Partirono per Torino la mattina del sabato di buonora. Emily era stanchissima. In quei giorni non aveva dormito, passando le notti a scrivere in maniera forsennata sul suo diario: ormai la questione dell'aborto era in cima ai suoi pensieri. Non le bastava essere contraria per sé stessa, sapere con certezza quello avrebbe fatto lei, anche in caso di gravidanza non prevista. Aveva in orrore ogni singolo aborto e ogni singola motivazione, non vi trovava mai un motivo accettabile per uccidere un essere che nel suo istinto vuole soltanto crescere e vivere. Così come aveva in orrore la pratica sempre più diffusa dell'utero in affitto. Non appena salirono sul treno e si sedettero, Roberto prese posizione per dormire, o meglio, far finta di dormire. Dal primo istante in cui si erano incontrati quella mattina la ragazza aveva capito che lui non aveva nessuna voglia di parlare: non ce l'aveva su con lei, ma era evidente che qualcosa lo stava tormentando. In cuor suo sperava che la discussione dell'ultima volta avesse aperto un varco in lui, che potesse avergli fatto sorgere qualche dubbio. Oppure aveva anche lui l'identica sensazione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, che qualcosa di tragico stesse per accadere. Pensò che ora, a distanza di pochi giorni, la morte di Luca cominciasse ad avere il suo peso. Emily non volle pensarci: aveva capito ormai che era inutile cercare di interpretare sensazioni, strane agitazioni, per poter prevedere un futuro evento. Sapeva solo di dover stare in guardia, di dovere vigilare e prestare attenzione a ogni parola, ogni minimo fatto o gesto che quella giornata le avrebbe offerto. Tirò quindi fuori dalla borsa il suo diario e riprese a scrivere, finché il sonno non le fece chiudere le palpebre. Si addormentò, il diario sulle ginocchia. Una piccola frenata del convoglio lo fece cadere per terra e Roberto, che non ave- 118 va mai dormito, aprì gli occhi e lo vide. L'occasione c'era, la tentazione anche e lui cedette.
“...Il male dilaga nei cuori più che negli eserciti in guerra, c'è forse più umanità fra i soldati che fra la gente del popolo. Che cosa terribile! Trovarsi a cercare sentimento umano laddove umanità non ci può essere. Dove trovarla allora? Disperata ricerca, c'è qualcuno in qualche angolo della terra che cerca l'altro, colui contro, controcorrente, avverso e avulso. Tragica solitudine. Al grido de “l'utero è mio e me lo gestisco io” gruppi di femministe strumentalizzati da una politica ancor più falsa e fuorviante, le stesse donne si battono per essere uniche e sole, come natura richiede, a poter procreare. Inconsapevolmente, forse, si appropriano o tentano di appropriarsi di ogni diritto decisionale, non tanto spinte da quella che chiamano madre natura, ma da quella scalata al potere che esigono, la cui detenzione deve per forza di cose escludere, uccidere qualcuno, se non altro nella sua volontà. Nessuno, né padri dei figli gettati, ne altri che si avvalgono di quella scienza che tutto può, almeno secondo la convinzione di alcuni, può arrogarsi il diritto di decidere della vita o della morte di un altro essere. Che importa da dove viene e come viene cresciuto e da chi il mucchietto di cellule, quando desiderato e amato, che altro può chiedere? Quella natura che riteniamo perfetta nel mondo animale per l'essere umano può, anzi deve, essere plasmata, cambiata, rigirata, riprogrammata secondo le supposte esigenze di ogni singolo individuo, i supposti diritti, l'indifferente corsa al potere, all'accumulo di beni materiali di esseri in fin dei conti tragicamente votati alla morte. Il contadino che cinge il suo campo con filo spinato viene messo alla gogna dai popoli; guai al veterinario americano che si fa il selfie col leone ucciso, la natura non si tocca, l'animale non si tocca. Il leone trova la sua non richiesta gloria sulla parete di qualche grattacielo di New York, a testimoniare la solidarietà mondiale con la povera bestia trucidata. Il mucchietto scomodo di cellule, il nano parassita no. 119 Trova posto solo in un bidone d'ospedale, rifiuto della donna, dell'uomo, del medico, di una società che sprofonda. Nella stessa ipocrita finzione, giusto per accondiscendere alle proprie esigenze di fare il più possibile nel minor tempo possibile, ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo si utilizza la stessa natura, lo stesso amore incondizionato per il perfetto mondo animale, applicandolo in tutto e per tutto all'essere umano. Così quando una donna partorisce è costretta nel medesimo istante a occuparsi del suo incomodo parassita, profittatore che già appena nato pretende che vengano accolte le sue esigenze, di calore, di fame, di rassicurazione dopo l'immenso dolore della nascita: già perché tutte voi, donne, pensate che soffrirete durante il parto? Certamente, ma sappiate che il nano soffre più di voi, e voi che avete voluto, cercato o accettato di crescere nel vostro ventre il parassita, non dovete lamentarvi, non dovete pretendere di dormire, magari dopo una o due notti insonni fra travaglio e urla del reparto maternità. Cosa pensavate? Mamma gatta fa da sé, si partorisce i suoi cuccioli, se li pulisce, li nutre dal principio, sola nel suo cantuccio. Ma l'umano ha compassione di mamma gatta e di mamma cagna, e allora si fa in quattro, prende le ferie dal lavoro, compra naselli e li cucina, serve la bestia così non è costretta ad allontanarsi dalla cucciolata. Ma tu? Tu no, hai fatto la tua scelta, arrangiati, occupati del pargolo dal suo primo fiato. Non penserai mica che la nursery dell'ospedale ti aiuti? Non penserai mica di tornare a casa dopo aver recuperato qualche ora di sonno? E non prendere nemmeno in considerazione che a casa troverai amici e parenti a darti una mano: non dormire, alzati e preparati da mangiare, pulisci la casa, occupati del nano e vedi bene di non lamentarti, non sia mai che qualcuno pensi ti abbia preso la depressione post partum e ti giudichi madre incapace, inadeguata, scontenta, egoista. Se i nostri trogloditi bisnonni, che neanche sanno gestire un benedetto conto online, sono nati sui tavoli delle cucine con parenti e vicini intorno a fare a gara per aiutare la neo mamma per settimane, ora dopo due giorni d'ospedale la partoriente viene sbattuta fuori, questo sempre che funzionino a dovere i terminali, altrimenti tocca restare per ore col pargolo in braccio nel bel mezzo del corridoio, perché non c'è uno straccio di medico capace di scrivere un foglio di dimissioni a mano, così se funziona il terminale, se funziona la stampante, se c'è la carta per la stampante ti rilasciano, altrimenti pianti le tende nel corridoi. E se non ti sta bene, tu, proprietaria di utero, la prossima volta ci penserai bene prima di lasciar crescere il mucchietto di cellule. Intanto il mondo studia, propone interruzioni di gravidanza senza limitazioni, dal primo all'ultimo giorno, vallo a chiamare poi mucchietto di cellule informe. Non voglio pensare a come costoro pensino di uccidere un feto al nono mese, potrei informarmi, ma non voglio, non reggerei il dolore. Intanto i popoli, soprattutto gli occidentali sono sempre più sterili. Perché? Quale la ragione? Se un tempo ci si spremeva il cervello per non rimanere in dolce attesa, con calcoli di giorni, spirali, pillole anticoncezionali, ora quelle quattro sciagurate che desiderano un nano al posto del cane, in una sorta di esercitazione sul tipo dell'orienteering, provano tutti i metodi fra i più fantasiosi fino a quelli più scientifici perché non riescono a procreare così facilmente come le loro ave in tempo di guerra.”
Roberto, il cui umore fin dal mattino era piuttosto cupo, si rabbuiò di più, decisamente avrebbe voluto essere da un'altra parte. Crebbe in lui una rabbia furiosa: abbandonato, tradito, raggirato, depauperato di certezze, gettato su una zattera in alto mare. Senza remi, senza guida, senza compagni, avvolto dalle tenebre, senza stella a condurlo, senza luce a indicargli la strada, senza fuoco a riscaldarlo, nessun riposo dalla fatica, nessuna consolazione o dolcezza, nessuna mano tesa. Ripose il diario nel sedile vuoto al fianco di Emily, voltò la testa verso il finestrino cercando risposte nel paesaggio al di fuori. Campi, casolari e contadini.
Stefania de Girolamo
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