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Autore: Luca Masotti
Il castello dell'ambigua felicità
Narrativa Horror
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Il castello dell'ambigua felicità
Il giorno della partenza arrivò ed i ragazzi si trovarono qualche ora prima per pianificare gli ultimi dettagli. Si ritrovarono tutti a casa di Pietro, i cui genitori erano partiti anche loro qualche giorno prima per una vacanza e lui aveva la casa libera. Si fidavano del figlio e non gli avevano chiesto nulla sui suoi programmi, o forse Pietro non si era preoccupato di comunicarglieli, anche per la loro imminente partenza e di conseguenza per non farli stare troppo in pensiero.
Quando Michael ed Alissa arrivarono a casa dell'amico, Lisa era già da lui e poco più tardi arrivò anche Carlo.
«Bene ragazzi, vedo che ognuno di voi si è preparato il proprio bagaglio» disse Carlo, una volta radunati tutti nel salotto della casa, «Deduco quindi, che se non ci saranno particolari imprevisti inaspettati, siamo tutti disposti e curiosi di partire per questa stravagante esperienza dall'aria misteriosa.»
L'entusiasmo non sembrava alle stelle, ma in un qualche modo tutti o quasi volevano fare quel viaggio.
All'orario uscirono di casa. Caricarono i bagagli sulla sette posti, sempre di Pietro, puntando al luogo dell'incontro.
Parcheggiarono l'auto poco lontano e si fecero l'ultimo tratto a piedi.
«Certo che il luogo scelto per l'incontro, non è proprio di passaggio» disse Alissa, notando la zona desolata subito fuori città.
«Perché non lo avevi capito?» le chiese Carlo. «Probabilmente avevo capito un altro posto.»
Il sole stava calando ed il cielo dalla parte opposta diveniva sempre più scuro. Quando furono sul luogo
prestabilito, in lontananza videro uno strano mezzo di trasporto, fermo ad aspettare. Si nascosero dietro una grossa siepe per osservare meglio senza essere notati.
«Che dite... sarà quello il nostro passaggio per la vacanza mistero?» borbottò Carlo, cercando di tenere il tono della voce più basso possibile.

Tutti cercarono di spiare, osservando in lontananza, ma rimanendo però nascosti perché accanto al veicolo c'erano due persone a controllarlo.
«Sembra una di quelle vecchie jeep da safari, con il portapacchi integrato sulla cappotta.» disse Pietro, che di macchine se ne intendeva, data la sua passione.
«Fammi vedere... e che sarebbero quei due tizi lì accanto?» si intromise Lisa, appoggiandosi al ragazzo.
«Sss... fate silenzio. Stanno parlando e voglio sentire cosa dicono, ma se continuate a parlare!» li zittì Carlo.
Michael ed Alissa erano, al contrario degli altri, rimasti in disparte, nascosti anche loro dietro alla siepe, senza però pretendere di osservare come facevano gli altri tre.
Lisa si volle sporgere di più, per origliare anche lei, appoggiando il suo seno prosperoso sulla testa di Pietro, che nel frattempo si era inginocchiato per spiare dal basso. Quest' ultimo sentendo i morbidi seni su di esso, perse l'equilibrio e muovendosi, fece quasi cadere Lisa, che gridò.

Nel silenzio del luogo e della tarda sera i due individui accanto alla jeep vennero attirati da quel grido.
«Cazzo! E state attenti voi due!» brontolò Carlo, voltandosi verso di loro.
«Chi va là?» domandò al contrario a voce alta uno dei due individui.
«Merda!» disse ancora Carlo.
«Bravi, ora ci hanno scoperto» fece Michael da dietro. «Non è colpa mia. È lei che mi è saltata addosso» si
difese Pietro.
«Oh insomma» disse Lisa, cercando di riprendere
l'equilibrio.
L'uomo si diresse verso la siepe, ripetendo la sua domanda: «C'è qualcuno lì dietro? Venite fuori e fatevi vedere!»
il primo ad uscire fu Carlo, perché era quello più esposto. Dietro in serie per solidarietà uscirono anche gli altri, in ordine: Pietro, Lisa ed infine la coppietta Michael ed Alissa.

«Ah, ma siete voi!» esclamò l'individuo.
I ragazzi solo allora riconobbero lo strano signore, che li aveva adulati quella fatidica mattina di qualche giorno addietro fuori dal bar. Indossava dei vestiti diversi da quelli della volta precedente, ma lo stile era molto simile. Sembrava proprio che quello fosse il suo modo di vestire, più che un costume di scena.
Il gruppo fu imbarazzato per la pessima figura, ma al contempo il fatto che fosse lui ad averli scoperti e non un'altra persona sconosciuta, in un qualche modo li aveva tranquillizzati, rispetto alla tensione che li aveva assaliti appena arrivati sul posto.
«Sapete, pensavo che non sareste venuti all'appuntamento. quando vi ho lasciato l'altra mattina, sui vostri volti avevo solo letto preoccupazione e diffidenza... ed invece eccovi qua! tutti e cinque come vi avevo suggerito.»
«A dire il vero, siamo venuti all'appuntamento si... ma non siamo del tutto convinti di partire» disse Michael, che era rimasto quello più scettico del gruppo e l'unico con la faccia tosta di ammettere la verità.

Mentre pronunciava quelle parole, guardò fisso lo sconosciuto e lo vide muovere la testa in segno di assenso. Alissa di suo, gli aveva afferrato una mano, per fargli percepire la sua solidarietà.
«Siamo venuti più per vedere, se realmente ci fosse stato qualcuno sul luogo dell'incontro o se fosse tutta una bufala.»
«Capisco... ebbene, avete avuto la vostra conferma?» gli domandò l'uomo, «E se non sbaglio, quelli sono anche
vostri bagagli.» continuò, indicando un trolley, che spuntava da dietro alla siepe.
«Infatti, il mio amico ha detto, che non convinti lo siamo in parte.» si intromise Carlo.
«Dunque qual è tra le due, allora la parte che ora è più convinta, visto che avete avuto prova della mia onestà?... come vi ho già detto in precedenza, non starò a pregarvi, ma il tempo ormai stringe ed io devo ritornare al castello. Se volete unirvi a noi, sarete i benvenuti nel salire a bordo, altrimenti ognuno per la propria strada.» disse in definitiva, dando un'occhiata furtiva al suo orologio da polso.

Diede un ultimo sguardo anche al gruppo e sorridendo si indirizzò verso la jeep e l'altro individuo che paziente lo stava aspettando.
I ragazzi si scambiarono sguardi veloci, domandandosi a suon di espressioni quale fosse la loro decisione all'unanimità. Poi Michael dopo un profondo sospiro allungò una mano ed afferrò il suo bagaglio. Quella fu una delle rare volte, che si pentì di aver deciso per primo.
Veloci anche tutti gli altri fecero altrettanto ed insieme si incamminarono dietro all'individuo senza nome.
Al suono rotolante delle valigie, l'uomo si fermò per un istante e ruotando la testa da un lato, scorse i cinque ragazzi seguirlo. Sorrise sotto i baffi e riprese il passo. Da dietro Michael a poche metri da lui, domandò; «Almeno possiamo sapere qual è il tuo nome, o dobbiamo continuare a non poterti chiamare in un qualche modo?»
L'uomo rallento il passo e ruotando lievemente la testa gli rispose; «Come, non ve l'avevo già detto? Eppure è una delle prime cose che dico... comunque mi chiamo Pavel... il mio nome è Pavel!»

Una volta arrivati alla jeep Pavel borbottò qualcosa con il suo compare (Presto, carica i bagagli di questi ragazzi sopra alla jeep. Si parte immediatamente!), in una lingua che i ragazzi non compresero, poi lo presentò al gruppo.
«Lui invece si chiama Leon. Sarà il nostro autista. Date pure i vostri bagagli a lui, li sistemerà sul portapacchi, mentre voi potrete prendere posto dentro il veicolo.»
Nessuno di loro avrebbe mai immaginato che Pavel fosse di origini straniere. Parlava perfettamente la loro lingua e nel suo linguaggio gli altri non avevano mai notato accenti tipici. Ma quella frase incomprensibile aveva palesemente dimostrato l'opposto. Pavel non era italiano. Nessuno dei ragazzi però si apprestò a domandare le origini dei due, immaginando a quel punto che anche l'autista lo fosse. Dalle parole della frase si poteva ipotizzare che provenissero entrambi da una nazionalità est europea, ma quale lo ignorarono, almeno per ora.
Uno alla volta lasciarono le valigie accanto alla jeep e ci salirono sopra.

Sembrava un vecchio blindato militare, ma era verniciato di nuovo in un colore scuro e senza scritte di qualsiasi genere, tanto meno quelle pubblicitarie. Sul tetto era montato un grosso cesto a portapacchi, dove Leon gli lanciò tutti i trolley uno ad uno, come fossero sacchi di patate. Per poco Lisa non uscì dal veicolo, irritata per le pessime maniere.
All'interno i sedili erano disposti su tre file da tre posti a fila, oltre i due davanti per chi guidava ed il navigatore.
Michael ed Alissa si sistemarono in fondo da soli, mentre gli altri tre presero la fila centrale, in modo che la prima fila subito dietro ai posti di guida rimanesse libera. Una volta sistemati bene i bagagli, anche gli altri due uomini salirono sul mezzo.
«Bene ragazzi, mettetevi comodi e rilassati, che il viaggio sarà un po' lungo.» li informò Pavel.
«Quanto impiegheremo per arrivare a destinazione?» domandò Carlo.
«Circa tre barra quattro ore.» gli fu risposto.

«Come mai i finestrini sono oscurati?» domandò invece Pietro
«Sono stati oscurati per il periodo estivo, in modo da bloccare meglio il calore esterno; in oltre da una maggiore privacy.» spiegò Pavel.
Il motore si accese e la jeep partì molleggiando e cigolando sulla struttura. I ragazzi si scambiarono una qualche occhiata.
«Prima che cominciate a fare altre domande sul posto...» disse Pavel voltandosi verso di loro ed allungando una busta chiusa, «Queste sono alcune fotografie e particolari su dove stiamo andando.»
Carlo allungò il braccio ed afferrò la busta, poi aprendola, cominciò a svelarne il contenuto. Distribuì le foto un po' a tutti quanti gli amici per farle girare prima. Erano comuni fotografie in bianco e nero, che mostravano un imponente castello ed il borgo circostante da vari punti di vista di una persona. Come ultimo foglio, un biglietto scritto a mano diceva: “A tutti i coraggiosi turisti che hanno deciso di avventurarsi in questa impresa, do un augurio di benvenuto e che il soggiorno al castello vi possa portare pace e serenità, firmato: il conte Roman Adrelean.”
I ragazzi si scambiarono le varie foto e biglietto incluso, in modo che tutti potessero vedere e leggere tutto.

Carlo si girò verso i due innamorati dietro di lui e gli amici accanto fecero uguale, perché sapevano che avrebbe detto loro qualcosa. E difatti Carlo parlò.
Si voltò prima un istante verso l'autista ed il suo compagno. Udendoli parlottare tra di loro in lingua straniera, si rigirò verso gli amici.
«Ma vi rendete conto che stiamo andando in un posto sconosciuto, accompagnati da due persone altrettanti sconosciute e per giunta straniere... non lo trovate elettrizzante!»
Sorrise sotto i baffi, guardando le espressioni dei compagni un poco smarrite.
«Veramente io lo trovo folle» aggiunse Michael.
«Che potrà mai capitarci?» chiese Alissa, stringendosi al suo ragazzo.
«Ci siamo messi di nostra spontanea volontà, nelle mani di due potenziali sequestratori.» fece ancora Carlo, poi rise.
«Non sei per nulla divertente.» borbottò Lisa, fissandolo storto.

«C'è qualcosa che non va la dietro? Avete bisogno di qualcosa?» si intromise Pavel, girandosi verso il gruppo ed appoggiando un gomito sullo schienale del sedile.
«No, no...» disse prontamente Michael, «Stiamo solo commentando le fotografie. Sembra un gran bel posto.» concluse sorridendo.
«E lo è... ma ve ne accorgerete voi stessi, ragazzi, ve ne accorgerete.» commentò ancora Pavel, per poi girarsi a fissare la strada e mettersi a parlare nuovamente con l'amico autista nella loro lingua natale.
Michael continuò a fissare quell'uomo, che a suo dire, da pochi giorni fa a neppure un'ora da quel momento il suo comportamento nei loro confronti gli parve differente. Non chiese agli altri amici, se avessero percepito la stessa sensazione, ma lui lo aveva trovato più distaccato, superficiale e meno disponibile nei loro confronti.
Si tenne quella sensazione per sé, stringendo Alissa come per sentirla vicina e tranquilla, e lei col suo gesto gli sorrise silenziosa, per poi coccolarsi tra le sue braccia.

Luca Masotti

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
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