quando lo aspettava di ritorno da scuola, perché, prima ancora che potesse aprir bocca, lei chiese se volesse qualcosa da bere o un po' di frutta. Poi, senza aspettare una risposta, si alzò per tornare con una bottiglietta dell'alcol e un batuffolo di cotone. Daniel si toccò il labbro e lo sentì gonfio sotto le dita, allora si liberò della giacca e si sedette per sottoporsi alle cure che si completarono senza che venisse pronunciata una sola parola. Nel momento di lasciarsi, Daniel sfiorò la fronte della signora Sylvie con un bacio per ringraziarla e perché grato di non essere stato sottoposto a delle domande. In bagno scrutò a lungo il suo viso che presentava la bocca tumefatta e un grosso livido all'angolo di un occhio: era il volto di un combattente che lo indusse a sorridere, orgoglioso di se stesso, come si sentì nell'occasione. Il mattino seguente, stanco ed ancora assonnato, si vestì in fretta per non fare tardi, perché doveva comunque guadagnarsi la giornata; le vendite andarono bene, anzi meglio del solito, forse grazie al suo aspetto che muoveva a compassione. Il labbro superiore, infatti, doveva essersi gonfiato ulteriormente, dal momento che gli faceva male perfino sorridere. Ma il buon andamento era anche l'effetto del passa parola: diversi che avevano letto il suo libro erano tornati per complimentarsi o in compagnia di amici a cui l'avevano consigliato. Quello stesso giorno, mentre faceva commercio sul lungosenna, nella speranza d'incontrare Chantal, fu intervistato da un sedicente giornalista, un ragazzo molto giovane e forse alle prime armi, che tuttavia era in compagnia di un cineoperatore. Daniel rispose alle domande relative al suo romanzo e ad altre sul suo recente passato solo per non apparire scortese, ma senza dar loro troppa importanza, quasi si trattasse di un gioco, e qualche ora dopo aveva completamente rimosso dalla mente l'intero episodio. Verso sera, quando tornò al Mon cafè, trovò un messaggio di Khaled che gli dava appuntamento lì alle nove, ma non dentro, fuori dal locale, a distanza di qualche metro, come gli venne suggerito. Lo vide venirgli incontro in compagnia di un uomo, all'apparenza magrebino come lui, ma di pelle più chiara, magro, molto alto, con la barba e un occhio completamente chiuso, come se l'avesse perso a causa di un incidente, circondato com'era da alcune brutte cicatrici. Prima di essere raggiunto, vide Khaled fargli cenno di seguirlo e, senza aspettarlo, i due proseguirono il loro cammino. Percorsi alcune centinaia di metri con Daniel che rimaneva volutamente un po' distante, entrarono finalmente in un bar fumoso e dall'aspetto malfamato. «Vi incontrerete qui», disse Khaled saltando le presentazioni. Dopo aver ordinato da bere ed essersi seduti ad un tavolo, proseguì: «Feisal ti dirà di volta in volta dove andare a vedere la merce». «Che genere di merce?», domandò Daniel. «Ragazze, giovani ragazze», intervenne Feisal. «Ah!», si lasciò sfuggire Daniel che sentiva pesare su di sé lo sguardo dell'altro che non aveva smesso di fissarlo senza mai sbattere le ciglia. Aveva un'espressione dura, cattiva; gli venne in mente che nel suo nuovo romanzo avrebbe potuto interpretare la parte dell'assassino. Feisal aveva un giro di clienti facoltosi interessati a giovani ragazze appena avviate alla prostituzione: alcuni di loro richiedevano particolari caratteristiche fisiche e Daniel aveva il compito di visionare i campionari per poi riferire; non era un incarico, solo uno stratagemma per poter ritrovare Chantal. Era anche una missione pericolosa perché Daniel doveva compierla in completa solitudine, inoltre fu ammonito di non portare mai armi con sé: qualcosa a cui egli non avrebbe mai pensato, ma averlo sentito rimarcare gli fece capire quanto stesse rischiando. Presi gli accordi, con Daniel s'intrattenne il solo Khaled che disse: «A modo suo, Feisal è un buono: nessun altro che fa il suo mestiere avrebbe concesso una cosa del genere ad un perfetto sconosciuto» «È perché si fida di te» «Sì, ma per lui è comunque un grosso rischio» «Cosa gli è successo all'occhio?» «Un regolamento di conti» «Ha un'espressione molto dura: quando l'ho visto ho pensato ad un assassino» «Infatti ha ucciso l'avversario che l'ha colpito a tradimento: ha braccia lunghe e nessuno meglio di lui usa il coltello. Nel suo entourage è rispettato da tutti. Non farti mai venire la tentazione di tirargli uno scherzo» «Gli hai detto che cerco Chantal?» «No, non ho fatto nomi. Ho detto soltanto che cerchi una giovane ragazza. Lascia passare qualche giorno prima di muoverti: si vede che sei stato picchiato e non è un buon salvacondotto in certi ambienti» «Grazie, amico: farò come hai detto» «Intanto giocati questa carta: se non funziona, passiamo alla neve» «...» «A quelli che la smerciano» «Ah, ok» «Hasta luego, fratello» Con queste parole Khaled salutò l'amico che poco dopo uscì a sua volta incamminandosi pensieroso verso casa.
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Daniel dovette far passare una settimana prima che dal suo viso sparissero quasi completamente i segni della lotta, nel frattempo le vendite andavano a gonfie vele, non solo: molti clienti sembravano più interessati all'autografo che non al libro stesso. Un favore di pubblico così repentino e inaspettato da fargli immaginare che dietro ci fosse lo zampino di Roger. E giunse il momento che lo vide arrivare con un gran sorriso: «Ormai sei più famoso di me», disse l'altro stringendolo in un abbraccio. «Di' la verità che sei stato tu a orchestrare tutto quanto», replicò Daniel. «Niente affatto! Non ti sei visto nel regionale?» «Non so di cosa parli» «Ma sì, l'intervista: alla televisione ...» «Ma, dai ...» «Eri tu o no quello dell'intervista col faccione pieno di lividi?» «Alla televisione?» «L'altro giorno, quasi all'ora di cena ...» «No che non l'ho vista. A quello che mi ha intervistato non avrei dato quattro soldi: era un ragazzino!» «Un giornalista molto giovane, ma uno che sa il fatto suo» «Allora è per questo: per l'intervista!», disse Daniel ancora incredulo. E poi, come parlando a se stesso: «Basta avere visibilità per avere successo: non è importante quello che scrivi» «Adesso sei ingiusto nei confronti del tuo lavoro, anzi, ti do una bella notizia: prima di venire ho parlato con la Redazione; gli ho ricordato la nostra amicizia, e indovina cosa mi hanno proposto?» «Non so ...» «Di convincerti a pubblicare con noi! Capisci cosa vuol dire?» «Non so ...», ripeté Daniel scuotendo il capo. «Cosa non sai?» «Avevi detto tu stesso che poi si viene condizionati dall'editore, che non si è più liberi di scrivere quello che si vuole ...» «Beh, non prendere proprio tutto alla lettera, anche se purtroppo sono queste le regole del gioco, regole con cui dovrai fare i conti sempre se vuoi fare lo scrittore. Considera però che pubblicare con un grosso editore ti cambia la vita» «Cosa intendi: una nuova edizione del libro?» «Una semplice ristampa, ma in una nuova veste e con il nome dell'editore» Iridescences au bord de l'abîme per Daniel rappresentava ormai il passato remoto, impegnato com'era nella realizzazione del suo secondo romanzo. L'altro l'aveva appena terminato e già gli sembrava che, parlandone, si evocasse la preistoria. Poi, senza entusiasmo, chiese: «Dici che mi cambierebbe la vita, così com'è accaduto a te?» «Esattamente» Ma, ricordando che Roger aveva fatto passare per proprio un romanzo scritto da un ghostwriter, Daniel si chiese ancora una volta come fosse possibile che accadessero simili cose. E la scrittura che l'aveva appassionato da sempre gli sembrò all'improvviso svuotata di ogni valore: una cosa falsa, inutile. Essere apparso in televisione, poi, era sì una grande notizia, ma allo stesso tempo pessima perché, anche se un po' ammaccato, era perfettamente riconoscibile e Chantal non si era comunque fatta viva. Dov'era finita, dunque: possibile che fosse sparita? A quel pensiero la sua espressione mutò rivelando la profonda afflizione da cui era pervaso. Una brutta cera che non sfuggì a Roger il quale si affrettò a dire: «D'accordo, d'accordo. Ho capito che hai bisogno di un po' di tempo per pensarci, d'altra parte non c'è proprio nessuna fretta» «Sì, ho bisogno di pensarci», confermò Daniel che non aveva in mente altro che Chantal. «Pensa che proprio nel momento che ti ho visto ero a casa di Gisèle insieme al marito. Quando sei apparso è diventata di tutti i colori, ma è riuscita a controllarsi davanti allo sguardo di Jules. Ha detto semplicemente: ‘È Daniel!'. Io, non visto, ho scosso leggermente il capo per farle intendere qualcosa: che sapevo, innanzi tutto. Poi, quando siamo stati soli, le ho detto la verità, che ci eravamo già incontrati, che mi avevi confidato che non sei innamorato, che era meglio lasciarti perdere. Lei, ascoltandomi tra le lacrime, ha detto che non voleva vederti mai più, ma presa com'è penso che prima o poi verrà a cercarti e la vedrai comparire spuntando da qualche parte» «Ah, sì, Gisèle ...», mormorò Daniel ancora soprappensiero. «Va bene: ho capito che oggi non è giornata!», esclamò Roger vedendo l'amico completamente assente; «E poi ho anche da fare, perciò ti saluto». Così dicendo, si allontanò a grandi passi con uno scatto nervoso.
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Daniel, dopo essersi accordato con una telefonata, s'incontrò con Feisal al bar dov'erano già stati. Dall'atteggiamento dell'altro che, dopo avergli lanciato uno sguardo, l'attese al banco volgendogli la schiena, capì che non doveva salutarlo. Ordinò a sua volta una consumazione, gli si pose accanto e ritirò il foglietto che l'altro gli allungò non visto dai vicini. Sul pizzino, scritte a mano con la grafia di chi non aveva terminato neppure le elementari, trovò finalmente le istruzioni. “Mi manda Feisal”: era il mantra che faceva aprire le porte degli orrori. Un giorno, dopo aver pronunciato quelle parole, ebbe accesso ad una sorta di postribolo. Quel luogo non era sudicio come si aspettava o, forse, temeva: il quartiere era centrale e l'edificio elegante, così come il grande appartamento composto di più stanze. Nel corridoio, a cui si accedeva direttamente dall'ingresso, alcuni già sedevano in attesa; la maitresse, una donna non più giovane e dall'aspetto volgare, accolse Daniel con modi esageratamente ossequiosi. Subito si unì a loro un uomo grande e grosso che, al contrario, non aprì mai bocca. Che genere di ragazze, gli fu chiesto: bionde, brune, molto giovani? Proprio tutte! Ah, certo, certo! Il giro d'ispezione iniziò da un'ampia camerata dove non filtrava la luce del giorno perché le imposte erano state serrate. C'erano più letti su cui erano sedute, una accanto all'altro, diverse giovani adolescenti, qualcuna ancora bambina e tutte seminude. Alcune abbracciavano strettamente le gambe ripiegate su se stesse, col volto poggiato sulle ginocchia, quasi a estrema difesa della propria intimità. Nei loro occhi si leggeva il terrore di chi aveva già molto subito. Con un tonfo al cuore Daniel credette di riconoscere Chantal; sentì di essere impallidito ma avvicinandosi vide che non era lei, allora, per mascherare la propria emozione, ne chiese il nome con voce risoluta fingendosi interessato. La maitresse decantò subito la bellezza di Fleur e le presunte doti amorose. Lei, graziosa come evocava il suo nome, sgranò gli occhi di cerbiatto aspettandosi il peggio, ma Daniel scosse immediatamente il capo e prese la direzione della porta per uscire. La maitresse lo seguì quasi correndo preoccupata di quel repentino cambio d'umore. Aveva visto qualcosa che non andava? Intendeva riferirlo a Feisal? Daniel proseguì nel cammino senza nemmeno curarsi di rispondere. Nelle altre stanze le ragazze erano già impegnate nel loro nefando lavoro: davanti a quella irruzione inaspettata si coprivano vergognose con le lenzuola. I loro clienti, anch'essi nudi come vermi, accennavano ad una timida protesta, ma la minacciosa presenza dell'accompagnatore li faceva subito desistere. Daniel, di tanto in tanto, chiedeva un nome, ma solo per dar credito alla propria recitazione. Accadde anche che un cliente, affannato e grasso come un maiale, nel mezzo del rapporto e indifferente ai nuovi arrivati, non volesse proprio separarsi. Tanto più grande dell'altra, le nascondeva completamente il volto; l'accompagnatore, allora, perché Daniel potesse vederla, lo sollevò di peso facendolo precipitare a terra. La giovane ragazza, minuta ed esile, non aprì bocca: ancora tremante, mostrava gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso che sembrava contemplare l'inferno. Non era Chantal, ma a quella vista Daniel provò l'orrore d'immaginare che fosse proprio lei al suo posto. È vero: cose vecchie come il mondo! Ma allora perché rinascere, si domandò: non era meglio restare nell'abisso, nel nulla, piuttosto che essere testimone di simili spettacoli? Altri indirizzi, altri ambienti: non più così eleganti, ma accomunati da quella condizione di estrema sudditanza delle giovani ragazze che appariva così chiaramente allo sguardo, di sicuro perché oggetti di violenza. Tra di loro, fortunatamente non c'era quella che cercava, così, per Daniel, giunse il momento di dirlo a Feisal. Credeva non si sarebbero più rivisti, invece l'altro gli propose d'incontrarsi nuovamente al bar, insieme a Khaled. Seduti al tavolo, Daniel ascoltò gli altri due discutere a lungo sulle prossime mosse da compiere; spesso li udiva intercalare al francese frasi arabe per lui incomprensibili. Capiva però che avevano preso molto a cuore la sua ricerca. Di tanto in tanto, poi, sentiva su di sé lo sguardo di Feisal, allora lo guardava a sua volta e si sorprese di leggere in quell'unico occhio un sentimento di vicinanza. Proprio lui che aveva considerato un orco fino a un momento prima! Gli evocò una frase che aveva letto da qualche parte in quella o nell'altra vita: cercate di guardare fino in fondo nei cuori degli uomini, e là sicuramente troverete un piccolo tesoro nascosto. Alla fine della discussione Khaled lo mise al corrente su cosa era stato deciso: sarebbe stato introdotto nel giro dello spaccio. Non l'avrebbero lasciato solo, naturalmente, anche se lui stesso doveva restarne fuori; sarebbe stato protetto da Feisal, che nella mala era molto rispettato: personalmente o attraverso qualche suo incaricato. Feisal annuì in segno d'approvazione. «Non ho bisogno di alcun aiuto. So cavarmela benissimo da solo!», si oppose Daniel. Gli altri due si guardarono e poi scossero il capo sorridendo, come di fronte alle inutili proteste di un bimbo dell'asilo. «In certi ambienti rischi la vita anche per un semplice sospetto», spiegò Khaled. A quel punto Feisal fece il gesto di sollevarsi perché doveva andarsene: si alzarono anche gli altri due, per un moto riflesso o per una sorta di rispetto. Nell'occasione Daniel poté misurare quanto il primo fosse più alto di lui: lo sovrastava dell'intera testa, e pensare che si riteneva più alto della media! Quando restarono soli, Khaled disse: «È un colpo di fortuna che Feisal abbia preso a ben volerti. Non so neanche io per quale ragione: forse è rimasto impressionato sapendo che scrivi, mentre lui, come me, non ha potuto nemmeno andare a scuola» «Quello che fa per vivere, però, non è giustificabile», disse Daniel come parlando a se stesso. Era già sul punto di rinunciare: che ci faceva lui in quegli ambienti, in mezzo a persone del genere? Si ricordò delle parole di Cesare che l'aveva ammonito di non frequentare certi luoghi per non subirne il condizionamento, poi il pensiero gli corse al volto angelico di Chantal e si sentì nuovamente pronto a tutto pur di ritrovarla. «Per chi è vissuto fin da bambino nella violenza non è facile distinguere il bene dal male, quello che è giusto dall'errore», sentenziò Khaled. «È vero», ammise Daniel; «È sempre sbagliato giudicare!» Il giorno dopo, mentre si trovava sul lungosenna a scrivere e a vendere il suo primo romanzo, Daniel vide venirgli incontro alcuni ragazzi, magrebini all'aspetto, e tra quelli Ghassan, che in passato l'aveva minacciato con un serramanico. Egli si muoveva dondolandosi da un lato e dall'altro con espressione irridente, come a voler intendere che era finalmente giunto il momento di regolare i conti. Ma ecco apparire dalla parte opposta Feisal che, senza averlo avvertito, lo raggiunse per proporgli di conoscere certi suoi amici. Era la prima volta che si mostrava in sua compagnia fuori dal bar. Al suo apparire gli altri si fermarono di botto: era bastata quella presenza inaspettata per farli rinunciare ad ogni proposito velleitario, anzi, a vedere Daniel in una nuova luce, quella di chi merita rispetto. «All'Hotel du Commerce», ordinò Feisal all'autista del taxi che era fermo ad aspettarli. “Eh, ti pareva!”, non poté fare a meno di pensare Daniel accingendosi a salire. Poi, nel varcare la soglia di quel luogo così famigliare, avvertì il cuore battere a mille e si guardò attorno sopraffatto da un'ansia che non riusciva a padroneggiare. “Che l'avesse già trovata?” si domandò dimenticando che non l'aveva ancora nominata e che non gliel'aveva neppure mai descritta. In una delle camere più economiche, in uno dei piani alti, raggiunto a piedi su scale scricchiolanti, Daniel fu introdotto per essere presentato a “due ladri davvero professionali, gente seria: come quelli di una volta”. Vennero accolti da una coppia molto particolare: entrambi celavano il volto dietro una maschera che lasciava scoperti solo gli occhi; lei, gambe perfette, indossava una minigonna cortissima. «Potete togliervi la maschera», disse Feisal entrando; «È un amico». Dal tono, più che un suggerimento, suonava come un ordine. «Subito, subito», commentò lei scoprendosi con movenze artatamente leggiadre ma che risultavano cerimoniose in modo eccessivo. «Facimmc verè pure da sti strunz», disse l'altro col suo vocione, forse contando di non essere compreso dai nuovi arrivati. La stanza era male illuminata, a dispetto delle imposte spalancate dell'unica, minuscola finestra. I volti non si distinguevano con chiarezza, ma a Daniel sembrava di intravvedere sul viso di lei il grigiore di una barba appena rasata. «Siete italiani?», domandò nella sua lingua natia. «Simm napulitan!», rispose lui in tono perentorio. «È anche per questo che ho voluto farteli conoscere», disse Feisal che poi decantò le loro mirabili gesta mentre agli altri Daniel fu presentato come uno scrittore famoso nonostante la giovane età. Poi Feisal invitò l'amico a descrivere la ragazza che stava cercando, perché i due conoscevano molte persone ed erano bene introdotti anche in quegli ambienti dove non erano affatto graditi. A quelle parole sorrise, e per Daniel fu la prima volta e l'unica volta che glielo vide fare. Ma, nell'ascoltarlo, guardava lei, dubbioso che fosse davvero una donna oppure un uomo. I due, seduti sul bordo del letto, mentre loro gli stavano di fronte su due sedie sgangherate, avevano i volti in penombra e a volte lei sembrava veramente una donna, altre volte un uomo che parlasse in falsetto. Quando accavallava le gambe, Daniel non si lasciava sfuggire l'occasione per scrutare socchiudendo gli occhi in cerca di prove. Lei o lui che fosse, poi, sentendosi così osservata, nel corso della conversazione, sbatteva le ciglia false continuamente o reclinava il capo vergognosa. Si lasciarono con l'assicurazione da parte dei ladri che avrebbero avvertito se avessero visto una ragazza che corrispondeva a quella descritta. Quando furono in strada Feisal chiese a Daniel di tradurgli la frase pronunciata da uno dei due quando si erano incontrati. «Non l'ho capita nemmeno io», mentì l'altro; «Erano parole in dialetto napoletano e Napoli è a sud dell'Italia mentre io sono di Milano che si trova a nord: è tutto un altro idioma» «Allora non avevi proprio capito», disse Feisal non pienamente convinto. «Eh, no», confermò Daniel; «Saranno state parole di benvenuto». Poi chiese: «Ma lei è veramente una donna?». «Quello una donna? É solo un culo rotto!» «Non ho mai visto gambe così perfette», commentò Daniel che faticava a crederci. Ora non gli restava che aspettare una possibile segnalazione, ma ebbe il sospetto che più che preoccuparsi della ricerca, Feisal avesse tenuto a farsi vedere in sua compagnia, avendolo presentato come un famoso scrittore, lui che non era neppure mai andato a scuola. E anche se essere definito famoso era un'esagerazione, l'effetto dell'intervista trasmessa in televisione non aveva tardato a produrre i suoi frutti. Daniel si recava sempre più spesso in tipografia per ordinare nuove copie del libro e quando girava per strada veniva salutato da sconosciuti come fossero vecchi amici. Se era stato visto da così tanti, possibile che non fosse mai giunta voce a Chantal? E se non volesse più incontrarlo? In fondo, era stato lui la causa della sua morte! Ripercorse nella memoria tutte le fasi di quel tragico momento. In una splendida giornata di sole amoreggiavano sul terrazzo di un palazzo di dodici piani dove la notte prima erano stati ospiti di un'amica di lei. Chantal era fuori di sé dalla gioia e per dimostrarlo era salita sul cornicione della balaustra per camminare, passo dopo passo, con le braccia protese in fuori, come un'equilibrista. «Scendi subito di lì!», le ordinò lui. «Solo se dici che mi ami», ribatté lei. «Perché vuoi che te lo dica, quando già lo sai?». «Dimmelo!». «Te lo dico quando scendi». «No, dimmelo adesso!». «E va bene: ti amo». «No. Dillo bene!». «Ti amo». «Perché non me lo dici mai?». «Ma se te l'ho appena detto!». «Perché te l'ho chiesto; io, al contrario, te lo dico mille volte!». «Per favore, scendi! Ti stai comportando come una bambina dispettosa». Per tutta risposta lei iniziò a ridere facendo il gesto di allungare il passo. Lui allora le si avvicinò spostandosi piano per non spaventarla; da lì poteva guardare in basso e la vista delle persone e delle macchine in strada gli diede il capogiro. Doveva far qualcosa per fermare quello stupido gioco e convincerla a scendere, e invece tutto precipitò all'improvviso, forse a causa di un suo movimento brusco o perché l'aveva sgridata; non poteva ricordarlo. Udì un urlo e corse ad afferrarla ritrovandosi tra le mani solo la sua camicetta. Poi si scagliò giù per le scale, ma anziché correre dov'era caduta fuggì lontano, perché in quel preciso momento sentì che la sua vita non aveva più senso, che era morto anche lui! «Domani andiamo dove mi ha indicato Khaled: in una delle zone di spaccio più importanti di Parigi», annunciò Feisal prima di salutarsi. «Va bene», disse Daniel senza entusiasmo. Lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava a passo svelto svettando con la sua altezza inusuale tra gli altri passanti. Non trascorsero che pochi secondi quando due agenti in borghese gli intimarono di fermarsi. Con la velocità di un fulmine egli estrasse un coltello pronto a colpire, ma più rapido di lui partì un colpo di pistola che lo raggiunse in pieno petto. E, meraviglia, il suo corpo esplose dividendosi in più parti: un'azione che da quel momento in poi si svolse al rallentatore. Vide la testa e il collo posarsi lentamente sull'asfalto insanguinato; la bocca rimanere atteggiata in uno strano ghigno mentre gli occhi, sbarrati e senza vita, fissavano il cielo attoniti. Il busto, le gambe, le braccia, interi o a brandelli, galleggiavano senza peso nell'aria e tutta la scena evocava Guernica, il capolavoro di Picasso. Una visione drammatica che tuttavia in lui non era associata ad alcun sentimento, ad alcuna emozione, come talvolta capita sognando. La rinascita, Chantal che forse non era neppure mai esistita, e ora la morte surreale di Feidal ... Non ci capiva più niente! Qual era la realtà e quale la fantasia? Tutte le vicende che lo riguardavano formavano una matassa di cui non si riusciva a trovare il bandolo. Anziché proseguire doveva fermarsi a riflettere: pensare! Avrebbe trovato ristoro solo nella scrittura, perché adesso ne aveva davvero tante da dire. E così, come quando si è prossimi ad addormentarsi, avviandosi verso casa, non poté fare a meno di prodursi in alcuni sbadigli interminabili.
Elia Giovanni Babsia
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